Trieste – Molo San Carlo / Audace

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Trieste - Molo San Carlo / Audace

Il molo San Carlo venne costruito tra il 1743 ed il 1751.
Nel 1740 era affondata nel porto di Trieste, la nave San Carlo che venne utilizzata come base per la costruzione del nuovo molo, ispirandone il nome.

Più corto di quanto lo sia attualmente, misurava 95 metri di lunghezza ed era unito a terra tramite un piccolo ponte di legno. Nel 1778 venne allungato di 19 metri e nel 1860-1861 di altri 132 metri, raggiungendo così l’attuale lunghezza di 246 metri. Anche il ponte venne eliminato, congiungendo il molo direttamente alla terraferma.
Al molo san Carlo attraccavano allora sia navi passeggeri che navi mercantili, con gran movimento di persone e di merci.
Alla fine della prima guerra mondiale, il 3 novembre del 1918, la prima nave della Marina Italiana ad attraccare al molo San Carlo fu il cacciatorpediniere Audace, la cui ancora è ora esposta alla base del faro della Vittoria.
In ricordo di questo avvenimento nel marzo del 1922 venne cambiato il nome da San Carlo in Audace. All’estremità del molo, nel 1925, venne eretta una rosa dei venti in bronzo, con al centro una epigrafe che ricorda l’approdo, e sul fianco la dicitura “Fusa nel bronzo nemico III novembre MCMXXV”. La rosa, sorretta da una colonna in pietra bianca, sostituì una precedente rosa dei venti tutta in pietra. La data MCMIL incisa sulla colonna ricorda il ripristino della stessa dopo il danneggiamento subito durante la seconda guerra mondiale.
Nel tempo, con lo spostamento dei traffici marittimi in altre zone del porto, il molo Audace ha progressivamente perso la sua funzione mercantile, ed oggi vi attraccano saltuariamente solo imbarcazioni di passaggio. Il molo, oltre che meta turistica, è rimasto nella tradizione triestina un frequentato luogo di passeggio. (Fonti: Wikipedia e altre)

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Molo San Carlo

Il molo San Carlo venne costruito tra il 1743 ed il 1751.
Nel 1740 era affondata nel porto di Trieste, la nave San Carlo che venne utilizzata come base per la costruzione del nuovo molo, ispirandone il nome.

Più corto di quanto lo sia attualmente, misurava 95 metri di lunghezza ed era unito a terra tramite un piccolo ponte di legno. Nel 1778 venne allungato di 19 metri e nel 1860-1861 di altri 132 metri, raggiungendo così l’attuale lunghezza di 246 metri. Anche il ponte venne eliminato, congiungendo il molo direttamente alla terraferma.
Al molo san Carlo attraccavano allora sia navi passeggeri che navi mercantili, con gran movimento di persone e di merci.
Alla fine della prima guerra mondiale, il 3 novembre del 1918, la prima nave della Marina Italiana ad attraccare al molo San Carlo fu il cacciatorpediniere Audace, la cui ancora è ora esposta alla base del faro della Vittoria.
In ricordo di questo avvenimento nel marzo del 1922 venne cambiato il nome da San Carlo in Audace. All’estremità del molo, nel 1925, venne eretta una rosa dei venti in bronzo, con al centro una epigrafe che ricorda l’approdo, e sul fianco la dicitura “Fusa nel bronzo nemico III novembre MCMXXV”. La rosa, sorretta da una colonna in pietra bianca, sostituì una precedente rosa dei venti tutta in pietra. La data MCMIL incisa sulla colonna ricorda il ripristino della stessa dopo il danneggiamento subito durante la seconda guerra mondiale.
Nel tempo, con lo spostamento dei traffici marittimi in altre zone del porto, il molo Audace ha progressivamente perso la sua funzione mercantile, ed oggi vi attraccano saltuariamente solo imbarcazioni di passaggio. Il molo, oltre che meta turistica, è rimasto nella tradizione triestina un frequentato luogo di passeggio. (Fonti: Wikipedia e altre)

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Il molo San Carlo venne costruito tra il 1743 ed il 1751.
Nel 1740 era affondata nel porto di Trieste, la nave San Carlo che venne utilizzata come base per la costruzione del nuovo molo, ispirandone il nome.

Più corto di quanto lo sia attualmente, misurava 95 metri di lunghezza ed era unito a terra tramite un piccolo ponte di legno. Nel 1778 venne allungato di 19 metri e nel 1860-1861 di altri 132 metri, raggiungendo così l’attuale lunghezza di 246 metri. Anche il ponte venne eliminato, congiungendo il molo direttamente alla terraferma.
Al molo san Carlo attraccavano allora sia navi passeggeri che navi mercantili, con gran movimento di persone e di merci.
Alla fine della prima guerra mondiale, il 3 novembre del 1918, la prima nave della Marina Italiana ad attraccare al molo San Carlo fu il cacciatorpediniere Audace, la cui ancora è ora esposta alla base del faro della Vittoria.
In ricordo di questo avvenimento nel marzo del 1922 venne cambiato il nome da San Carlo in Audace. All’estremità del molo, nel 1925, venne eretta una rosa dei venti in bronzo, con al centro una epigrafe che ricorda l’approdo, e sul fianco la dicitura “Fusa nel bronzo nemico III novembre MCMXXV”. La rosa, sorretta da una colonna in pietra bianca, sostituì una precedente rosa dei venti tutta in pietra. La data MCMIL incisa sulla colonna ricorda il ripristino della stessa dopo il danneggiamento subito durante la seconda guerra mondiale.
Nel tempo, con lo spostamento dei traffici marittimi in altre zone del porto, il molo Audace ha progressivamente perso la sua funzione mercantile, ed oggi vi attraccano saltuariamente solo imbarcazioni di passaggio. Il molo, oltre che meta turistica, è rimasto nella tradizione triestina un frequentato luogo di passeggio. (Fonti: Wikipedia e altre)

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Il molo San Carlo venne costruito tra il 1743 ed il 1751.
Nel 1740 era affondata nel porto di Trieste, la nave San Carlo che venne utilizzata come base per la costruzione del nuovo molo, ispirandone il nome.

Più corto di quanto lo sia attualmente, misurava 95 metri di lunghezza ed era unito a terra tramite un piccolo ponte di legno. Nel 1778 venne allungato di 19 metri e nel 1860-1861 di altri 132 metri, raggiungendo così l’attuale lunghezza di 246 metri. Anche il ponte venne eliminato, congiungendo il molo direttamente alla terraferma.
Al molo san Carlo attraccavano allora sia navi passeggeri che navi mercantili, con gran movimento di persone e di merci.
Alla fine della prima guerra mondiale, il 3 novembre del 1918, la prima nave della Marina Italiana ad attraccare al molo San Carlo fu il cacciatorpediniere Audace, la cui ancora è ora esposta alla base del faro della Vittoria.
In ricordo di questo avvenimento nel marzo del 1922 venne cambiato il nome da San Carlo in Audace. All’estremità del molo, nel 1925, venne eretta una rosa dei venti in bronzo, con al centro una epigrafe che ricorda l’approdo, e sul fianco la dicitura “Fusa nel bronzo nemico III novembre MCMXXV”. La rosa, sorretta da una colonna in pietra bianca, sostituì una precedente rosa dei venti tutta in pietra. La data MCMIL incisa sulla colonna ricorda il ripristino della stessa dopo il danneggiamento subito durante la seconda guerra mondiale.
Nel tempo, con lo spostamento dei traffici marittimi in altre zone del porto, il molo Audace ha progressivamente perso la sua funzione mercantile, ed oggi vi attraccano saltuariamente solo imbarcazioni di passaggio. Il molo, oltre che meta turistica, è rimasto nella tradizione triestina un frequentato luogo di passeggio. (Fonti: Wikipedia e altre)

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Più corto di quanto lo sia attualmente, misurava 95 metri di lunghezza ed era unito a terra tramite un piccolo ponte di legno. Nel 1778 venne allungato di 19 metri e nel 1860-1861 di altri 132 metri, raggiungendo così l’attuale lunghezza di 246 metri. Anche il ponte venne eliminato, congiungendo il molo direttamente alla terraferma.
Al molo san Carlo attraccavano allora sia navi passeggeri che navi mercantili, con gran movimento di persone e di merci.
Alla fine della prima guerra mondiale, il 3 novembre del 1918, la prima nave della Marina Italiana ad attraccare al molo San Carlo fu il cacciatorpediniere Audace, la cui ancora è ora esposta alla base del faro della Vittoria.
In ricordo di questo avvenimento nel marzo del 1922 venne cambiato il nome da San Carlo in Audace. All’estremità del molo, nel 1925, venne eretta una rosa dei venti in bronzo, con al centro una epigrafe che ricorda l’approdo, e sul fianco la dicitura “Fusa nel bronzo nemico III novembre MCMXXV”. La rosa, sorretta da una colonna in pietra bianca, sostituì una precedente rosa dei venti tutta in pietra. La data MCMIL incisa sulla colonna ricorda il ripristino della stessa dopo il danneggiamento subito durante la seconda guerra mondiale.
Nel tempo, con lo spostamento dei traffici marittimi in altre zone del porto, il molo Audace ha progressivamente perso la sua funzione mercantile, ed oggi vi attraccano saltuariamente solo imbarcazioni di passaggio. Il molo, oltre che meta turistica, è rimasto nella tradizione triestina un frequentato luogo di passeggio. (Fonti: Wikipedia e altre)

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Il molo San Carlo venne costruito tra il 1743 ed il 1751.
Nel 1740 era affondata nel porto di Trieste, la nave San Carlo che venne utilizzata come base per la costruzione del nuovo molo, ispirandone il nome.

Più corto di quanto lo sia attualmente, misurava 95 metri di lunghezza ed era unito a terra tramite un piccolo ponte di legno. Nel 1778 venne allungato di 19 metri e nel 1860-1861 di altri 132 metri, raggiungendo così l’attuale lunghezza di 246 metri. Anche il ponte venne eliminato, congiungendo il molo direttamente alla terraferma.
Al molo san Carlo attraccavano allora sia navi passeggeri che navi mercantili, con gran movimento di persone e di merci.
Alla fine della prima guerra mondiale, il 3 novembre del 1918, la prima nave della Marina Italiana ad attraccare al molo San Carlo fu il cacciatorpediniere Audace, la cui ancora è ora esposta alla base del faro della Vittoria.
In ricordo di questo avvenimento nel marzo del 1922 venne cambiato il nome da San Carlo in Audace. All’estremità del molo, nel 1925, venne eretta una rosa dei venti in bronzo, con al centro una epigrafe che ricorda l’approdo, e sul fianco la dicitura “Fusa nel bronzo nemico III novembre MCMXXV”. La rosa, sorretta da una colonna in pietra bianca, sostituì una precedente rosa dei venti tutta in pietra. La data MCMIL incisa sulla colonna ricorda il ripristino della stessa dopo il danneggiamento subito durante la seconda guerra mondiale.
Nel tempo, con lo spostamento dei traffici marittimi in altre zone del porto, il molo Audace ha progressivamente perso la sua funzione mercantile, ed oggi vi attraccano saltuariamente solo imbarcazioni di passaggio. Il molo, oltre che meta turistica, è rimasto nella tradizione triestina un frequentato luogo di passeggio. (Fonti: Wikipedia e altre)

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Più corto di quanto lo sia attualmente, misurava 95 metri di lunghezza ed era unito a terra tramite un piccolo ponte di legno. Nel 1778 venne allungato di 19 metri e nel 1860-1861 di altri 132 metri, raggiungendo così l’attuale lunghezza di 246 metri. Anche il ponte venne eliminato, congiungendo il molo direttamente alla terraferma.
Al molo san Carlo attraccavano allora sia navi passeggeri che navi mercantili, con gran movimento di persone e di merci.
Alla fine della prima guerra mondiale, il 3 novembre del 1918, la prima nave della Marina Italiana ad attraccare al molo San Carlo fu il cacciatorpediniere Audace, la cui ancora è ora esposta alla base del faro della Vittoria.
In ricordo di questo avvenimento nel marzo del 1922 venne cambiato il nome da San Carlo in Audace. All’estremità del molo, nel 1925, venne eretta una rosa dei venti in bronzo, con al centro una epigrafe che ricorda l’approdo, e sul fianco la dicitura “Fusa nel bronzo nemico III novembre MCMXXV”. La rosa, sorretta da una colonna in pietra bianca, sostituì una precedente rosa dei venti tutta in pietra. La data MCMIL incisa sulla colonna ricorda il ripristino della stessa dopo il danneggiamento subito durante la seconda guerra mondiale.
Nel tempo, con lo spostamento dei traffici marittimi in altre zone del porto, il molo Audace ha progressivamente perso la sua funzione mercantile, ed oggi vi attraccano saltuariamente solo imbarcazioni di passaggio. Il molo, oltre che meta turistica, è rimasto nella tradizione triestina un frequentato luogo di passeggio. (Fonti: Wikipedia e altre)

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Più corto di quanto lo sia attualmente, misurava 95 metri di lunghezza ed era unito a terra tramite un piccolo ponte di legno. Nel 1778 venne allungato di 19 metri e nel 1860-1861 di altri 132 metri, raggiungendo così l’attuale lunghezza di 246 metri. Anche il ponte venne eliminato, congiungendo il molo direttamente alla terraferma.
Al molo san Carlo attraccavano allora sia navi passeggeri che navi mercantili, con gran movimento di persone e di merci.
Alla fine della prima guerra mondiale, il 3 novembre del 1918, la prima nave della Marina Italiana ad attraccare al molo San Carlo fu il cacciatorpediniere Audace, la cui ancora è ora esposta alla base del faro della Vittoria.
In ricordo di questo avvenimento nel marzo del 1922 venne cambiato il nome da San Carlo in Audace. All’estremità del molo, nel 1925, venne eretta una rosa dei venti in bronzo, con al centro una epigrafe che ricorda l’approdo, e sul fianco la dicitura “Fusa nel bronzo nemico III novembre MCMXXV”. La rosa, sorretta da una colonna in pietra bianca, sostituì una precedente rosa dei venti tutta in pietra. La data MCMIL incisa sulla colonna ricorda il ripristino della stessa dopo il danneggiamento subito durante la seconda guerra mondiale.
Nel tempo, con lo spostamento dei traffici marittimi in altre zone del porto, il molo Audace ha progressivamente perso la sua funzione mercantile, ed oggi vi attraccano saltuariamente solo imbarcazioni di passaggio. Il molo, oltre che meta turistica, è rimasto nella tradizione triestina un frequentato luogo di passeggio. (Fonti: Wikipedia e altre)

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Più corto di quanto lo sia attualmente, misurava 95 metri di lunghezza ed era unito a terra tramite un piccolo ponte di legno. Nel 1778 venne allungato di 19 metri e nel 1860-1861 di altri 132 metri, raggiungendo così l’attuale lunghezza di 246 metri. Anche il ponte venne eliminato, congiungendo il molo direttamente alla terraferma.
Al molo san Carlo attraccavano allora sia navi passeggeri che navi mercantili, con gran movimento di persone e di merci.
Alla fine della prima guerra mondiale, il 3 novembre del 1918, la prima nave della Marina Italiana ad attraccare al molo San Carlo fu il cacciatorpediniere Audace, la cui ancora è ora esposta alla base del faro della Vittoria.
In ricordo di questo avvenimento nel marzo del 1922 venne cambiato il nome da San Carlo in Audace. All’estremità del molo, nel 1925, venne eretta una rosa dei venti in bronzo, con al centro una epigrafe che ricorda l’approdo, e sul fianco la dicitura “Fusa nel bronzo nemico III novembre MCMXXV”. La rosa, sorretta da una colonna in pietra bianca, sostituì una precedente rosa dei venti tutta in pietra. La data MCMIL incisa sulla colonna ricorda il ripristino della stessa dopo il danneggiamento subito durante la seconda guerra mondiale.
Nel tempo, con lo spostamento dei traffici marittimi in altre zone del porto, il molo Audace ha progressivamente perso la sua funzione mercantile, ed oggi vi attraccano saltuariamente solo imbarcazioni di passaggio. Il molo, oltre che meta turistica, è rimasto nella tradizione triestina un frequentato luogo di passeggio. (Fonti: Wikipedia e altre)

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Il molo San Carlo venne costruito tra il 1743 ed il 1751.
Nel 1740 era affondata nel porto di Trieste, la nave San Carlo che venne utilizzata come base per la costruzione del nuovo molo, ispirandone il nome.

Più corto di quanto lo sia attualmente, misurava 95 metri di lunghezza ed era unito a terra tramite un piccolo ponte di legno. Nel 1778 venne allungato di 19 metri e nel 1860-1861 di altri 132 metri, raggiungendo così l’attuale lunghezza di 246 metri. Anche il ponte venne eliminato, congiungendo il molo direttamente alla terraferma.
Al molo san Carlo attraccavano allora sia navi passeggeri che navi mercantili, con gran movimento di persone e di merci.
Alla fine della prima guerra mondiale, il 3 novembre del 1918, la prima nave della Marina Italiana ad attraccare al molo San Carlo fu il cacciatorpediniere Audace, la cui ancora è ora esposta alla base del faro della Vittoria.
In ricordo di questo avvenimento nel marzo del 1922 venne cambiato il nome da San Carlo in Audace. All’estremità del molo, nel 1925, venne eretta una rosa dei venti in bronzo, con al centro una epigrafe che ricorda l’approdo, e sul fianco la dicitura “Fusa nel bronzo nemico III novembre MCMXXV”. La rosa, sorretta da una colonna in pietra bianca, sostituì una precedente rosa dei venti tutta in pietra. La data MCMIL incisa sulla colonna ricorda il ripristino della stessa dopo il danneggiamento subito durante la seconda guerra mondiale.
Nel tempo, con lo spostamento dei traffici marittimi in altre zone del porto, il molo Audace ha progressivamente perso la sua funzione mercantile, ed oggi vi attraccano saltuariamente solo imbarcazioni di passaggio. Il molo, oltre che meta turistica, è rimasto nella tradizione triestina un frequentato luogo di passeggio. (Fonti: Wikipedia e altre)

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Il molo San Carlo venne costruito tra il 1743 ed il 1751.
Nel 1740 era affondata nel porto di Trieste, la nave San Carlo che venne utilizzata come base per la costruzione del nuovo molo, ispirandone il nome.

Più corto di quanto lo sia attualmente, misurava 95 metri di lunghezza ed era unito a terra tramite un piccolo ponte di legno. Nel 1778 venne allungato di 19 metri e nel 1860-1861 di altri 132 metri, raggiungendo così l’attuale lunghezza di 246 metri. Anche il ponte venne eliminato, congiungendo il molo direttamente alla terraferma.
Al molo san Carlo attraccavano allora sia navi passeggeri che navi mercantili, con gran movimento di persone e di merci.
Alla fine della prima guerra mondiale, il 3 novembre del 1918, la prima nave della Marina Italiana ad attraccare al molo San Carlo fu il cacciatorpediniere Audace, la cui ancora è ora esposta alla base del faro della Vittoria.
In ricordo di questo avvenimento nel marzo del 1922 venne cambiato il nome da San Carlo in Audace. All’estremità del molo, nel 1925, venne eretta una rosa dei venti in bronzo, con al centro una epigrafe che ricorda l’approdo, e sul fianco la dicitura “Fusa nel bronzo nemico III novembre MCMXXV”. La rosa, sorretta da una colonna in pietra bianca, sostituì una precedente rosa dei venti tutta in pietra. La data MCMIL incisa sulla colonna ricorda il ripristino della stessa dopo il danneggiamento subito durante la seconda guerra mondiale.
Nel tempo, con lo spostamento dei traffici marittimi in altre zone del porto, il molo Audace ha progressivamente perso la sua funzione mercantile, ed oggi vi attraccano saltuariamente solo imbarcazioni di passaggio. Il molo, oltre che meta turistica, è rimasto nella tradizione triestina un frequentato luogo di passeggio. (Fonti: Wikipedia e altre)

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Nel 1740 era affondata nel porto di Trieste, la nave San Carlo che venne utilizzata come base per la costruzione del nuovo molo, ispirandone il nome.

Più corto di quanto lo sia attualmente, misurava 95 metri di lunghezza ed era unito a terra tramite un piccolo ponte di legno. Nel 1778 venne allungato di 19 metri e nel 1860-1861 di altri 132 metri, raggiungendo così l’attuale lunghezza di 246 metri. Anche il ponte venne eliminato, congiungendo il molo direttamente alla terraferma.
Al molo san Carlo attraccavano allora sia navi passeggeri che navi mercantili, con gran movimento di persone e di merci.
Alla fine della prima guerra mondiale, il 3 novembre del 1918, la prima nave della Marina Italiana ad attraccare al molo San Carlo fu il cacciatorpediniere Audace, la cui ancora è ora esposta alla base del faro della Vittoria.
In ricordo di questo avvenimento nel marzo del 1922 venne cambiato il nome da San Carlo in Audace. All’estremità del molo, nel 1925, venne eretta una rosa dei venti in bronzo, con al centro una epigrafe che ricorda l’approdo, e sul fianco la dicitura “Fusa nel bronzo nemico III novembre MCMXXV”. La rosa, sorretta da una colonna in pietra bianca, sostituì una precedente rosa dei venti tutta in pietra. La data MCMIL incisa sulla colonna ricorda il ripristino della stessa dopo il danneggiamento subito durante la seconda guerra mondiale.
Nel tempo, con lo spostamento dei traffici marittimi in altre zone del porto, il molo Audace ha progressivamente perso la sua funzione mercantile, ed oggi vi attraccano saltuariamente solo imbarcazioni di passaggio. Il molo, oltre che meta turistica, è rimasto nella tradizione triestina un frequentato luogo di passeggio. (Fonti: Wikipedia e altre)

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Nel 1740 era affondata nel porto di Trieste, la nave San Carlo che venne utilizzata come base per la costruzione del nuovo molo, ispirandone il nome.

Più corto di quanto lo sia attualmente, misurava 95 metri di lunghezza ed era unito a terra tramite un piccolo ponte di legno. Nel 1778 venne allungato di 19 metri e nel 1860-1861 di altri 132 metri, raggiungendo così l’attuale lunghezza di 246 metri. Anche il ponte venne eliminato, congiungendo il molo direttamente alla terraferma.
Al molo san Carlo attraccavano allora sia navi passeggeri che navi mercantili, con gran movimento di persone e di merci.
Alla fine della prima guerra mondiale, il 3 novembre del 1918, la prima nave della Marina Italiana ad attraccare al molo San Carlo fu il cacciatorpediniere Audace, la cui ancora è ora esposta alla base del faro della Vittoria.
In ricordo di questo avvenimento nel marzo del 1922 venne cambiato il nome da San Carlo in Audace. All’estremità del molo, nel 1925, venne eretta una rosa dei venti in bronzo, con al centro una epigrafe che ricorda l’approdo, e sul fianco la dicitura “Fusa nel bronzo nemico III novembre MCMXXV”. La rosa, sorretta da una colonna in pietra bianca, sostituì una precedente rosa dei venti tutta in pietra. La data MCMIL incisa sulla colonna ricorda il ripristino della stessa dopo il danneggiamento subito durante la seconda guerra mondiale.
Nel tempo, con lo spostamento dei traffici marittimi in altre zone del porto, il molo Audace ha progressivamente perso la sua funzione mercantile, ed oggi vi attraccano saltuariamente solo imbarcazioni di passaggio. Il molo, oltre che meta turistica, è rimasto nella tradizione triestina un frequentato luogo di passeggio. (Fonti: Wikipedia e altre)

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Molo San Carlo

Il molo San Carlo venne costruito tra il 1743 ed il 1751.
Nel 1740 era affondata nel porto di Trieste, la nave San Carlo che venne utilizzata come base per la costruzione del nuovo molo, ispirandone il nome.

Più corto di quanto lo sia attualmente, misurava 95 metri di lunghezza ed era unito a terra tramite un piccolo ponte di legno. Nel 1778 venne allungato di 19 metri e nel 1860-1861 di altri 132 metri, raggiungendo così l’attuale lunghezza di 246 metri. Anche il ponte venne eliminato, congiungendo il molo direttamente alla terraferma.
Al molo san Carlo attraccavano allora sia navi passeggeri che navi mercantili, con gran movimento di persone e di merci.
Alla fine della prima guerra mondiale, il 3 novembre del 1918, la prima nave della Marina Italiana ad attraccare al molo San Carlo fu il cacciatorpediniere Audace, la cui ancora è ora esposta alla base del faro della Vittoria.
In ricordo di questo avvenimento nel marzo del 1922 venne cambiato il nome da San Carlo in Audace. All’estremità del molo, nel 1925, venne eretta una rosa dei venti in bronzo, con al centro una epigrafe che ricorda l’approdo, e sul fianco la dicitura “Fusa nel bronzo nemico III novembre MCMXXV”. La rosa, sorretta da una colonna in pietra bianca, sostituì una precedente rosa dei venti tutta in pietra. La data MCMIL incisa sulla colonna ricorda il ripristino della stessa dopo il danneggiamento subito durante la seconda guerra mondiale.
Nel tempo, con lo spostamento dei traffici marittimi in altre zone del porto, il molo Audace ha progressivamente perso la sua funzione mercantile, ed oggi vi attraccano saltuariamente solo imbarcazioni di passaggio. Il molo, oltre che meta turistica, è rimasto nella tradizione triestina un frequentato luogo di passeggio. (Fonti: Wikipedia e altre)

Trieste – Piazza del Ponterosso

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Trieste, Piazza del Ponterosso

Piazza del Ponterosso

È stata la prima piazza del Borgo Teresiano e prende il nome dal ponte rosso che attraversa il canale nella sua parte centrale. Venne creata grazie all’enorme quantità di terra ricavata dall’ampliamento del Canal Grande che servì da basamento per un terrapieno utilizzato per piccoli scambi commerciali in prossimità del ponte. Fu proprio quel terrapieno a trasformarsi nella futura Piazza del Ponte Rosso. Lo spazio fu regolarizzato e concepito nelle sue forme architettoniche da Gianantonio Tognana già nel 1776, derivando il suo appellativo proprio dal colore del “ponte rosso” che costituiva il passaggio obbligato tra la città vecchia e quella nuova. La sua posizione strategica, prospiciente il punto di approdo delle navi e al crocevia di importanti vie di comunicazione, rese la piazza uno dei punti di incontro più dinamici dal punto di vista commerciale e mercantile, divenendo ben presto sede di un vivace mercato ortofrutticolo. Piazza del Ponterosso fu, sin dalla sua iniziale creazione, un’ampia piazza quadrangolare circondata da numerosi edifici di gran pregio architettonico, le cui prime registrazioni tavolari risalgono al 1789. Tagliata a metà dall’odierna Via Roma, lo spazio presenta sul lato a settentrione una fontana a tre bocche rappresentante una rupe sul cui vertice poggia un genio fluviatile. Un tempo sede di un ricco mercato di fiori, frutta e verdura, è stata recentemente sottoposta ad un piano di riqualifica urbana e ripavimentata con masegni. Nel centro vi è una fontana, la fontana del Giovanin, realizzata nel 1750 in occasione dell’apertura dell’acquedotto costruito sotto il regno di Maria Teresa d’Austria. Il putto che adorna la fontana è conosciuto come Giovanin di Ponterosso perché la fontana riceveva la sua acqua dall’acquedotto dal quartiere di San Giovanni. (Fonte: Biblioteche comunali)

Trieste – Piazza del Ponterosso

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Trieste - Piazza del Ponterosso

Piazza del Ponterosso

È stata la prima piazza del Borgo Teresiano e prende il nome dal ponte rosso che attraversa il canale nella sua parte centrale. Venne creata grazie all’enorme quantità di terra ricavata dall’ampliamento del Canal Grande che servì da basamento per un terrapieno utilizzato per piccoli scambi commerciali in prossimità del ponte. Fu proprio quel terrapieno a trasformarsi nella futura Piazza del Ponte Rosso. Lo spazio fu regolarizzato e concepito nelle sue forme architettoniche da Gianantonio Tognana già nel 1776, derivando il suo appellativo proprio dal colore del “ponte rosso” che costituiva il passaggio obbligato tra la città vecchia e quella nuova. La sua posizione strategica, prospiciente il punto di approdo delle navi e al crocevia di importanti vie di comunicazione, rese la piazza uno dei punti di incontro più dinamici dal punto di vista commerciale e mercantile, divenendo ben presto sede di un vivace mercato ortofrutticolo. Piazza del Ponterosso fu, sin dalla sua iniziale creazione, un’ampia piazza quadrangolare circondata da numerosi edifici di gran pregio architettonico, le cui prime registrazioni tavolari risalgono al 1789. Tagliata a metà dall’odierna Via Roma, lo spazio presenta sul lato a settentrione una fontana a tre bocche rappresentante una rupe sul cui vertice poggia un genio fluviatile. Un tempo sede di un ricco mercato di fiori, frutta e verdura, è stata recentemente sottoposta ad un piano di riqualifica urbana e ripavimentata con masegni. Nel centro vi è una fontana, la fontana del Giovanin, realizzata nel 1750 in occasione dell’apertura dell’acquedotto costruito sotto il regno di Maria Teresa d’Austria. Il putto che adorna la fontana è conosciuto come Giovanin di Ponterosso perché la fontana riceveva la sua acqua dall’acquedotto dal quartiere di San Giovanni. (Fonte: Biblioteche comunali)

Trieste – Piazza del Ponterosso

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Piazza del Ponterosso

Piazza del Ponterosso

È stata la prima piazza del Borgo Teresiano e prende il nome dal ponte rosso che attraversa il canale nella sua parte centrale. Venne creata grazie all’enorme quantità di terra ricavata dall’ampliamento del Canal Grande che servì da basamento per un terrapieno utilizzato per piccoli scambi commerciali in prossimità del ponte. Fu proprio quel terrapieno a trasformarsi nella futura Piazza del Ponte Rosso. Lo spazio fu regolarizzato e concepito nelle sue forme architettoniche da Gianantonio Tognana già nel 1776, derivando il suo appellativo proprio dal colore del “ponte rosso” che costituiva il passaggio obbligato tra la città vecchia e quella nuova. La sua posizione strategica, prospiciente il punto di approdo delle navi e al crocevia di importanti vie di comunicazione, rese la piazza uno dei punti di incontro più dinamici dal punto di vista commerciale e mercantile, divenendo ben presto sede di un vivace mercato ortofrutticolo. Piazza del Ponterosso fu, sin dalla sua iniziale creazione, un’ampia piazza quadrangolare circondata da numerosi edifici di gran pregio architettonico, le cui prime registrazioni tavolari risalgono al 1789. Tagliata a metà dall’odierna Via Roma, lo spazio presenta sul lato a settentrione una fontana a tre bocche rappresentante una rupe sul cui vertice poggia un genio fluviatile. Un tempo sede di un ricco mercato di fiori, frutta e verdura, è stata recentemente sottoposta ad un piano di riqualifica urbana e ripavimentata con masegni. Nel centro vi è una fontana, la fontana del Giovanin, realizzata nel 1750 in occasione dell’apertura dell’acquedotto costruito sotto il regno di Maria Teresa d’Austria. Il putto che adorna la fontana è conosciuto come Giovanin di Ponterosso perché la fontana riceveva la sua acqua dall’acquedotto dal quartiere di San Giovanni. (Fonte: Biblioteche comunali)

Trieste – Piazza del Ponterosso

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Trieste - Piazza del Ponterosso

Piazza del Ponterosso

È stata la prima piazza del Borgo Teresiano e prende il nome dal ponte rosso che attraversa il canale nella sua parte centrale. Venne creata grazie all’enorme quantità di terra ricavata dall’ampliamento del Canal Grande che servì da basamento per un terrapieno utilizzato per piccoli scambi commerciali in prossimità del ponte. Fu proprio quel terrapieno a trasformarsi nella futura Piazza del Ponte Rosso. Lo spazio fu regolarizzato e concepito nelle sue forme architettoniche da Gianantonio Tognana già nel 1776, derivando il suo appellativo proprio dal colore del “ponte rosso” che costituiva il passaggio obbligato tra la città vecchia e quella nuova. La sua posizione strategica, prospiciente il punto di approdo delle navi e al crocevia di importanti vie di comunicazione, rese la piazza uno dei punti di incontro più dinamici dal punto di vista commerciale e mercantile, divenendo ben presto sede di un vivace mercato ortofrutticolo. Piazza del Ponterosso fu, sin dalla sua iniziale creazione, un’ampia piazza quadrangolare circondata da numerosi edifici di gran pregio architettonico, le cui prime registrazioni tavolari risalgono al 1789. Tagliata a metà dall’odierna Via Roma, lo spazio presenta sul lato a settentrione una fontana a tre bocche rappresentante una rupe sul cui vertice poggia un genio fluviatile. Un tempo sede di un ricco mercato di fiori, frutta e verdura, è stata recentemente sottoposta ad un piano di riqualifica urbana e ripavimentata con masegni. Nel centro vi è una fontana, la fontana del Giovanin, realizzata nel 1750 in occasione dell’apertura dell’acquedotto costruito sotto il regno di Maria Teresa d’Austria. Il putto che adorna la fontana è conosciuto come Giovanin di Ponterosso perché la fontana riceveva la sua acqua dall’acquedotto dal quartiere di San Giovanni. (Fonte: Biblioteche comunali)

Rotonda Pancera, piano nobile, affreschi di Giuseppe Gatteri.

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Rotonda Pancera, piano nobile, affreschi di Giuseppe Gatteri.

Rotonda Pancera, piano nobile, affreschi di Giuseppe Gatteri

Giuseppe Gatteri (Rivolto di Codroipo, 1799 – Trieste, 1878).

Padre di Giuseppe Lorenzo Gatteri, influenzato da Giuseppe Bernardino Bison, operò con successo come decoratore, dedito all’affresco a tempera. Poche le sue opere da cavalletto. Tra le prime opere triestine le decorazioni della Rotonda Pancera. Nel 1825/26 affrescò il Caffè di Tomaso Marcato, a cui seguirono numerosi interventi decorativi, in gran parte perduti (Palazzo Schwahofer, 1829; Teatro della Società Filarmonica, in via degli artisti, 1829; Casa Popovich, 1832; Teatro Grande, 1835). Nel 1840 si trasferì a Venezia con la famiglia, dove rimase fino al 1852. In quegli anni il figlio Giuseppe Lorenzo frequentò l’Accademia di Belle Arti. L’unica importante commissione di questo periodo fu la decorazione del teatro Alighieri di Ravenna (1846-1851).

Bibliografia di riferimento:
AFAT – Gino Pavan, Giuseppe Gatteri padre.

Trieste – Fabbrica Vernici Sottomarine Veneziani con la villa di famiglia.

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Trieste - Fabbrica Vernici Sottomarine Veneziani con la villa di famiglia.

Fabbrica Vernici Sottomarine Veneziani con la villa di famiglia.

La fabbrica era ubicata sulla strada di Servola (oggi via Svevo) vicino alla villa della famiglia Veneziani,
Fondata nel 1863 da Giuseppe Moravia, inventore della famosa vernice sotto marina che evitava la proliferazione di alghe ed altri vegetali, chiamata “Moravia” ne affidò il segreto e la gestione alla figlia Olga Moravia ed al genero Gioachino Veneziani. Il colorificio si sviluppò notevolmente, nel 1888Tutte le carene delle navi del Lloyd Austriaco vengono trattate con la vernice antivegetativa Venezian. Nel 1896 Ettore Schmitz (Italo Svevo) sposa la cugina Livia Veneziani va a vivere nella villa dei suoceri accanto al colorificio, ed entra attivamente nell’azienda. Continua il grande successo dell’azienda, nel periodo prebellico per poter fornire i suoi prodotti alle diverse marine militari vengono aperte diverse filiali, fra le altre Londra dove, Svevo viene inviato a dirigere la nuova sede e Murano. L’industria e la villa vengono distrutte nei bombardamenti di febbraio 1945.
Seguono foto nei commenti.
Foto collezione privata. (M. Tauceri)

Trieste – Piazza Unità imbandierata

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Trieste, Piazza Unità imbandierata

Due parole sull’Hotel Vanoli, nel 1873 le Assicurazioni Generali, proprietari del fondo, incaricarono l’ing. Eugenio Geiringer e l’architetto Giovanni Righetti, di riedificare quello che diverrà l’Hotel Garni. Agli inizi del novecento l’albergo prende il nome di Hotel Vanoli, e nel 1912 viene introdotta l’energia elettrica. Il Grand Hotel Duchi d’Aosta acquista la denominazione attuale nel 1972.(particolare nei commenti). Foto collezione privata. (M. Tauceri)

Trieste – Piazza San Antonio e Canal Grande

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Trieste, Piazza San Antonio e Canal Grande

Trieste – Piazza San Antonio e Canal Grande

Dal timbro a secco leggo che la foto è stata realizzata in uno studio fotografico di Innsbruck.
Sulla testata del canale si può vedere la bella ringhiera in ferro battuto costruita nel 1824 con decreto del comune.
Il piazzale antistante la chiesa di San Antonio Taumaturgo, ebbe la denominazione ufficiale di “piazza Sant’Antonio” nel 1919, fino a quella data l’intitolazione era popolare. Con delibera del Podestà il 10.06.1944 il nome della piazza venne sostituito con “piazza Sant’Antonio Nuovo”, rendendo ufficiale anche il nome della chiesa, chiamata così per non confonderla con la chiesa della Beata Vergine del Soccorso vulgo Sant’Antonio Vecchio di piazza Lipsia (poi Hortis) e non come si crede erroneamente, per distinguerla dalla chiesa precedente edificata sullo stesso sito nel 1769. (Trampus)
Foto collezione privata. (M. Tauceri)

Trieste : San Giacomo, Chiesa di San Giacomo Apostolo (1848)

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Chiesa di San Giacomo Apostolo (1848).
Chiesa di San Giacomo Apostolo (1848).
Stile eclettico con riferimenti lombardeschi e bizantini.
Pianta basilicale a tre navate, separate da dodici colonne e quattro semicolonne a sezione ottagonale sormontate da capitelli a fogliami di stucco bianco. La chiesa ospita quatto altari tutti progettati dall’architetto Giuseppe Sforzi ed eseguiti dallo scalpellino Pietro Palese; gli altri, compreso l’altare maggiore, vennero realizzati da Giovanni Antonio Dorigo.
L’abside è decorato da un affresco a finto mosaico eseguito dai pittori Luigi Castro e Giovanni Zucco rappresentante la Beata Vergine, San Giacomo e San Servolo, i tre santi contitolari della chiesa.
Questo affresco è l’unico superstite di un gruppo di tre interessati dai lavori di restauro della chiesa nel 1954-55.
Gli altri due affreschi laterali, opere di Pompeo Randi e commissionati dal parroco Mattia Dubrovich, raffiguravano la Trasfigurazione di Gesù e l’Ascensione al Cielo.
L’altare della navata di sinistra fu eseguita da P. Palese ed è dedicato a S. Rocco mentre all’interno del coro si nota un quadro raffigurante la Beata Vergine della Salute donato da Pietro Kandler e collocato originariamente nella Cappella Rossetti in via Nuova (poi Mazzini); la navata laterale destra presenta due altari, uno dedicato alla Madonna del Rosario, sovrastata da una pala di Edoardo de Heinrich raffigurante la Vergine col Bambino, Sant’Antonio Taumaturgo e San Vincenzo Ferreri; l’altro altare è dedicato a San Nicolò e la pala rappresentante il Santo è uno dei dipinti dì maggior interesse della chiesa. Fu eseguita dal pittore viennese Johann Till senior (1800-1889). Il dipinto venne donato dall’arciduca Ferdinando Massimiliano nel 1855 quando era comandante della flotta austriaca a Trieste. Raffigura il Santo vescovo di Mira in atto di impetrare dalla Beata Vergine la salvezza di alcuni marinai la cui nave sta naufragando nel mare in tempesta.

Nella chiesa di San Giacomo sono conservate altre interessanti opere come, ad esempio, un busto della Madonna in marmo di Carrara dello scultore Francesco Bosa e una “via crucis”. C’è ancora una serie di 14 quadri raffiguranti santi del pittore triestino Giovanni Luigi Rose e già facenti parte di un gruppo di 17 quadretti. Quindici di questi (uno è oggi perduto, due sono relativamente recenti) erano nelle nicchie dei paliotti marmorei appartenenti ai tre altari laterali; altri due stavano invece sopra un quarto altare posto nella navata di sinistra e ora demolito. Proveniva dalla chiesa di S.M. Maggiore e venne donato alla chiesa di San Giacomo da Giovanni Battista Silverio, recava una pala opera di Natale Schiavoni rappresentante Gesù nell’orto che tuttora si conserva. Venne trasferito nella chiesa di San Giacomo allorché, nel 1853, Pasquale Revoltella fece erigere un nuovo altare nella navata destra dell’ex chiesa dei Gesui ti, di S. M. Maggiore.

Nel 1848 venne autorizzato l’acquisto del terreno delle autorità municipali, allora Podestà Muzio de Tommasini. Il progetto venne affidato all’architetto e ingegnere comunale Giuseppe Sforzi (1801-1883), all’epoca molto attivo con la costruzione di numerosi edifici cittadini. L’edificazione iniziò il 1849 ad opera del costruttore Innocenzo Turrini. Negli scavi per la realizzazione delle fondamenta emersero numerosi reperti romani. La pietra memoriale venne benedetta e sotterrata solennemente il 27 luglio 1851, sul posto dove nell’area doveva essere eretto l’altare maggiore, a lavori molto avanzati.
La notte del 22 febbraio 1852, una forte Bora fece crollare le impalcature e creò forti danni a tutto il cantiere. Si studiarono nuove soluzioni tecniche; vennero rinforzate le navate laterali e costruiti degli archivolti rinforzati con spranghe di ferro che collegarono le colonne ai muri laterali.
I lavori si conclusero nel 1854 e venne consacrata il 25 luglio 1854 dal vescovo Bartolomeo Legat e dedicata alla Beata Vergine, a San Giacomo e a San Servolo.
L’intitolazione a San Giacomo voleva ricordare una cappella esistente in zona, di proprietà della famiglia Giuliani , allora dedicata ai Santi Rocco e Giacomo.
Custodisce pregevoli opere d’arte. Importanti lavori di restauro sono stati eseguiti nel 1954/1955 per il centenario della chiesa e nel maggio 2004, per i suoi centocinquant’anni.

“San Giacomo” (Jacopo o Iacopo Betsaida) di Zebedeo, detto anche Giacomo il «Maggiore», secondo quanto riportato nel Nuovo Testamento fu uno dei dodici apostoli di Gesù. Viene chiamato il «Maggiore» per distinguerlo dall’apostolo omonimo, Giacomo di Alfeo detto «Minore».
Figlio di Zebedeo e di Salome, era il fratello dell’apostolo Giovanni. Giacomo fu uno dei tre apostoli che assistettero alla trasfigurazione di Gesù. Dopo la morte di Cristo, Giacomo assunse un ruolo di spicco nella comunità cristiana di Gerusalemme e si narra di un improbabile viaggio in Spagna al fine di diffondere il Vangelo. Secondo gli Atti degli Apostoli fu messo a morte dal re Erode Agrippa attorno all’anno 44. (g.c.)

Trieste – Barcola, viale Miramare, “Fabbrica di ghiaccio cristallino”

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Trieste – Barcola, viale Miramare, “Fabbrica di ghiaccio cristallino”

Questo edificio con il tetto così particolare da sembrare un campanile è la “Fabbrica di ghiaccio cristallino” a Barcola in viale Miramare.
Nel 1887 Enrico Ritter de Zahony (1815- 1903) sposato con Angelina baronessa Sartorio, comperò un terreno con il fine di costruire una fabbrica di ghiaccio, l’anno seguente su questa stessa area venne condotta la prima campagna di scavi delle ville romane.
Il 31.10.1894 venne creata la fabbrica Triestina di ghiaccio cristallino Enrico Ritter & C.o (o anche Triester Krystall-Eisfabrik Heinrich Ritter &C.o); al culmine della sua attività aveva 80 operai.
Nella guida del 1895 la fabbrica viene così descritta: “produce 280 quintali di ghiaccio ogni 24 ore. Su solide fondamenta è piantato un grande bacino di ferro, contenente una soluzione concentrata di sale: esso è il generatore. Un congegno di tubi in fondo a questo è posto in comunicazione con la macchina del ghiaccio. Le gru mobili, collocate in alto su rotaie, servono ad immergere i blocchi che passano nei depositi o sui carri. la macchina del ghiaccio è fatta col sistema Lindt, le caldaie con quello Pen Bruck. Elegantissimo è il salone delle macchine”.
Dal 1901 cambiò diverse ragioni sociali, nel 1926 S.A. per l’industria del Ghiaccio a Trieste, nel 1931 Frigoriferi Triestini S.A.. Nel 1936 la proprietà passò a Luigi Livellara.
Negli anni ’50 questo spazio sarà occupato dalla concessionari Fiat Antonio Grandi .
Foto collezione privata. (M. Tauceri)

Trieste – Piazza San Giovanni

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Trieste, Piazza San Giovanni

Piazza San Giovanni

L’imponente palazzo Diana venne costruito nel 1882 dall’architetto Enrico Holzner per il commerciante Filippo Diana, al pianterreno era sito il “Modernissimo Teatro-Cine” inaugurato l’11 febbraio 1920. Lo scatto è successivo alla distruzione del monumento di Verdi (24 maggio 1915) e probabilmente in questo periodo nel giardino era stata installata una nuova fontana a due vasche.
Grazie al nuovo libro di Cafagna posso aggiungere una accurata descrizionedel cinema “Modernissimo”, il proprietario voleva portarlo ad essere il primo cinematografo della città, venivano proiettati film di prima visione, con apparecchiature d’avanguardia, era fornito di tre lussuose sale d’aspetto. Si tenevano con orario continuato, mostre d’arte, nelle quali esposero i pittori: Bolaffio, Grimani, Lucano, Sofianopulo, Flumiani ecc. Non ebbe fortuna e già nel 1925 venne trasformato in un ristorante. (Nei commenti la piazza con la prima fontana pubblica). (M. Tauceri)

Trieste – San Giovanni, inizio secolo (ripresa dal Boschetto).

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San Giovanni, inizio secolo (ripresa dal Boschetto).

In fondo il castelletto Valerio e la Via Fabio Severo..
Sotto: la Rotonda del Boschetto. (D. Cafagna)

Il Ferdinandeo, 1910.

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Il Ferdinandeo, 1910

Nel 1858, il Comune, sia per gratitudine verso l’Imperatore, sia soprattutto perché la zona era diventata molto frequentata, volle costruire un grandioso edificio monumentale in vetta al colle, che fu denominato, in onore dell’imperatore, “Ferdinandeo”. Divenne un albergo con ristorante, caffetteria, sala da ballo e da gioco, cucine, cantine e appartamenti ai piani superiori. Durante la Seconda Guerra Mondiale il palazzo venne occupato prima da un Comando Tedesco, poi da partigiani slavi e successivamente dagli anglo-americani che si impossessarono di gran parte degli arredi. Dal 1993 è la sede del MIB (Master in International Business, la School of Management dell’Università degli Studi di Trieste).  (D. Cafagna)

Largo Barriera Vecchia, notturno: 1957

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Largo Barriera Vecchia, notturno: 1957.

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Davanti a Donda i gabinetti pubblici sotterranei.
La grande insegna della Stock.
La stazione delle autocorriere (demolita nel 1984)
Calza S. Giusto, il Paradiso della Seta
Il Cinema Alabarda (a dx), il negozio di giocattoli Pagani, il Cinema Massimo (a sx), ..….
La super-luna….. (D. Cafagna)

Muggia, Antico Ponte Palù

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Muggia, Antico Ponte Palù

Il ponte “de la palù” ( = della palude) costruito a Muggia dalla Repubblica Veneta nel 1462 e demolito nel 1914.
Il ponte in pietra arenaria, a un solo arco, di 16 m., serviva a unire le due sponde del torrente “Fugnan”.
A sinistra la “scorseria” cioè l’edificio dove venivano conciate le pelli e allevati i bachi da seta: la “Conceria de Seppi”.
Quest’area, subito oltre le mura, veniva chiamata “Palù” in quanto dopo l’abbandono delle saline, nel 1827, progressivamente era diventata una palude (insalubre). (D.Cafagna)

Dreher – Maestri birrai

 


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Nel 1760, Franz Anton Dreher, di origini boeme, la cui famiglia si occupava della produzione di birra fin dal XVII secolo, decise di recarsi in Austria in cerca di fortuna. Nel 1773 apre a Vienna una sua fabbrica di birra, ottenendo un ottimo successo commerciale, tanto che nel 1806 venne nominato “decano dei mastri birrai di Vienna”.
Nel 1841, il figlio Anton introdurrà la “Märtzen”, successivamente chiamata “Lagerbier”, di colore rossiccio, la prima birra al mondo a bassa fermentazione, più dissetante e digeribile.
Nel 1858, la Dreher lager vinse la medaglia d’oro per l’eccellenza alla fiera della birra di Vienna e, il 26 novembre 1861, l’imperatore visitò il birrificio, premiandolo con la croce dei cavalieri dell’ordine di Francesco Giuseppe.
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Dopo la morte del padre nel 1863, Anton Dreher iniziò l’esportazione in Olanda e in seguito in Germania. Nel 1865 aprì una fabbrica a Trieste e poi altre fabbriche in Boemia ed in Ungheria, all’epoca tutte parti di una stessa nazione: l’Impero Austro-Ungarico. La medaglia d’oro ricevuta in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi del 1867 diede una forte spinta all’espansione del prodotto.
Nel 1869, il terzo Anton della dinastia, decise di acquistare a Trieste la prima fabbrica per la birra, riattivata poi l’anno successivo. Poiché nell’inverno del 1871 non ci fu ghiaccio, Anton Dreher costruì una macchina di refrigerazione per la produzione della birra. Dreher fu inoltre il primo a portare in una fabbrica austriaca l’utilizzo del vapore come forza motrice nella parte automatica della catena di produzione.
Dopo la morte dei Dreher, lo stabilimento austriaco fu trasformato in un consorzio, che passò ai Mautner-Markhof, già soci Dreher.
Nel 1945, il birrificio principale venne distrutto durante la seconda guerra mondiale e per la prima volta dopo un secolo non venne più prodotta birra. Vent’anni dopo, Dreher si unì al Birrificio Austriaco e al birrificio Steirer per creare l’Unione Austriaca dei birrifici.
L’azienda in Italia.
Nel 1870 nasce la fabbrica Dreher di Trieste, costruita ad opera del nipote di Franz Anton. Trieste, all’epoca, aveva lo status di città libera e porto franco all’interno dell’impero Austro-ungarico ed era una realtà economico finanziaria seconda solo a Vienna. Con l’annessione di Trieste all’Italia, a seguito degli eventi bellici della prima guerra mondiale che portarono alla firma del Trattato di Rapallo del novembre 1920, la birra Dreher di Trieste si fece conoscere anche dal consumatore italiano.
Negli anni sessanta del XX secolo, con lo scopo di decentrare la produzione al sud, venne realizzato un birrificio in Puglia, a Massafra, provincia di Taranto.
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Taverna della Birreria Dreher
Dal 1974, la produzione e la commercializzazione della birra Dreher in Italia viene gestita dalla Heineken Italia S.p.A., con sede amministrativa a Milano.
Nel 2013 Dreher lancia in Italia una birra di tipo Radler, ossia una bevanda a base di birra e succo di agrumi (limone o pompelmo), a bassa gradazione alcolica (Grado Alcolico: 2 % VOL.).
Dreher è stata sponsor nelle edizioni 2013 e 2014 di Battiti Live, la manifestazione musicale organizzata ogni estate in alcune piazze del Sud Italia da Radionorba istituendo il premio “Limone d’oro”, consegnato al cantante ospite della serata per i testi romantici delle sue canzoni.
Nel giugno del 2015 Dreher cambia il modello di bottiglia ed etichetta e lancia una nuova campagna pubblicitaria, ideata dall’agenzia Armando Testa.
Le caratteristiche
Birra Dreher è una birra Lager, quindi birra a bassa fermentazione, con una gradazione alcolica di 4.7%. Ha un colore giallo paglierino con riflessi dorati, una schiuma fine, compatta e aderente. Gli aromi sono delicati e riconducibili al cereale, con un gusto moderatamente luppolato con leggere note di miele.
(Fonti: Wikipedia e altre)

Il Caffè Fabris


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L’aristocratico ed elegante “CAFFE’ FABRIS”, frequentato da intellettuali, con le tende a quadri, si presenta con un aspetto molto casalingo. Sito nella casa costruita nel 1853 dall’architetto Francesco Giordani per Giovanni Fabris in piazza della Caserma al n°4 (odierna piazza Dalmazia).
In attività dal 1857, assunse ben presto un ruolo di prestigio, anche grazie alla sua collocazione all’incrocio tra le strade che portano l’una a Miramare, l’altra all’altipiano. Nel 1888 è uno dei primi tre esercizi cittadini dotati di telefono. Dal 1967 è trasformato in ristorante pizzeria sotto la vecchia insegna.
In via Ghega, il palazzo Rittmeyer , che appare come lo vediamo oggi, ed è il risultato di un innalzamento e rimodernamento della casa di città della famiglia Rittmeyer (costruita nel 1823), voluto dal barone Carlo de Rittmeyer Il progetto fu affidato all’architetto Giuseppe Baldini, la costruzione, comprendeva un giardino pensile che si estendeva verso l’attuale Via Udine. Nel 1863 venne acquistata la vicina proprietà di Panajoti di Demetrio dando così il via ai lavori di ristrutturazione. Nel 1914 la baronessa Cecilia de Rittmeyer donò il palazzo al Comune il quale lo destinò, quarant’anni più tardi, al Conservatorio di Musica Giuseppe Tartini. Nel 1944, in seguito ad un sanguinoso attentato a danno del Deutsches Soldatenheim, che nel palazzo aveva la propria sede, fu attuata un’atroce ritorsione contro 51 ostaggi che vennero impiccati e lasciati come monito lungo le scale, i corridoi e le finestre dell’edificio.
A sinistra il palazzo fatto costruire nel 1785 dal greco Antonio Nussa prima delle modifiche.  (Margherita Tauceri.)
Foto collezione privata

Trieste – Cimitero di Sant’Anna


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Dopo l’ampliamento del (1891), nel 1932 venne finalmente realizzato un nuovo ingresso monumentale (l’attuale), su disegno dell’ing. Vittorio Privileggi, che approntò il progetto dell’ingresso con la cancellata in ferro battuto, fiancheggiata da due corpi di fabbrica in pietra, dove trovano sistemazione gli uffici ed i servizi del cimitero. L ‘ingresso è ornato con tre figure dello scultore Marcello Mascherini (Udine 1906 – Trieste 1983) in pietra di Orsera, raffiguranti due Angeli ed una Resurrezione di Lazzaro. Foto del 1935, con le bancherelle per la vendita di fiori.

Trieste – La Basilica paleocristiana della Madonna del mare


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La Basilica paleocristiana della Madonna del mare. Foto Elisabetta Marcovich

La zona oltre le mura romane e poi medievali verso il mare (attuale Borgo Giuseppino) fu zona cimiteriale su cui successivamente sorsero tante chiese, di cui rimane la sola chiesa della BV del Soccorso detta pure S Antonio vecchio, le altre essendo state fatte abbattere dai decreti di Giuseppe II nel 1785 e successivi anni.

In epoca antica era percorsa da una strada commerciale che seguendo la riva del mare (di allora) serviva il porto romano. A monte di essa era presente una grande Basilica paleocristiana che probabilmente era nata come basilica martiriale per ospitare le reliquie forse dello stesso san Giusto, ilc ui corpo, come dal racconto della Passio del santo, fu ritrovato sulla riva del mare proprio su quella spiaggia. La via continuava verso la necropoli fra tombe ed edifici funerari.
La chiesa di cui nel 1825 Domenico Rossetti vide i mosaici dell’abside, fu riscoperta e portata alla luce nel 1963.
Si trova sotto l’edificio che ospita il Carducci ed è visitabile una mattina alla settimana.

La Basilica, con impianto cruciforme con transetto, abside e presbiterio sopraelevati, conobbe due fasi principali corrispondenti a due pavimenti gettati a pochi centimetri l’uno dall’altro, alcuni pezzi sono stati staccati ed esposti nell’atrio.
Il primo più antico databile ai decenni iniziali del V secolo, è composto da un mosaico bianconero suddiviso in tre corsie decorato a motivi geometrici con le epigrafi degli offerenti, di cui rimangono quattro che riportano le dimensioni del tessellato offerto; il successivo mosaico policromo è più recente fose degli inizi del VI secolo decorato al centro con il motivo dell’onda marina” e ai lati da cerchi ottagoni e rombi coi nomi degli offerenti.
Interessanti i nomi dei Defensores ecclesiae funzionari laici a cui era affidata la tutela legale delle chiese di Aquileia e Tergeste in controversie civili e amministrative.
Nell’abside c’erano i subsidia, i sedili per il clero: davanti all’abside c’è il presbiterio leggermente sopraelevato, dove ancor oggi si vedono due sarcofagi interrati ed un pozzo per reliquie.
Tracce di incendio sul mosaico policromo potrebbero riferirsi ad un incendio forse catastrofico; fra il VI e il IX secolo non ci sono più notizie della chiesa, che ricompare nel 1150 con l’intitolazione a santa Maria del Mare.

(testo di E.M. sulla base di documenti della Sovraintendenza)

le immagini di Paolo Coretti relative ad alcuni mosaici

Istituto generale dei poveri


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L’Istituto generale dei poveri di Trieste nacque da un’idea di Domenico Rossetti nel 1818, venne accolto con questa denominazione nei locali di una ex caserma Steiner, sita nell’attuale viale Miramare. Con 400 posti e sale di lavoro poteva aiutare i bisognosi della città, ed arginare i fenomeni di mendicità molesta. Nel 1852 per far posto alla costruzione della stazione della Ferrovia meridionale, si trasferisce in una sede provvisoria in contrada di Chiadino (nell’attuale via Settefontane). Nel 29 giugno 1862 cambiò sede e denominazione, con l’inaugurazione del grande edificio della Casa dei poveri di Contrada Chiadino bassa, da allora via dell’Istituto e ora via Giovanni Pascoli. L’idea era quella di razionalizzare l’assistenza ai poveri, bambini e anziani, con il sostegno anche medico ai ricoverati e l’incremento della beneficenza esterna. Disponeva di 800 posti letto, refettori, aule scolastiche, sale di lavoro.
Nel 1925 Istituto viene intitolato a Re Vittorio Emanuele III, nel 25° anno di regno.
Dal 1940-41 Requisizione della Pia Casa ad uso Ospedale militare dal luglio del 1940 all’ottobre del 1941 e conseguente sfollamento dei ricoverati.
dal 1966 ci sarà il trasferimento dei minori nel Collegio San Giusto e la Pia Casa sarà riservata esclusivamente al ricovero degli anziani. (Margherita Tauceri)

L’edificio nei commenti
Collezione Sergio Sergas

Trieste, il Teatro Romano

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Il teatro romano di Trieste si trova ai piedi del colle di San Giusto, tra via Donota e via del Teatro Romano.

La sua costruzione viene datata tra la fine del I secolo e l’inizio del II secolo d.C., per volere del procuratore Quinto Petronio Modesto, sacerdote di Marco Ulpio Nerva Traiano (citato in diverse iscrizioni, secondo alcune fonti, ne curò solamente alcuni interventi di rinnovamento).

All’epoca della sua costruzione, il teatro, si trovava in riva al mare, che a quel tempo arrivava quasi a lambirlo (sono stati rinvenuti moli di attracco), e doveva offrire uno spettacolo davvero suggestivo. Le sue gradinate, costruite sfruttando la naturale pendenza del colle, ospitavano dai 3.500 ai 6.000 spettatori (le fonti discordano).
Con il trascorrere dei secoli, in stato di totale abbandono, venne ricoperto da edificazioni abitative. Dimenticato, venne individuato soltanto nel 1814 dall’architetto Pietro Nobile, e riportato alla luce nel 1938, durante le opere di demolizione della città vecchia. Le statue e le iscrizioni rinvenute durante gli scavi sono conservate presso il Lapidario Tergestino al Castello di san Giusto.
E’ stato saltuariamente utilizzato per spettacoli estivi all’aperto.

Così lo descrive Attilio Tamaro nel primo volume della sua “Storia di Trieste”: ” Un vero monumento si profilerà un giorno nel cielo triestino, risorgendo dalla sconcia e disonorante sepoltura, in cui giace coperto da un agglomerato di case, di catapecchie e di lupanari, tra le vie di Pozzàcchera, di Rena, di Donota e di Riborgo, nella città vecchia. È la vasta rovina del teatro romano, di cui sotto le case sono conservati interi piani, gran parte della platea, frammenti di gradinate, due ordini di corridoi o gallerie sovrapposti l’uno all’altro). Tra via di Pozzàcchera e quella di Rena (da arena?), arcuate come sono, seguono ancora la curva delle gallerie sepolte. Il Generini afferma che sin verso il 1850 in Pozzàcchera si vedeva un pezzo della cinta del teatro, alto, disposto a curva, il quale continuava nell’interno delle case e terminava a Riborgo. Si vede ancora che una parte delle mura, nel medioevo, fu fondata sulle rovine del teatro. Una casa al principio di via Pozzàcchera è costruita sopra porzione del teatro stesso. Un corridoio sotterraneo metteva capo, or non è molto, in androna del Buso e un frammento di gradinata si vedeva in androna degli Scalini. Il diametro del teatro, la cui topografia è facilmente visibile nella sua totalità, misura circa sessanta metri. Ireneo della Croce, dopo aver descritto quanto si vedeva delle rovine ai suoi tempi, diede un’immagine di queste in un rame della sua opera e ricordò i risultati di alcuni scavi operati nell’orto Chicchio e alla casa Garzaroli, sulla linea di fronte del teatro, lungo la via Riborgo. Un ’iscrizione, di cui esistettero due esemplari, uno in Riborgo e l’altro sulla parte posteriore del teatro, porta il nome di Quinto Petronio Modesto, triestino, ufficiale del tempo di Nerva e di Traiano: gli si attribuì, di fantasia, la costruzione del teatro.
La città deve aver posseduto anche un anfiteatro, poiché esiste un’iscrizione triestina che rammenta i giochi gladiatori”.

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Interessante anche la descrizione resa da Carlo Curiel:
” I ruderi dell’antico Teatro romano, oggi sepolti dalle casupole delle vie di Pozzacchera, di Rena, di Donota, di Riborgo, dànno un’idea della sua vastità : Pietro Nobile ne valutava il diametro a 57 metri e calcolava che potesse contenere circa 6000 persone, ciò che permette di concludere che non intervenivano solo i cittadini,
ma anche gli abitanti dei paesi vicini. Impropriamente, il teatro fu chiamato più tardi Arena ed il quartiere ne prese il nome, con aferesi veneta, di Rena, ma sembra fosse più adatto alle rappresentazioni sceniche, che ai ludi gladiatori.
Caduto in rovina il Teatro romano, si dice sorgesse durante il Medioevo un’arena, dove si rappresentavano i misteri: ma le tradizioni sono incerte e dubbiose”.
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APPROFONDIMENTI
 

Corso Italia e vie limitrofe

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Casa Ananian in Corso
Il Corso è la principale arteria cittadina, vivacissima, piena di negozi e fiancheggiata da interessanti palazzi. Essa andò formandosi sulle prime saline interrate, dopo la demolizione delle mura cittadine. Nel 1749 le saline arrivavano almeno fino a via San Spiridione, la restante zona era ricoperta di prati e abbondante vegetazione, per coprire le saline furono impiegati i carcerati che portarono la terra dal colle di Montuzza, iniziando così a creare la “Contrada Grande”. Nel 1783 ebbe il nome di “Corso”, quando sotto il governatore conte Pompeo de Brigido, negli ultimi giorni di carnevale questa strada iniziò ad essere percorsa da eleganti carrozze riccamente addobbate, dalle quali venivano gettati confetti e petali di fiori, ai lati della strada la gente ammirava questo spettacolo che di anno in anno divenne …famoso, tanto da far concorrenza ai corsi carnevaleschi delle grandi città.
L’ultima parte del Corso, verso piazza Goldoni, era in quel tempo più larga, quasi simile ad una piazza, tanto che veniva indicata col nome di Piazza delle Pignate, perchè fin dal 1870 si teneva il mercato di stoviglie e pentole in metallo e terracotta.
Caratteristica del Corso e quasi tutte le strade della città, sono le colonnine di pietra che erano disposte lungo i marciapiedi per proteggere i pedoni dalle carrozze e dai cavalli, vennero tolte verso il fine del secolo. (M. T.)

 

I nomi delle vie mutate negli anni:
Via Dante Alighieri — “Via Sant’Antonio”
Via Imbriani — “Via San Giovanni”

Via Roma — “Via della Dogana” dal 1894 il primo tratto fino al Canale “Via Ponterosso” dal Canale “Via delle Poste”
FOTOALBUM

Corso Italia e vie limitrofe

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Il Corso è la principale arteria cittadina, vivacissima, piena di negozi e fiancheggiata da interessanti palazzi. Essa andò formandosi sulle prime saline interrate, dopo la demolizione delle mura cittadine. Nel 1749 le saline arrivavano almeno fino a via San Spiridione, la restante zona era ricoperta di prati e abbondante vegetazione, per coprire le saline furono impiegati i carcerati che portarono la terra dal colle di Montuzza, iniziando così a creare la “Contrada Grande”. Nel 1783 ebbe il nome di “Corso”, quando sotto il governatore conte Pompeo de Brigido, negli ultimi giorni di carnevale questa strada iniziò ad essere percorsa da eleganti carrozze riccamente addobbate, dalle quali venivano gettati confetti e petali di fiori, ai lati della strada la gente ammirava questo spettacolo che di anno in anno divenne …famoso, tanto da far concorrenza ai corsi carnevaleschi delle grandi città.
L’ultima parte del Corso, verso piazza Goldoni, era in quel tempo più larga, quasi simile ad una piazza, tanto che veniva indicata col nome di Piazza delle Pignate, perchè fin dal 1870 si teneva il mercato di stoviglie e pentole in metallo e terracotta.
Caratteristica del Corso e quasi tutte le strade della città, sono le colonnine di pietra che erano disposte lungo i marciapiedi per proteggere i pedoni dalle carrozze e dai cavalli, vennero tolte verso il fine del secolo.
I nomi delle vie mutate negli anni:
Via Dante Alighieri — “Via Sant’Antonio”
Via Imbriani — “Via San Giovanni”
Via Roma — “Via della Dogana” dal 1894 il primo tratto fino al Canale “Via Ponterosso” dal Canale “Via delle Poste”
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Franco Asco (Atschko) (Trieste 1903 – 1970).

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Franco Atschko nacque nel 1903 a Trieste da madre polacca e padre triestino che lo abbandonò poco dopo la nascita.
Ospitato dalla Pia casa dei Poveri nel 1916, dato che la madre, attenta alla sua istruzione, non poteva curarsene per le difficoltà finanziarie, dette immediatamente prova di precoce talento nella scultura tanto che, nel 1917, realizzò un busto dell’imperatore Francesco Giuseppe. Grazie all’interessamento del Direttore dell’Istituto si iscrisse all’Accademia di Vienna. In seguito fu a Venezia e a Roma ove ottenne, nel 1921, il secondo premio al Concorso Internazionale per la Medaglia. Dopo il passaggio di Trieste all’Italia e l’avvento del fascismo, il suo nome venne italianizzato in Asco e la sua figura venne accostata al più giovane Marcello Mascherini, di cui fu amico prima che maestro.

 

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A Trieste realizzò le figure a bassorilievo per il coronamento della Stazione Marittima e per la Capitaneria di Porto, mentre assieme a Mascherini, ma sempre con interventi individuali e stilisticamente contrapposti, completò le statue di giuristi romani sul palazzo del Tribunale e i bassorilievi sul nuovo portale del cimitero triestino di Sant’Anna. Sempre nel camposanto si rese protagonista della realizzazione di numerosi monumenti funebri, tra cui vanno menzionati il sepolcro Salvadori, Grego e Ceretti, quello per il musicista Visnoviz e la cappella votiva per la famiglia De Rosa-Poniz. Nei primi anni Trenta abbandonò Trieste per approdare a Milano, ove divenne uno dei principali artefici della decorazione scultorea del Cimitero Monumentale di Milano con numerosi interventi, tra cui vanno ricordati almeno il monumento alla famiglia Borrani, la cappella Canto e i lavori per le famiglie Rota, Frada e Pozzi-Paganelli in cui reinterpreta la figura isolata della dolente.

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Dopo aver partecipato alla Biennale di Venezia nel 1941, si ritirò in un lungo isolamento dal quale uscì con l’esposizione triestina del 1949. Personalità schiva e artista isolato nel tumulto artistico del dopoguerra, compì, nella sua città natale, la figura della Vergine dorata sulla sommità della colonna di Piazza Garibaldi. Si spense a Trieste, ai margini della cronaca, nel 1970. (Luca Bellocchi)

Trieste – Giardino Pubblico Muzio Tommasini


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Una immagine un po' rovinata dell'ingresso del giardino pubblico, con la scritta "Giardino Pubblico Muzio Tommasini". Foto collezione Sergio Sergas.

Nel 1880 il giardino fu intitolato con il nome del suo creatore, Muzio Tommasini, il quale era un naturalista, preside e podestà di Trieste dal 1839 al 1861.
Il giardino venne costruito su un fondo che si trovava al temine della corsia Stadion, acquistato sette anni prima dalle monache benedettine, nel 1854 venne creata quest’area verde che venne inaugurata il 1° maggio 1855 con la denominazione di “Giardino Popolare”, era più piccolo di quanto sia oggi, terminava con la palazzina detta “casetta svizzera”, c’era un gazebo nel quale si esibiva abitualmente la banda militare. In quel periodo venne edificata una palazzina con caffetteria, nella quale annualmente veniva allestita un’esposizione di floricoltura a cura di Nicolò Bottacin. Negli anni 1920-30 nella stessa palazzina, ci furono le esposizioni del Sindacato Regionale Fascista degli artisti.
In una descrizione di fine ‘800 del giardino, si legge…”un tappeto d’erba, gruppi di fiori, fontane con getti d’acqua e molte specie di alberi gli conferiscono un incanto particolare”. Il giardino fu restaurato nel 1999. Il padiglione con caffetteria oggi è sede dell’Associazione Ricreativa Dipendenti Comunali. (Margherita Tauceri)

Trieste – La piscina Bianchi


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Nei primi mesi del 1948 da parte di un privato, giunge all’Ufficio Tecnico del Comune la richiesta, di utilizzare un edifico esistente a San Giovanni, per farne una piscina pubblica. Nello stesso anno la delegazione provinciale del Coni, attraverso il suo rappresentante Edoardo Strudthoff, presenterà al Sindaco il progetto di massima di una piscina nell’area fra l’Ippodromo e l’ex campo sportivo della Triestina; la piscina avrebbe dovuto essere coperta soltanto in un periodo successivo, entrambe le proposte non avranno seguito.
La piscina rimane negli obiettivi del Coni e del Comune sino al 15 novembre del 1950 quando, nel corso di una seduta della Commissione edilizia presieduta dal sindaco Bartoli, si decide di approvare la nuova localizzazione in riva T. Gulli con il progetto firmato dall’architetto Ezio Cosolo della direzione centro studi impianti sportivi del Coni. Iniziano i lavori e nel ’54, prima che gli angloamericani lasciassero la città la piscina viene completata e intitolata al nuotatore olimpico Bruno Bianchi (1943-1966). Un busto bronzeo dell’atleta, opera di Tristano Alberti era stato collocato nell’atrio.
La vasca lunga 33 metri e larga 18, divisibile in due vasche più piccole, le dimensioni insufficienti hanno escluso la piscina da competizioni nazionali nell’edificio operava anche il Centro di Medicina dello Sport.
Nel cinquantenario della piscina, prima della demolizione, l’edificio diventa la sala espositiva di una mostra con disegni e foto intitolata “Trieste anni cinquanta”(foto nei commenti)
Nel 2004 sarà demolita. (M.T.)
(Foto collezione Sergio Sergas)

Trieste nell’Ottocento – Alessandra Doratti


Trieste nell’Ottocento – Alessandra Doratti

 

Nel primo Ottocento la città conta ormai 65.000 abitanti, compresi i 5.000 contadini che gravitano nei dintorni e che giornalmente si riversano in città per vendere verdure, frutta e ortaggi e per procacciarsi il sostentamento quotidiano. Alcuni sono piccoli proprietari terrieri, altri affittuari o semplicemente braccianti delle campagne e sono chiamati con il nome generico di mandrieri. Essi si distinguono per il pittoresco costume che portano (i giovani formano un corpo militare speciale detto Milizia Territoriale) con la giubba corta e bordata di vario colore, grossi bottoni di metallo, calzettoni bianchi e scarpe con fibbia. Hanno il moschetto ed il loro ornamento più bello è un capello in feltro a larga tesa alla guisa dei Lanzichenecchi.

Nei sobborghi cerimonie fastose

Anche le donne del contado si presentano piacevolmente con la testa avvolta di bianco, come le donne della Carniola, però al posto dell’usuale cuffia imbottita si sostituisce un leggero fazzoletto. Le maniche della camicia sono di fine lana bianca e le calzature sono degli stivaletti di pelle nera fortemente chiodati sia nella suola che nel tacco. La gente è abbastanza alta, con un bel volto e, a differenza di come si parla in città, usa il dialetto sloveno.


Molto pittoresche nella campagna sono le cerimonie nuziali: già parecchi giorni prima delle nozze viene mobilitato l’intero vicinato dai paraninfi (coloro che con bastoni fioriti e nastri bussano alle porte di amici e parenti per partecipare l’invito a nozze). La sposa in abito nuziale fa il giro delle case dei parenti già due giorni prima: essa ha il corpetto scuro o rosso, le maniche e il copricapo bianchi e finemente ricamati e la gonna ricca di nastri, infine una corona di fiori e nastri intrecciati. La musica e i banchetti accompagnano sempre i matrimoni e così anche i doni in denaro che vengono messi durante la cerimonia in un dolce a ciambella detto buzzolà. Anche i più poveri festeggiano l’evento con banchetti meno ricchi, ma nei quali il vino non manca mai. In città le spose usano coprire il capo con un velo bianco e i viaggi di nozze non sono ancora molto di moda. Nel 1833 un panorama della città mostra il borgo teresiano ormai completato: esso ha inizio nella contrada del Canal Piccolo e prosegue per piazza della Borsa e lungo la contrada del Corso fino a piazza della Legna (ora piazza Goldoni).

 
Nasce il centro moderno

Da qui i confini si spiegano lungo il torrente che scorre a cielo aperto, proveniente dalla Stranga vecchia (piazza Garibaldi), attraversato da sette ponti e che giunge fino alla caserma. Qui una contrada fiancheggia il canale che, dopo un tratto coperto, si riapre nell’attuale via Ghega. Due dei ponti principali sono uno sulla contrada della Wauxhall (via Roma) e l’altro sulla contrada del Ponte Nuovo (via Trento).
Sorge una casa pubblica di beneficenza (Pio Istituto dei Poveri) e dalla piazza del Macello si dà inizio alla contrada del Lazzaretto nuovo che prosegue fino al torrente Roiano. La strada è fiancheggiata da un porticato aperto verso il mare dove vi è la corderia Bozzini. Lo strano nome della contrada Wauxhall deriva da un caffè concerto fondato nel 1786 in via Ghega, nella casa fronteggiante la contrada che porta questo nome. La contrada della Jeppa (Geppa) si forma là dove il corso d’acqua delle saline è ormai scomparso. In via Galatti sorge la contrada della Pesa e nel centro dell’odierna piazza Vittorio Veneto vi è una fontana che funge da abbeveratoio per quadrupedi. La Posta è sistemata nella contrada della Caserma (via XXX Ottobre), ma prima si trovava all’imbocco del Canal Grande; perciò esiste ora anche una riva delle Poste (via Rossini). Dietro alla Dogana si apre il quartiere Panfili e tra di loro c’è un grande spazio detto contrada dei Carradori (via Trento). La contrada della Dogana sormonta il Canal Grande e arriva fino al Corso passando per Ponterosso, mentre via Filzi è denominata contrada per Vienna.
Le vie longitudinali sono: la contrada del Balderin (via Valdirivo), la contrada di Carinzia (via Torrebianca), la contrada dei Forni (via Macchiavelli), la contrada del Canal Grande (via Cassa di Risparmio), la lunga contrada Nuova (via Mazzini) che va da piazza della Legna al mare, e la contrada S. Nicolò. In corrispondenza della contrada di Vienna ha inizio la nuova strada commerciale. In fondo al canale, nel 1849 verrà consacrata la nuova chiesa di S. Antonio Taumaturgo, patrono del borgo teresiano. In contrada S. Spiridione sorge la chiesa degli Illirici (serbo-ortodossi). Il campanile di destra dà nome alla contrada del Campanile, ora via Genova alta, che manterrà tale nome anche quando si procederà alla demolizione dell’opera per difetti fondazionali.

Ponterosso come la Concorde

Nella piazza Ponterosso sorge una fontana a tre bocche, è alimentata dall’acquedotto teresiano. La riva Carciotti prende il nome dal palazzo omonimo, opera prestigiosa del triestino Matteo Pertsch. Più in là il tempio greco-ortodosso costruito nel 1786 ed abbellito poi nel 1819 sempre da Pertsch in forme classiche. La contrada laterale era detta dei Bottai per le numerose botteghe dei bottai, che dopo la costruzione della chiesa si chiamerà S. Nicolò.
Sta sorgendo inoltre il nuovo borgo franceschino tra la contrada del Corono e quella del Molin Grande che corre al fianco del ruscello proveniente da S. Giovanni. La parte superiore è tagliata dalla contrada del Ronco, mentre sulla contrada del Coroneo è stato allestito un nuovo pubblico lavatoio e un orto botanico.
Sulla passeggiata dell’Acquedotto (viale XX Settembre) nuovi edifici sorgono nel borgo Chiozza e nella via Chiozza (via Crispi), terreno donato al Comune da Carlo Luigi Chiozza, genovese che aveva un saponificio nei pressi del Ponterosso. Parallele alla spina centrale della contrada Chiozza corrono le contrade del Farneto (via Ginnastica) e quella del Boschetto (via Slataper), al di là vi è l’aperta campagna e il terreno della famiglia Conti sul quale nel 1833 sorgerà l’ospedale Maggiore, progettato da Domenico Corti. Il borgo Maurizio si estende dalla contrada del Tintore (via Tarabocchia) a quella del Solitario (via Foschiatti), che raccoglie diverse piccole industrie: dalla fabbrica della maiolica, alla concia dei pellami, e alla fonderia. Anche la zona della Stranga Vecchia si va arricchendo di numerosi edifici.
Intorno al Mandracchio ci sono il nuovo teatro comunale e la Borsa, il palazzo governatoriale, residenza dal 1776 del primo governatore di Trieste, il conte Zinzendorf.
La piazza Grande è ora più larga con la porta sul Mandracchio, attraverso la quale i triestini nelle afose sere estive vanno a prendere il fresco sul lungomare. Sulla piazza dello Squero vecchio, dove sorgeva la Confraternita di S. Nicolò è stato trasferito il mercato del pesce che durerà sino al 1878, e poi si sposterà tra la via della Stazione e la riva del Sale, fintantoché nel 1913 verrà eretto l’attuale edificio a forma di chiesa detto S. Maria del Guato. Una doppia fila di belle ed eleganti case è sorta anche in piazza Giuseppina (piazza Venezia), molto alte e massicce intervallate dalla contrada della Sanità Nuova (via Cadorna). La riva del Lazzaretto vecchio (via Diaz) prosegue verso lo stabilimento contumaciale.

In periferia ancora contrasti

Le zone periferiche di Chiarbola sono ampiamente coltivate a vigneti, frutteti, giardini e orti; vi è qualche grossa villa padronale e alcune case rurali. Tra i monumenti più notevoli vi è la villa di Campo Marzio, meglio conosciuta con il nome di Villa Murat, per essere passata in possesso alla vedova del re di Napoli. La villa venne demolita ai giorni nostri per dar spazio ad una pileria di riso che venne poi abbandonata e bruciata. Un’altra famosa villa è quella di Giovanni Risnich nell’attuale piazza Carlo Alberto, demolita per far spazio alla via Franca.
L’edificio di Anna Voinovich sta sul primo passeggio di S. Andrea e guarda dall’alto della costa la spiaggia sottostante. La stupenda costruzione dell’architetto francese Champion è la villa di Girolamo Bonaparte (villa Necker). Sul colle, alla fine della contrada della Sanza sta la Villa Economo, abbellita da quattro colonne e un timpano. Sotto la Sanza di S. Vito le ville Budigna e de Dolcetti.
È questa la zona dove i ricchi vanno a villeggiare e i poveri coltivano gli orti e i vigneti che si allineano floridi nei dintorni.

Lo sviluppo urbanistico di Trieste tra Sette e Ottocento – Alessandra Doratti


Lo sviluppo urbanistico di Trieste tra Sette e Ottocento – Alessandra Doratti

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All’inizio del XVIII secolo, ammesso che si possa osservarla dall’alto, la città si presenta sotto forma di cuore, con la punta rivolta verso la cattedrale di S. Giusto. Tutta racchiusa, come una noce, nelle forti e possenti mura grigie e turrite; con in alto il castello, vano spauracchio dei turchi e con il mare che le fa da specchio. Di sotto il porticciolo interno, costruito nel 1620 dal goriziano Giacomo Vintana e difeso dal molo della Bandiera; nell’interno vi è un pullulare di barche con lunghe antenne svettanti tra l’intrico del sartiame. Dopo il tramonto, quando vengono chiuse le porte della città, una robustissima catena viene tesa tra i due moli (quello della Bandiera e quello a gomito).
Nella parte bassa tra il Mandracchio e la porta di Riborgo, si stende la plaga delle saline. Il principale collettore è il Canal Grande, o Maestro, che riceve l’acqua dal torrente S. Pelagio il quale scende dalla sorgente di S. Giovanni, anticamente sfruttata dai romani e che si congiunge al torrente delle Sexfontanis. Altra fonte d’acqua dolce indispensabile, alimenta il torrente di Colonia che si incanala nella Valdirif (Valdirivo) e che muove l’unica ruota del Mulino piccolo, ingrossato dalla fonte di S. Nicoforo, già detta della Zonta. Altra acqua ancora scorre giù da Romagna e s’incanala nel fossato detto della Jepa.
Il Canale del Vino o Canal Piccolo, dove si inoltrano le imbarcazioni da carico, taglia l’ultimo tratto delle saline all’esterno delle mura di Malcanton e si spinge dentro la città attraverso la Portizza. Dunque il commercio del vino si sviluppa nella Piazza Piccola, non lontano dalla chiesa della Madonna del Rosario. Un ponte sul canale assicura il passaggio lungo il pomerio interno alle mura.
Davanti al Mandracchio si apre la porta della torre del porto, detta anche dell’Orologio. Sotto l’arcata della torre un cesendolo illumina una pala della Beata Vergine con i Santi Giusto e Sergio, che sarà sostituita un secolo più tardi con un’altra immagine venerata della Madonna, detta Madonna del porto. Qui, ogni sera, dopo il colpo di cannone che metteva fine alla giornata di lavoro, i marinai pregano e recitano il rosario tutti riuniti.
Due automi di bronzo segnano i quarti e le ore dell’Orologio, che ha due quadranti uno interno alla piazza e l’ altro esterno, sul porticciolo. Il popolino ha dato loro un nome – Michez e Jachez – che durerà nel tempo e forse trae origine dal ricordo di due severi giudici che nel Medioevo facevano leggere al banditore le loro terribili sentenze a suono di campana. Sul molo Bandiera si erige maestosa la torre della Beccheria, dall’altra parte invece domina la torre Fradella.
Dunque le torri del porto sono tre. La cortina prosegue lungo la spiaggia dove ha sede lo squero della Confraternita di S. Nicolò dei Marinai, dal quale prenderà nome la prossima torre. La pescheria, che prima si trovava sulla riva del Mandracchio, si è spostata verso Cavana da dove l’accesso è facilitato. Oltre ancora troviamo il Fortino, un’ opera di difesa posta al gomito delle mura che da qui salgono verso la porta di Cavana dove si trova un ponte levatoio. La spiaggia è bassa e frastagliata e riceve le acque del Fontanone; la zona si presta al ricovero delle barche. Si costruiscono dei bacini coperti da canne di paglia che vengono denominati cavane.
Nei pressi del Fontanone, alimentato dall’acquedotto romano, vi è un grosso bastione e più in su il Barbacane o porta di S. Michele. Salendo la valle di S. Michele, dove vi è una strada, giungiamo alle mura del castello, dove non ci sono più porte ad eccezione di alcune segrete di sortita per l’uscita eventuale di pattuglie in caso d’assedio.
Dall’altro lato della città abbiamo varie porte ben difese dopo la porta del Vino o Portizza, vi è quella delle Saline, quella di Riborgo protetta da due torri e dal ponte levatoio con le statue protettrici di S. Filippo e di S. Giacomo. Più in alto un’importante porta s’ innalza: è quella di Donota. Poi c’è la torre–scudo detta Cucherna (di tutte la sola superstite che possiamo ancora vedere) alla quale venivano appiccati i traditori della patria. Tra questa e il castello si erge un’ulteriore torre detta delle Monache, proprio perché nel 1369 le Benedettine possedevano una vasta proprietà sotto il castello e lì vi era il loro convento. Le mura sono ancora quelle restaurate nel 1511 dopo il terribile terremoto giunto dal Friuli che fece crollare anche le torri del porto.

Fuori dalle mura, la vasta campagna sparse di casupole è coltivata a orti, vigneti e frutteti e a monte delle saline vi è una strada che parte da Contovello e porta verso il Friuli e la Carinzia passando sopra il torrente Roiano. Fuori dalla porta di Riborgo invece la confraternita di S. Nicolò dei Marinai è patrocinata dal Comune che riconosce benefici ai marinai inabili, vedove e orfani. S. Nicolò e la sua proprietà finiscono nella strada che porta a S. Giovanni dove vi è l’ospedale dei lebbrosi, che poi scomparirà per fare posto alla piazza Carlo Goldoni.
Lungo la strada per Lubiana ci sono le concerie gestite dagli ebrei e la chiesetta di S. Apollinare con il piccolo cimitero che raccoglie i defunti di campagna. Il cimitero israelitico invece si trova oltre la porta di Donota, dove il monte sale verso il castello. Di là dal castello vi sono chiese e cappelle ricordate poi nei toponimi di piazze e vie successivamente sorte. La riva di sinistra è denominata strada di S. Pelagio dalla chiesetta romanica posta alle sorgenti del corso d’acqua nella valle di S. Giovanni, che è tuttora esistente.
Interessante è la zona fuori dalla porta Cavana e la località dei Santissimi Martiri, dove si adagiano alcune piccole imbarcazioni di pescatori ed il convento dei padri cappuccini con la chiesa di S. Apollinare, demolita nel 1787. Di fronte all’ odierno palazzo Vicco, sede della curia vescovile, vi è la chiesa dell’Annunziata e l’ospedale delle donne. A monte la chiesa della Madonna del Mare con la torre e l’antichissimo cimitero dove si vuole sia stato sepolto S. Giusto. Importante è anche la chiesa della Beata Vergine del Soccorso, che il popolo chiama S. Antonio Vecchio nell’odierna piazza Hortis, dove allora sorgeva il chiostro del convento e subito dietro il cimitero. La chiesa era sede della confraternita delle Tredise Casade, ossia le famiglie patrizie triestine chiamate anche con vena canzonatoria dal popolo Confraternita del Moccolo, poiché i patrizi accompagnavano il Santissimo nelle processioni solenni con una lunga cappa purpurea, lo spadino e il cero in mano. Infine sulla destra dell’attuale via Torino, isolato nella campagna sorge il convento di S. Giusto con l’ospedale per i pellegrini, amministrato dai frati della Misericordia di S. Giovanni di Dio. Al tempo sei sono le chiese, due gli ospedali e tre i cimiteri che caratterizzano la zona fuori porta Cavana; lontana ed isolata sulla spiaggia dell’altro versante vi è la chiesa di S. Andrea, già esistente nel XII secolo e restaurata poi nel ‘600. Nel 1735 l’ edificio sarà circondato da un cimitero durante la guerra di secessione polacca, quando molti soldati moriranno nel lazzaretto di S. Carlo. Trieste, attraverso le stampe documenta lo sviluppo urbanistico della città dagli inizi del Settecento alla fine dell’Ottocento, sulla scorta di un importante lavoro di ricerche e di archivio. L’itinerario lungo due secoli ha visto l’antico borgo di pescatori assurgere a dignità di emporio e di unico sbocco sul mare dell’impero austroungarico. Da un’immagine di città rinchiusa gelosamente nella cinta muraria (quindi nelle sue istituzioni, nelle sue chiese, nella sua vita sociale), per poi documentare con ricchezza ed esattezza il grande sconvolgimento politico ed economico prodotto da Carlo VI con la concessione del portofranco (1719). Alla crescita economica si accompagna inevitabilmente il calo dell’autonomia, sicché Maria Teresa incontra non pochi ostacoli da parte del patriziato nel suo lungimirante disegno di “fondere il vecchio e il nuovo”.

Trieste nel Settecento – Alessandra Doratti


Trieste nel Settecento – Alessandra Doratti

 

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     La città nel 1731, dopo il primo vero censimento effettuato, conta 4.144 abitanti, compresi 108 ebrei e 301 forestieri residenti a Trieste.

L’aspetto politico e sociale della città è ancora legato alla tradizione di un passato municipalistico. Gli statuti del 1550 dureranno con progressivi mutamenti e limitazioni fino al 1812.
Sono sempre le Casade che eleggono i giudici ed i rettori che rappresentano la massima autorità politica della città; nominano i vicedomini, scelgono il giudice del maleficio (penale) e quello del civile, provenienti sempre da città più grandi nelle quali vi sono centri di studi giuridici; nominano i camerati (ragionieri del comune) e il fonti-caro al quale è affidato l’approvvigionamento del grano. Solamente la nomina del capitano è affidata all’autorità imperiale.
La legge degli Statuti è molto pesante, sia per reati di assassinio, furto o rapina che per i reati più comuni.
L’attività economica si basa principalmente sulla produzione e il commercio del sale, che viene poi trasportato nell’interno, nonostante la concorrenza dei veneti e dei muggesani, che a volte fa scoppiare aspre contese (specie per il possesso della salina di Zaule).
Le campagne intorno sono tutte coltivate a orti, vigneti, frutteti e oliveti; questi prodotti vengono tutti consumati in città.
La carne di maggior consumo è quella di maiale poiché il manzo è riservato ai ceti più abbienti ed è molto più costoso. Prosperosa è la pesca.
I cittadini depositano spesso il letame sulla pubblica via e questo dà luogo a numerose e ricorrenti malattie infettive (vaiolo e colera).
La lotta tra il potere imperiale e la libertà civica comincia paradossalmente nel momento in cui l’Austria dà avvio a quella profonda trasformazione economica che porterà a livelli di emporio internazionale.