Trieste nel 1300 si divideva in quattro rioni: Castello, Riborgo, Mercato e Cavana

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I cittadini non potevano girare durante la notte senza essere provvisti di un lampioncino. Di mattina, per tempo, la campana della torre di Caboro, in Castello, invitava ad uscire tutti i giornalieri occupati nei lavori fuori delle mura; mentre la prima campana del palazzo publico mandava i fabri, i falegnami e tutti gli esercenti le arti servili alle proprie botteghe.

La città si divideva in quattro rioni:
Castello, Riborgo, Mercato e Cavana.
Castello comprendeva le contrade Caboro, Pietralba, Pusterla, Figara, S. Lorenzo, Grumazzo, Prelaser, Zudati, Rena, Rivola e Pontar.
Riborgo tutte le straduccie incluse nel triangolo di case tra la porta omonima e la via Malcanton.
Mercato le vie Malcanton, Pozzo bianco, Gusion, Muda e Punta del forno.
Cavana invece andava da Punta del forno al barbacan di porta S. Michele e giù sino alla torre Tiepolo in capo alla via della Torretta.
Quartieri nobili erano Riborgo e Cavana; in quest’ ultimo si trovava la scuola publica, prossima alla chiesa di S. Sebastiano, e non lungi dall’arsenale. Mercato ospitava i trafficanti, i feneratori, i venditori di stoffe e panni, cera e ferramenta. Castello albergava poco numero di agricoltori e di facchini, detti anche bastasi; mentre gli artefici abitavano in via Sporcavilla e nelle rughe vicine. In Crosada c’era la loggia dei brigenti od artieri; un’ altra loggia sorgeva sul pendio di Donota, una terza in Riborgo, poco lungi dall’ospitale e dal vecchio noce, che il Comune difendeva mantenendovi un riparo di stecconi; i pescatori, i marinai ed i pegoloti occupavano le catapecchie, appoggiate quasi addosso alle mura, presso la torre della Fraternità o Fradella.
Abbondavano i torchi d’olio e le cantine in cui si pigiava l’ uva. L’ aspetto un po’ rustico era una parte della fisionomia di quasi tutte le città italiane, che ricettavano alquanti contadini e brentari.

Una delle caratteristiche del Medioevo era la divisione della cittadinanza per caste, visibile nei vari e curiosi aspetti delle stesse città. Il quartiere dei patrizi a Trieste si presentava pulito e tranquillo; rumoroso e laborioso quello della borghesia, la quale cominciava ad arricchirsi nei traffici; oscure e poverissime le vie in cui s’addensavano le famiglie dedite a lavori manuali.
La distinzione degli ordini sociali era voluta dalle leggi. Citiamo in proposito la seguente terminazione del Maggior Consiglio di Venezia : « Nessun scudiero o famiglio di alcun nobile o d’altri, non osi sedere sulle panche intorno alla chiesa di S. Giacomo a Rialto, nè sotto la loggia, nè sulle altre panche dove sogliono stare i nobili.

(Giuseppe Caprin “Il Trecento a Trieste”, Trieste 1897).

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