San Giovanni di Duino : Basilica Paleocristiana di S. Giovanni in Tuba

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La Basilica si trova a San Giovanni di Duino, località del comune di Duino-Aurisina nota anche per le risorgive del fiume Timavo. Nelle vicinanze, al di sopra della S.S. 14, è posto il monumento dedicato al 78º Reggimento fanteria “Lupi di Toscana”, a memoria delle valorose azioni militari condotte durante la Prima Guerra Mondiale, dalle pendici dell’Hermada fino alle foci del Timavo, dove nel maggio 1917 perse la vita il Maggiore Giovanni Randaccio. Non distante dal nucleo abitativo di San Giovanni di Duino è ubicata la grotta del Mitreo, scoperta nel 1964 dalla Società Alpina delle Giulie e dedicata al culto di origine indoiranica di Mithra, importato dalle legioni romane di ritorno dall’Oriente.

La Basilica di S. Giovanni in Tuba, in stile gotico, fu edificata nel XV secolo dai conti di Walsee, signori di Duino, in un’area che aveva già ospitato un tempio pagano di cui ci rimangono testimonianze epigrafiche, e sopra i resti di una basilica paleocristiana del V secolo d.C., della quale si conservano nel presbiterio della chiesa un pavimento a mosaico con elementi geometrici simili a quelli di Grado e Aquileia, e altri reperti a costituire un piccolo lapidario con calchi e iscrizioni.

Strabone, ci narra di Diomede, re dell’Etolia, che reduce dalla guerra di Troia avrebbe fatto costruire un tempio a Nettuno, con annessi due boschetti sacri. Vi era venerato anche Saturno, come si evince da un mortarium in argilla recante la scritta “NVMEN SATVRNI”, rinvenuto in uno scavo presso la porta principale della basilica. Su questo primigenio luogo di culto dedicato a Diomede, nel IV/V secolo fu costruita una chiesa dedicata a S.Giovanni Battista, santo delle acque, con annesso cenobio poi distrutto dagli Avari nel 610-611, e ricostruito. La basilica fu più e più volte devastata durante le invasioni barbariche a partire dal 402: prima dai Visigoti di Alarico, poi dai Vandali di Ricimiero, da Attila re degli Unni, e qualche decennio dopo da Odoacre, re degli Eruli. Nel 752 Duino passò sotto la dominazione dei Longobardi e infine sotto i Franchi di Carlo Magno. Tra il 900 e il 973, per ben otto volte gli Ungari invasero questi territori, distruggendo nuovamente il cenobio nel 902. Venne ricostruito e ancora distrutto per opera di pirati turchi.

Nel 1085, il patriarca di Aquileia, Uldarico I di Eppenstein, donò la chiesa, allora nota come S.ti Johannis de Timavo, all’abate Giovanni di Beligna affinché venissero ripresi gli offici religiosi. Nel 1113, in una fossa collocata dietro l’altar maggiore del presbiterio, il menzionato abate avrebbe rinvenuto delle importanti reliquie, nascoste almeno cinquecento anni prima al fine di preservarle dalla profanazione barbarica. Dei contenitori in marmo di queste reliquie, uno soltanto è giunto a noi, custodito nella sagrestia della chiesa arcipretale di Monfalcone. Reca un carme epigrafico in latino.

Nel 1121, la basilica, allora chiamata S.Johannes de Chars, venne restaurata e ingrandita ad opera di Uldarico o Vodolrico, con tre absidi più profonde e la costruzione della fossa sull’asse di quello centrale, eseguita in seguito alla scoperta delle reliquie. La suddivisione in tre navate con copertura a volte dovrebbe risalire al XIII secolo. Nel 1362, la basilica venne ancora saccheggiata e bruciata.

Nel 1430 nella chiesa furono deposti i corpi di Giorgio de Reichenburg e di Martha degli Ungnad, consorte di Giovanni de Reichenburg, capitano dei Walsee a Duino.

Nel 1483 la basilica fu ampliata dai signori di Walsee, assumendo un aspetto abbastanza simile a quello attuale.

Nel 1642 Giovanni Filippo della Torre costruì la torre campanaria e suo figlio, conte Filippo Giacomo, fece erigere l’altar maggiore. Nel 1712 venne sepolto nella chiesa il conte Luigi Leopoldo della Torre.

Durante il conflitto 1915-1918, l’edificio venne a trovarsi sulla linea del fuoco e la chiesa fu quasi totalmente distrutta: crollò il campanile veneziano, il tetto, e il più dei muri perimetrali. Andarono perduti tutti gli affreschi. A quei tempi la basilica si presentava in stile barocco, con un grande altare su cui svettava una pala ottocentesca che ne ricopriva completamente la finestra centrale. Conteneva altri quattro altari, due alle pareti laterali e due di fronte all’ingresso – una galleria per l’organo era alloggiata sopra due colonne. Viene ricordata sovraccarica di lapidi, dipinti e lampade, tanto da riempire ogni spazio utile, nel più invadente stile barocco. Dovrà subire ancora lo scempio del tempo e i danni di un nuovo conflitto bellico prima che si intervenga al recupero di ciò che ne sarà rimasto. Un intervento iniziato nel 1949, per interessamento del generale Airey del GMA, con l’intento di riportare la basilica alle sue forme originali. Ristrutturazione che avrebbe fatto emergere importanti strutture murarie sepolte e indagate con maggiore attenzione nel 1961 dall’archeologo Mario Mirabella Roberti: un pavimento con motivi geometrici a ottagoni e quadrati, un’abside poligonale con tre lapidi votive dedicate alla Spes Augusta, risalenti alla metà del V secolo, una fossa medievale scoperta al centro del presbiterio in cui fu raccolto il deposito delle reliquie, e altre parti architettoniche riconducibili al XV secolo.

«Vi si è riconosciuta nell’insieme una basilica orientata, larga m 11 e lunga m 21 dal muro di facciata all’attacco dell’abside (misure interne); questa, poligonale all’esterno, è profonda m 3,40 e larga m 4,50. Mentre il muro meridionale della basilica è stato asportato, i resti del muro settentrionale erano ben conservati all’interno della chiesa odierna insieme con le strutture essenziali del presbiterio; questo è tuttora visibile, perché l’altare attuale, impostato su un pilastro di cemento armato, sporge dall’area di scavo che rimane così libera. » (Cuscito 1992)

Il restauro fu seguito dal soprintendente architetto Fausto Franco e si concluse il 3 novembre 1951. Altri elementi in marmo, di età alto-medievale, furono disposti ad arte all’interno dell’edificio. Le lapidi di fronte all’ingresso provengono da un antico cimitero rimosso nel 1915.

Nel 1990 la chiesa di S.Giovanni in Tuba ha subito ulteriori restauri. (g.c.)


BIBLIOGRAFIA
:

P. KANDLER, Della chiesa di S. Giovanni de Tuba od al Timavo, in «L’Istria» IV, 1849;

E. MARCON, L’abbazia di S. Giovanni di Tuba, in «La Panarie» 59, 1933;

M. MIRABELLA ROBERTI, La basilica paleocristiana di San Giovanni del Timavo, in «Studi monfalconesi e duinati» 1976;

G. CUSCITO, Le Chiese di Trieste. Trieste 1992;

F. ZUBINI, Chiesa di S.Giovanni in Tuba, in «Duino-Aurisina». Trieste 1994

 

 

 

 

 

 

 

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