Trieste medievale – Dino Cafagna



Qual era la composizione urbanistica della Trieste medievale?

C’è un affresco dell’abside di San Giusto che raffigura il Santo con il modello della città di Trieste in mano. Questo modello rappresenta in assoluto la prima raffigurazione di Trieste. Infatti la più importante testimonianza iconografica tramandataci, nonché la prima e quindi la più antica raffigurazione di Trieste, è quella fornita da un affresco della cattedrale di S. Giusto. Databile attorno al 1370, è attribuito al Secondo Maestro di San Giusto e rappresenta il Santo Patrono con in mano il modellino della città circondata da possenti mura merlate. Tale rappresentazione faceva parte di un ciclo di affreschi, che in origine ornavano l’abside della navata di San Giusto, ricoprendo un analogo ciclo duecentesco (fatto quindi dal Primo Maestro di San Giusto). Questi furono strappati e collocati poi su pannello nella cappella di San Giovanni (o Battistero), dove oggi sono custoditi e visibili.

Pur essendo un modellino e nonostante la prospettiva molto approssimativa, che dava maggior risalto agli edifici principali senza badare alle reali proporzioni, l’autore dimostra alla fine una particolare cura al dettaglio. Sono, infatti, ben riconoscibili in alto: gli stipiti del portone di entrata di S. Giusto con la stele della famiglia romana dei Barbi, il rosone della facciata, gli archetti rampanti sotto le falde del tetto, l’edicola del campanile con la statua di S. Giusto, la chiesa di San Michele al Carnale (1328) con l’entrata alla cripta, il Monastero delle Monache della Cella (1265), il Palatium episcopatus o vescovado (1187), il campanile con il tetto appuntito, ecc. Il tutto corrisponde a una descrizione urbanistica ancora valida ai giorni nostri.
In questo dipinto le antiche mura di Trieste sono dotate di torri (qui son disegnate dodici), bastioni e porte, e racchiudono la città all’interno di uno spazio triangolare con vertice in cima al colle e base al mare. L’affresco ci tramanda anche l’aspetto strutturale delle mura: la gran parte delle torri, escluse quelle con complessi fortificati sopra le porte, vengono rappresentate come “scudate”, cioè chiuse solo da tre lati. La cortina interna è aperta, mentre i cammini di ronda, costruiti in pietra, poggiano su archi di sostegno o contrafforti interni ampi e molto solidi, con la merlatura guelfa a proteggere il camminamento e i ballatoi.
La presenza di torri quadrate scudate, cioè aperte all’interno, rappresentava allora il modo più semplice ed elementare per la costruzione di una torre, facile da costruire ma soprattutto ricostruire in caso di assedio nemico. Infatti, in caso di parziale distruzione, per esempio dopo un bombardamento da parte delle catapulte nemiche, diventava facile ricostruirla, con il favore dell’oscurità della notte, utilizzando le pietre d’arenaria anche delle vicine case distrutte, dando così la precedenza alla ricostruzione delle mura e delle torri che rappresentavano in assoluto la prima e più importante difesa civica. Al contrario la presenza di una torre cilindrica avrebbe reso molto problematica, per ovvi motivi strutturali, la ricostruzione rapida della torre. La mancanza poi della parte interna di queste torri, oltre che rendere per ovvi motivi ancora più facile la ricostruzione del manufatto, permetteva anche di scoprire subito il nemico che eventualmente fosse riuscito a scavalcare le mura e si fosse installato in una torre; avvistato facilmente, sarebbe stato subito catturato.

L’artista dimostra un’attitudine così realistica da far considerare questa rappresentazione della città un documento iconografico unico e molto attendibile. Infatti, anche se gli edifici della parte inferiore dell’affresco non esistono più, il particolare realismo, dimostrato nella parte superiore, ci permette di considerare praticamente certo il racconto visivo riguardante le tre Torri del Porto e il Palazzo Comunale. Ovviamente non è disegnato il castello di S. Giusto, la cui costruzione inizierà appena nel 1470.

Il fronte del porto – lato mare – venne infatti munito di un poderoso sistema difensivo. In un tratto così breve s’innalzavano ben tre possenti torri fortificate, la cui funzione era prevalentemente quella di difesa di una zona particolarmente vitale per l’economia cittadina: il porto. Esse, inoltre, rappresentavano un colpo d’occhio di grande effetto per chi giungeva in città via mare.

Esse erano:

  • a sinistra: la Torre della Beccheria;
  • quella di mezzo o centrale: Torre del Porto o torre del Mandracchio, con l’apertura a mare;
  • a destra: la torre Fradella o della Confraternita.

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Sigillo Trecentesco di Trieste

 

Per la potenza, l’importanza e la notorietà, le tre torri vennero utilizzate, come immagine stilizzata, assieme all’alabarda, quale Simbolo (oggi si direbbe “logo”) della città stessa: il Sigillo Trecentesco di Trieste.
Infatti nel sigillo trecentesco della città sono rappresentate, in forma “stilizzata”, le tre torri con porta (Beccheria-Porto-Fradella). La Torre del Porto appare più alta delle altre due, i merli sono alla guelfa, le porte chiuse. Il disegno ai lati della torre di due alabarde vuole rafforzare il significato simbolico del sigillo.

Dietro alle tre torri del porto s’intravede il primo palazzo duecentesco del municipio o del comune (palacium comunis), nato dall’emancipazione della città dal dominio vescovile iniziata nel 1252 e completata, con la cessione al Comune di tutti i diritti sulla città, nel 1295 (Kandler, Storia del Consiglio). In quell’anno la città sentì pressante il desiderio di avere un proprio Palazzo Comunale e di reggersi da sé con propri Statuti.
La sua struttura la conosciamo proprio dall’affresco trecentesco nella cattedrale dì S. Giusto; sappiamo che venne costruito in due tempi, tant’è che in documenti antichi si trovano citati un palazzo “vecchio” e un palazzo “nuovo”, a sottolinearne la diversa epoca di costruzione. L’edificio a sinistra della torre, infatti, rappresenta la parte vecchia, duecentesca, del palazzo, cioè costruito attorno al 1250, di stile romanico, con monofore ad arco a tutto sesto, cioè finestre a semicerchio a una sola apertura di luce; in quello di destra, più nuovo, finito all’inizio del ‘300, si caratterizza per le eleganti bifore gotiche, ad arco acuto.
Nel 1295, appena acquistata la piena autonomia, fu alzata al fianco del primo edificio una torre, autoritario simbolo del Libero Comune di Trieste, con un orologio, una loggia e la campana dell’“arrengo” che serviva a richiamare i patrizi alle riunioni del Consiglio comunale. In seguito vennero aggiunte anche due figure bronzee che scandivano le ore e che furono soprannominati del popolo, per il loro colore, “i Mori di piazza”.

Il palazzo sorto su un terreno rubato al mare da progressivi interramenti, aveva la facciata principale rivolta verso l’interno, sulla Piazza Grande.
Era dotato di porticato e logge date in affitto dal Comune (del resto come si fa ancora oggi) per ospitare le botteghe di panettieri e merciai. La demolizione del primo palazzo comunale avvenne nel 1375, quando i veneziani intrapresero la costruzione del castello Amarina, costruito allora nell’area compresa tra il Palazzo Comunale e le mura con le tre torri del porto.

Guardando l’attuale palazzo comunale, più familiarmente chiamato “Municipio”, costruito nel 1875 dall’arch. G. Bruni, colpisce la rassomiglianza che si è voluto mantenere col primo Palazzo Comunale: la presenza di due corpi architettonici ai lati di una torre centrale, la presenza di una loggia, l’orologio e le campane con i due Mori. In pieno irredentismo tale scelta voleva, ricordando il primitivo palazzo comunale e il Libero Comune, ricordare in particolare quel periodo di libertà, autonomia, indipendenza, temi da sempre molto cari ai triestini.

3 commenti su “Trieste medievale – Dino Cafagna”

  1. Signor Cafagna, la ringrazio per le sue ricerche minuziose della città.La mia famiglia, (Sapla) è a Trieste dai primi dell’ottocento,quindi ì miei genitori raccontavano vari aneddoti.

  2. Ve ne racconto io qualcuno che apparirà sul mio prossimo libro:”Trieste,aneddotica,ironie,storie,da sapere sulla nostra città!”
    Il sindaco Bartoli viveva a villa Revoltella,ed aveva ricevuto in dono da dei operatori circensi,una leoncina,che teneva nella gabbia vicino alla sua abitazione. Un giorno invitò una delegazione internazionale a vederla(si espresse con loro in francese)Senza immaginare che in quella lingua ,la lionesse,è si la fiera ben conosciuta,ma anche in doppio senso”l’amante”Immaginarsi quei distinti diplomatici che per tutto il tragitto pensavano che il signor sindaco…volesse far conoscere loro la sua…amica intima!Al fine furono sonore risate!

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