Piazza Grande o meglio Piazza san Pietro attorno al 1820

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Piazza san Pietro nel 1820 circa.
a sinistra la chiesa di san Pietro, demolita a fine Ottocento.Al suo posto, palazzo Modello. e dietro la Dogana vecchia, dove oggi c’è il Tergesteo. La fila di edifici stretta e lunga in alto verrà inglobata nel Municipio di fine Ottocento, la A sta per la cancelleria del governo, la B è la Loggia – ricordata dagli attuali archi sotto il Municipio e difatti dietro c’è la stretta via della Loggia. Casa Jovovich è sempre al suo posto anche se adesso la chiamano casa Pitteri e c’è sotto il Despar. I due circoli al centro dovrebbero essere la fontana e la colonna di Carlo VI
Attaccata a san Pietro la casa di Nicolò Stratti che diventerà palazzo Stratti e gli Specchi, e davanti il teatro Vecchio o teatro san Pietro, che fu pure sede del Comune, e fu demolito anch’esso.
Poi ci sono le carceri, con un cortile ed un deposito.. la Locanda Grande che occupava parte della piazza e fra le carceri e la locanda la torre del Porto. Oltre la quale via dell’orologio che esiste tuttora- in parte e che ora sbocca a metà dell’attuale piazza.
Dopo via dell’orologio, che per anni tagliò la piazza con le rotaie del tram, viene il mandracchio, il porto riparato e protetto. Quello che viene ricordato dalle lucine blu per terra per ricordare che c’era il mare. Su cui, dopo interrato, sorse un effimero giardino. A sinistra il primo palazzo governatoriale, più piccolo dell’attuale e la cui facciata principale era su piazza del teatro, che si vede a sinistra . Il molo che proteggeva il mandracchio aveva una batteria di artiglieria ed una punta che rimase visibile dopo l’interramento, fino all’allargamento delle rive .

Si tratta della piazza, che , ingrandita, diventerà Piazza Unità e poi Piazza Unità d’Italia

 

Fonti: Celli Tognon e altri: la piazza nella città moderna, Rutteri : Trieste spunti dal suo passato, Zubini. Cittavecchia

TRIESTE – Teatro Comunale “Giuseppe Verdi”

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Teatro Comunale “Giuseppe Verdi” Riva Tre Novembre, 1
Foto Livio Crovatto

Il Teatro lirico Giuseppe Verdi è il principale teatro di Trieste.
Venne costruito per iniziativa privata tra il 1798 e il 1801. Il progetto originale fu di Giannantonio Selva, progettista anche della Fenice di Venezia, a cui si devono gli interni. Matteo Pertsch subentrò nell’incarico in seguito e si occupò soprattutto delle facciate. In quella principale è evidente l’influenza di Giuseppe Piermarini, insegnante del Pertsch e progettista della Scala di Milano.
La sistemazione definitiva della sala è dovuta ai restauri del 1882-1884 avvenuti sotto la direzione di Eugenio Geiringer. In tale occasione vennero realizzate anche le correnti decorazioni della sala (a opera di Josef Horwath), mentre l’edificio venne prolungato nella parte posteriore con la creazione dell’attuale facciata postica che riprende il disegno di quella principale.
Fu inaugurato con il nome Teatro Nuovo e si chiamò poi Teatro Grande (1820), in seguito Teatro Comunale (1861) e infine Teatro Comunale Giuseppe Verdi (1901). (da Wikipedia)

Trieste : Teatro Romano

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Il teatro romano di Trieste si trova ai piedi del colle di San Giusto, tra via Donota e via del Teatro Romano.

Risalente alla fine del I secolo a.C. (ampliato sotto Traiano) è certamente la testimonianza più suggestiva dell’antica Tergeste. Si trova ai piedi del colle di San Giusto, tra via Donota e via del Teatro Romano. La sua costruzione viene datata tra la fine del I secolo e l’inizio del II secolo d.C., presumibilmente per volere del procuratore Quinto Petronio Modesto, sacerdote di Marco Ulpio Nerva Traiano (citato in diverse iscrizioni – secondo alcune fonti, ne curò solamente alcuni interventi di rinnovamento). All’epoca della sua costruzione, il teatro, utilizzato per spettacoli pubblici, perlopiù rappresentazioni teatrali, si trovava in riva al mare, che a quel tempo arrivava quasi a lambirlo (sono stati rinvenuti moli di attracco), e doveva offrire uno spettacolo davvero suggestivo. Le sue gradinate, costruite sfruttando la naturale pendenza del colle, ospitavano dai 3.500 ai 6.000 spettatori (le fonti discordano).
Nell’antica Roma venne utilizzato a modello il teatro greco, al quale vennero apportate alcune modifiche. La struttura architettonica di questi teatri era fondata su murature radiali e concentriche spesso arricchite con marmi pregiati. I primi teatri furono certamente costruiti in legno, ed avevano carattere provvisorio, ma in età imperiale, dalla metà del I sec. d.C. vennero realizzati interamente in muratura. Il primo tra questi a noi pervenuto fu quello di Pompeo, del 55 a.C..

Le differenze fra i teatri romani e quelli greci: la struttura del teatro greco utilizzava colline naturali, quelli romani erano costruiti in piano, con un palcoscenico più ampio rispetto a quello greco. Il teatro romano aveva funzione di svago, il teatro greco contribuiva all’istruzione e alla formazione morale dei cittadini. Il teatro romano era costruito in piano e non su un declivio naturale come quello greco, ed ha una forma chiusa, che non consentiva la copertura con un velarium, utilizzato per riparare gli spettatori dal sole. Le gradinate semicircolari della cavea sono collegate alla scena con loggiati laterali poggianti su archi e volte realizzati in muratura. La facciata della scena era a numerosi piani e decorata a rappresentare vie, piazze o un paesaggio, prismi triangolari rotabili con i lati dipinti con una scena tragica su un lato, comica su un altro e satiresca sul terzo. La facciata esterna era ornata e resa monumentale da statue. L’auditorium, l’area in cui erano collocati i posti a sedere talvolta utilizzava una piccola collina o pendio, nella tradizione dei teatri greci, come nel teatro di Trieste, dove si rese necessario un sostegno strutturale e muri di contenimento. Con il trascorrere dei secoli, in stato di totale abbandono, il teatro triestino venne ricoperto da edificazioni abitative. Dimenticato, venne individuato soltanto nel 1814 dall’architetto Pietro Nobile, e riportato alla luce nel 1938, durante le opere di demolizione della città vecchia. Le statue e le iscrizioni rinvenute durante gli scavi sono conservate presso il Lapidario Tergestino al Castello di san Giusto.

Saltuariamente è stato anche utilizzato per spettacoli estivi all’aperto.

Così lo descrive Attilio Tamaro nel primo volume della sua “Storia di Trieste”:”Un vero monumento si profilerà un giorno nel cielo triestino, risorgendo dalla sconcia e disonorante sepoltura, in cui giace coperto da un agglomerato di case, di catapecchie e di lupanari, tra le vie di Pozzàcchera, di Rena, di Donota e di Riborgo, nella città vecchia. È la vasta rovina del teatro romano, di cui sotto le case sono conservati interi piani, gran parte della platea, frammenti di gradinate, due ordini di corridoi o gallerie sovrapposti l’uno all’altro. Tra via di Pozzàcchera e quella di Rena (da arena?), arcuate come sono, seguono ancora la curva delle gallerie sepolte. Il Generini afferma che sin verso il 1850 in Pozzàcchera si vedeva un pezzo della cinta del teatro, alto, disposto a curva, il quale continuava nell’interno delle case e terminava a Riborgo. Si vede ancora che una parte delle mura, nel medioevo, fu fondata sulle rovine del teatro. Una casa al principio di via Pozzàcchera è costruita sopra porzione del teatro stesso. Un corridoio sotterraneo metteva capo, or non è molto, in androna del Buso e un frammento di gradinata si vedeva in androna degli Scalini. Il diametro del teatro, la cui topografia è facilmente visibile nella sua totalità, misura circa sessanta metri. Ireneo della Croce, dopo aver descritto quanto si vedeva delle rovine ai suoi tempi, diede un’immagine di queste in un rame della sua opera e ricordò i risultati di alcuni scavi operati nell’orto Chicchio e alla casa Garzaroli, sulla linea di fronte del teatro, lungo la via Riborgo. Un ’iscrizione, di cui esistettero due esemplari, uno in Riborgo e l’altro sulla parte posteriore del teatro, porta il nome di Quinto Petronio Modesto, triestino, ufficiale del tempo di Nerva e di Traiano: gli si attribuì, di fantasia, la costruzione del teatro. La città deve aver posseduto anche un anfiteatro, poiché esiste un’iscrizione triestina che rammenta i giochi gladiatori.”
Interessante anche la descrizione resa da Carlo Curiel:  “I ruderi dell’antico Teatro romano, oggi sepolti dalle casupole delle vie di Pozzacchera, di Rena, di Donota, di Riborgo, dànno un’idea della sua vastità : Pietro Nobile ne valutava il diametro a 57 metri e calcolava che potesse contenere circa 6000 persone, ciò che permette di concludere che non intervenivano solo i cittadini, ma anche gli abitanti dei paesi vicini. Impropriamente, il teatro fu chiamato più tardi Arena ed il quartiere ne prese il nome, con aferesi veneta, di Rena, ma sembra fosse più adatto alle rappresentazioni sceniche, che ai ludi gladiatori.
Caduto in rovina il Teatro romano, si dice sorgesse durante il Medioevo un’arena, dove si rappresentavano i misteri: ma le tradizioni sono incerte e dubbiose.”

L’area retrostante via del Teatro romano, che comprende via Donota, via Battaglia, via del Crocefisso, via del Seminario, oltre ad essere nota per il rinvenimento del Teatro e degli edifici di destinazione sepolcrale e funeraria, è stata oggetto di numerose campagne di scavo tra il 1982-1987, in conseguenza degli interventi di emergenza e manutenzione fognaria. Varia la tipologia sia dei manufatti sia delle sepolture rinvenute, queste ultime ricoperte da lastroni di reimpiego, da mattoni, da coppi, in anfore o in contenitori di fortuna. Di rilievo, inoltre, la documentazione epigrafica.

In via del Seminario è ora visibile  una porzione delle antiche mura costituite da blocchetti di arenaria, alla cui base si trova un canale per il deflusso delle acque provenienti dal fianco del colle. Scendendo di un centinaio di metri via del Seminario, in via di Donota troviamo l’Antiquarium, costituito da una zona archeologica e da una espositiva, con reperti provenienti dagli scavi di recupero edilizio, iniziati negli anni ’80. Durante gli scavi sono venuti alla luce i resti di un edificio con gli interni in intonaco affrescato e decorazioni in stucco, risalente al primo secolo d.C.  Probabilmente si trattava di un nucleo abitativo, realizzato su piani diversi sfruttando il declivio della collina. Dal IV° al VI° secolo l’area venne utilizzata per la tumulazione in anfore, a cassa e a fossa. Durante il periodo medievale la zona venne ricoperta dalle mura cittadine. (g.c.)

Teatro Filodrammatico, Via Piccola Fornace, 1985

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Teatro Filodrammatico, Via Piccola Fornace, 1985. F.to Giorgetti
VIA DONOTA E VIE LIMITROFE

TORRE-PORTA DONOTA
Nel medioevo questa porta era sormontata da una massiccia torre merlata a pianta quadrata datata nel Trecento; inoltre era munita di un ponte levatoio e di un fossato riempito d’acqua che si estendeva lungo quasi tutto il perimetro di difesa.
La porta Donota, che si trovava in linea retta sopra quella di Riborgo, con la quale formava il complesso fortificato di Donota-Riborgo, rappresentava uno dei principali accessi alla città e portava direttamente al colle di San Giusto.
Oggi appare come aperta verso l’interno, mentre la facciata originale esterna non è più visibile, poichè gli è addossato un edificio moderno. In seguito allo sviluppo urbano ottocentesco l’area antistante alla torre è stata circondata da diversi edifici, diventando l’attuale PIAZZA DONOTA. Nel corso degli interventi di ristrutturazione edilizia nel periodo 1982-1984 vennero rinvenute parte delle strutture medioevali della torre che consolidate ospitano l’ANTIQUARIUM inaugurato il 14 dicembre 1985.
La denominazione Donota è antichissima, attestata almeno dal XIV secolo, di origine non accertata, per opinione comune, è da collegarsi al fatto che questa porta fosse la sola che potesse venir aperta di notte, quindi dall’antico dialetto “de note”, ne è derivato il nome di Donota. Lo storico Luigi de Jenner fa risalire l’origine del nome a Donata vedova di Cadolo dei Cadoli che possedeva immobili nella zona.

PIAZZA DI DONOTA
Gli edifici all’angolo della piazza – via della Piccola Fornace vennero demoliti nell’aprile 1935.

VIA DONOTA (da largo Riborgo a via del Seminario)
La strada un tempo aveva inizio dalla scomparsa piazzetta San Giacomo, l’intera zona mutò aspetto nel 1935 con la demolizione di un gruppo di dodici case comprese fra le vie Donota, della Ghiaccerae di Riborgo, che portò alla creazione dell’attuale largo Riborgo.
All’angolo di via Donota e via Battaglia nel 1981 durante i lavori per il recupero edilizio condotto dall’Istituto Case Popolari, vennero ritrovati importanti ruderi romani, in una sucessiva campagna di scavi condotta dal 1982 al 1986, vennero alla luce un edificio risalente al I secolo, tombe a fossa del IV secolo, altre sepolture e anfore, tutto ciò ora è visibile nell’Antiquarium di via Donota, aperto dalla Soprintendenza in data 14 dicembre 1985
 
 
VICOLO SANTA CHIARA (oggi da piazza di Donota a via delle Candele), a ricordo dell’antico cenobio [1] di S.Chiara, monastero delle Clarisse con annessa chiesa dedicata a Santa Chiara che è esistito attorno al XIII secolo.
[1](cenòbio s. m. [dal lat. tardo coenobium, gr. κοινόβιον, comp. di κοινός «comune» e βίος «vita»] – Luogo dove più monaci fanno vita comune, sottoposti alla medesima regola; monastero).

VIA DELLE CANDELE ( da vicolo Santa Chiara a via Battaglia) in riferimento ad una cereria aperta sul posto forse nel 1740 da un certo Guadagnini o nel 1780 da Abramo Vita Basevi

VIA BATTAGLIA (da via Donota a via del Caboro)
in riferimento alla famiglia Battaglia che possedeva parecchie case nella via.
VIA GRUZZULIS (da via Donota a via Prelaser)
in riferimento ad una famiglia con tale nome.

VIA DEL CROCEFISSO
toponimo settecentesco dovuto all’edicola detta “Pontal de Cristo” che si trova all’angolo con via di Donota L’originale forse di origine medioevale è stato distrutto dal fuoco nel 1931 e sostituito da un altro appositamente eseguito, che fu trafugato assieme alla corona sovrastante, il 23 dicembre 1980. L’Associazione commercianti ed esercenti e e il comitato “Fiorire Trieste” fecero realizzare un nuovo crocefisso ad opera dello scultore Renzo. Possenelli che fu posto nell’edicola il 30 ottobre 1987.
Il crocefisso rubato era stato restituito danneggiato, qualche mese dopo il furto lasciato in un confessionale, restaurato a cura del laboratorio di Viviana Deffar e Donatella Russo Cirillo è stato riposizionato nella sua sede originaria in data 23 maggio 2004
Lungo la strada si trova la piccola edicola dedicata a S.Maria, a protezione della via , la cupoletta con le finestre in vetro è scomparsa, ma l’edicola con la madonnina è stata restaurata. Sulla base c’è scritto A 1834

VIA DI MONTUZZA oggi VIA ROTA ( inizia dove via Donota s’incontra con via del Seminario, causa la forte pendenza è formata soprattutto da scalini termina in via Capitolina)
Via G. Rota fino al 1919 si chiamava “via di Montuzza” e prima ancora “contrada di Montuza.” E’ dedicata all’illustre musicista-compositore Giuseppe Rota(1833-1911), nato a Trieste, suo padre era originario di Momiano d’Istria, studiò violino, pianoforte e composizione, esordì nel 1851 al teatro Mauroner con l’opera “il Lazzarone”, dopo aver tenuto concerti in varie città d’Italia si stabilì a Torino, nel 1859 fece ritorno a Trieste, chiamato ad occupare il posto di direttore della Cappella Civica e della Civica scuola di canto, le sue opere vennero rappresentate anche a Parma, Bologna e la Scala di Milano… non fosse che ormai da anni è chiusa.

A destra della via Donota: c’erano gli edifici le strade e le androne scomparse nelle demolizioni fra gli anni 1934-1937.

ANDRONA DEI PORTA attraverso la quale si entrava nel giardino appartenente alla famiglia Porta (oggi non più esistente, subito dopo l’anfiteatro romano)

ANDRONA DEGLI SCALINI sistemata con scalini dalla metà del settecento (al termine di via Donota, nell’androna si trovava un lavatoio pubblico rimasto in funzione fino al 1936 ; oggi collegata all’ex androna della Fontanella è un sentiero che collega via del Teatro Romano e via Donota

VIA DI RENA (oggi non più esistente da via del Pozzo Bianco a via Donota)
Nella foto s (scomparsa nelle demolizioni degli anni ’30), da via Donota alta. La mappa del 1912 nei commenti.
All’origine di questo nome è il Teatro Romano, al tempo considerato erroneamente un “arena”, (arena vecia= Rena Vecia) ci sono documenti che ne attestano l’esistenza del teatro già nel 1690, in seguito i resti scomparvero sotto le case costruite nel corso degli anni. Via di Rena iniziava da via del Pozzo Bianco e arrivava fino via Donota; in questa strada nel 1732 venne edificata da Stefano Conti, la casa domenicale e la cappelletta dedicata alla Sacra famiglia.

ANDRONA DEI POZZI (oggi non più esistente si trovava alla fine della via Rena) in riferimento a due antichi pozzi

VIA DEL CROCEFISSO
Via del Crocefisso, il nome è dovuto ad un edicola con il crocefisso posta all’inizio della via. L’originale settecentesco è stato asportato nel 1913 e sostituito da un altro appositamente eseguito che fu trafugato il 23 dicembre 1980. L’Associazione commercianti ed esercenti e e il comitato “Fiorire Trieste” fecero realizzare un nuovo crocefisso ad opera dello scultore R. Possenelli che fu posto nell’edicola il 30 ottobre 1987.
In via del Crocefisso (da via Donota a piazzetta Tor Cucherna) c’è un edicola dedicata a S.Maria, a protezione della via , la cupoletta con le finestre in vetro è scomparsa, ma in seguito l’edicola con la madonnina è stata restaurata, sulla base c’è scritto A 1834- S. Maria Mater Grazie-

(Margherita Tauceri)


Testi consultati:

Le Antiche Mura e Torri di Trieste di Dino Cafagna
Vie e Piazza di Trieste Moderna di Antonio Trampus
Cittavecchia di Fabio Zubini

Il Teatro romano di Trieste

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Il teatro romano di Trieste si trova ai piedi del colle di San Giusto, tra via Donota e via del Teatro Romano.

La sua costruzione viene datata tra la fine del I secolo e l’inizio del II secolo d.C., per volere del procuratore Quinto Petronio Modesto, sacerdote di Marco Ulpio Nerva Traiano (citato in diverse iscrizioni, secondo alcune fonti, ne curò solamente alcuni interventi di rinnovamento).

All’epoca della sua costruzione, il teatro, si trovava in riva al mare, che a quel tempo arrivava quasi a lambirlo (sono stati rinvenuti moli di attracco), e doveva offrire uno spettacolo davvero suggestivo. Le sue gradinate, costruite sfruttando la naturale pendenza del colle, ospitavano dai 3.500 ai 6.000 spettatori (le fonti discordano).
Con il trascorrere dei secoli, in stato di totale abbandono, venne ricoperto da edificazioni abitative. Dimenticato, venne individuato soltanto nel 1814 dall’architetto Pietro Nobile, e riportato alla luce nel 1938, durante le opere di demolizione della città vecchia. Le statue e le iscrizioni rinvenute durante gli scavi sono conservate presso il Lapidario Tergestino al Castello di san Giusto.
E’ stato saltuariamente utilizzato per spettacoli estivi all’aperto.

Così lo descrive Attilio Tamaro nel primo volume della sua “Storia di Trieste”: ” Un vero monumento si profilerà un giorno nel cielo triestino, risorgendo dalla sconcia e disonorante sepoltura, in cui giace coperto da un agglomerato di case, di catapecchie e di lupanari, tra le vie di Pozzàcchera, di Rena, di Donota e di Riborgo, nella città vecchia. È la vasta rovina del teatro romano, di cui sotto le case sono conservati interi piani, gran parte della platea, frammenti di gradinate, due ordini di corridoi o gallerie sovrapposti l’uno all’altro). Tra via di Pozzàcchera e quella di Rena (da arena?), arcuate come sono, seguono ancora la curva delle gallerie sepolte. Il Generini afferma che sin verso il 1850 in Pozzàcchera si vedeva un pezzo della cinta del teatro, alto, disposto a curva, il quale continuava nell’interno delle case e terminava a Riborgo. Si vede ancora che una parte delle mura, nel medioevo, fu fondata sulle rovine del teatro. Una casa al principio di via Pozzàcchera è costruita sopra porzione del teatro stesso. Un corridoio sotterraneo metteva capo, or non è molto, in androna del Buso e un frammento di gradinata si vedeva in androna degli Scalini. Il diametro del teatro, la cui topografia è facilmente visibile nella sua totalità, misura circa sessanta metri. Ireneo della Croce, dopo aver descritto quanto si vedeva delle rovine ai suoi tempi, diede un’immagine di queste in un rame della sua opera e ricordò i risultati di alcuni scavi operati nell’orto Chicchio e alla casa Garzaroli, sulla linea di fronte del teatro, lungo la via Riborgo. Un ’iscrizione, di cui esistettero due esemplari, uno in Riborgo e l’altro sulla parte posteriore del teatro, porta il nome di Quinto Petronio Modesto, triestino, ufficiale del tempo di Nerva e di Traiano: gli si attribuì, di fantasia, la costruzione del teatro.
La città deve aver posseduto anche un anfiteatro, poiché esiste un’iscrizione triestina che rammenta i giochi gladiatori”.

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Interessante anche la descrizione resa da Carlo Curiel:
” I ruderi dell’antico Teatro romano, oggi sepolti dalle casupole delle vie di Pozzacchera, di Rena, di Donota, di Riborgo, dànno un’idea della sua vastità : Pietro Nobile ne valutava il diametro a 57 metri e calcolava che potesse contenere circa 6000 persone, ciò che permette di concludere che non intervenivano solo i cittadini,
ma anche gli abitanti dei paesi vicini. Impropriamente, il teatro fu chiamato più tardi Arena ed il quartiere ne prese il nome, con aferesi veneta, di Rena, ma sembra fosse più adatto alle rappresentazioni sceniche, che ai ludi gladiatori.
Caduto in rovina il Teatro romano, si dice sorgesse durante il Medioevo un’arena, dove si rappresentavano i misteri: ma le tradizioni sono incerte e dubbiose”.
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Il Teatro romano di Trieste

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Il teatro romano di Trieste si trova ai piedi del colle di San Giusto, tra via Donota e via del Teatro Romano.

La sua costruzione viene datata tra la fine del I secolo e l’inizio del II secolo d.C., per volere del procuratore Quinto Petronio Modesto, sacerdote di Marco Ulpio Nerva Traiano (citato in diverse iscrizioni, secondo alcune fonti, ne curò solamente alcuni interventi di rinnovamento).

All’epoca della sua costruzione, il teatro, si trovava in riva al mare, che a quel tempo arrivava quasi a lambirlo (sono stati rinvenuti moli di attracco), e doveva offrire uno spettacolo davvero suggestivo. Le sue gradinate, costruite sfruttando la naturale pendenza del colle, ospitavano dai 3.500 ai 6.000 spettatori (le fonti discordano).
Con il trascorrere dei secoli, in stato di totale abbandono, venne ricoperto da edificazioni abitative. Dimenticato, venne individuato soltanto nel 1814 dall’architetto Pietro Nobile, e riportato alla luce nel 1938, durante le opere di demolizione della città vecchia. Le statue e le iscrizioni rinvenute durante gli scavi sono conservate presso il Lapidario Tergestino al Castello di san Giusto.
E’ stato saltuariamente utilizzato per spettacoli estivi all’aperto.

Così lo descrive Attilio Tamaro nel primo volume della sua “Storia di Trieste”: ” Un vero monumento si profilerà un giorno nel cielo triestino, risorgendo dalla sconcia e disonorante sepoltura, in cui giace coperto da un agglomerato di case, di catapecchie e di lupanari, tra le vie di Pozzàcchera, di Rena, di Donota e di Riborgo, nella città vecchia. È la vasta rovina del teatro romano, di cui sotto le case sono conservati interi piani, gran parte della platea, frammenti di gradinate, due ordini di corridoi o gallerie sovrapposti l’uno all’altro). Tra via di Pozzàcchera e quella di Rena (da arena?), arcuate come sono, seguono ancora la curva delle gallerie sepolte. Il Generini afferma che sin verso il 1850 in Pozzàcchera si vedeva un pezzo della cinta del teatro, alto, disposto a curva, il quale continuava nell’interno delle case e terminava a Riborgo. Si vede ancora che una parte delle mura, nel medioevo, fu fondata sulle rovine del teatro. Una casa al principio di via Pozzàcchera è costruita sopra porzione del teatro stesso. Un corridoio sotterraneo metteva capo, or non è molto, in androna del Buso e un frammento di gradinata si vedeva in androna degli Scalini. Il diametro del teatro, la cui topografia è facilmente visibile nella sua totalità, misura circa sessanta metri. Ireneo della Croce, dopo aver descritto quanto si vedeva delle rovine ai suoi tempi, diede un’immagine di queste in un rame della sua opera e ricordò i risultati di alcuni scavi operati nell’orto Chicchio e alla casa Garzaroli, sulla linea di fronte del teatro, lungo la via Riborgo. Un ’iscrizione, di cui esistettero due esemplari, uno in Riborgo e l’altro sulla parte posteriore del teatro, porta il nome di Quinto Petronio Modesto, triestino, ufficiale del tempo di Nerva e di Traiano: gli si attribuì, di fantasia, la costruzione del teatro.
La città deve aver posseduto anche un anfiteatro, poiché esiste un’iscrizione triestina che rammenta i giochi gladiatori”.

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Interessante anche la descrizione resa da Carlo Curiel:
” I ruderi dell’antico Teatro romano, oggi sepolti dalle casupole delle vie di Pozzacchera, di Rena, di Donota, di Riborgo, dànno un’idea della sua vastità : Pietro Nobile ne valutava il diametro a 57 metri e calcolava che potesse contenere circa 6000 persone, ciò che permette di concludere che non intervenivano solo i cittadini,
ma anche gli abitanti dei paesi vicini. Impropriamente, il teatro fu chiamato più tardi Arena ed il quartiere ne prese il nome, con aferesi veneta, di Rena, ma sembra fosse più adatto alle rappresentazioni sceniche, che ai ludi gladiatori.
Caduto in rovina il Teatro romano, si dice sorgesse durante il Medioevo un’arena, dove si rappresentavano i misteri: ma le tradizioni sono incerte e dubbiose”.
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Trieste: Viale Venti Settembre 45. Politeama Rossetti.

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Trieste: Viale Venti Settembre 45. Politeama Rossetti.
Foto Paolo Carbonaio
Trieste: Viale Venti Settembre 45. Politeama Rossetti.
(Tra Via Enea Sivio Piccolomini 10, Via Francesco Crispi 58 e Viale Venti Settembre 45)
La Società Anonima del Politeama Rossetti, gruppo di azionisti privati con a capo il barone Emilio de Morpurgo affidò nel 1877 al genovese Nicolò Bruno e al ticinese Francesco Scalmanini la progettazione di un nuovo teatro sul Viale dell’Acquedotto. La costruzione, in stile eclettico, fu realizzata dall’impresa di Giovanni Righetti ed il teatro inaugurato il 27 aprile 1878. Nel 1928 un primo restauro fu affidato a Umberto Nordio. Il provvedimento di tutela fu imposto nel 1956, ad avvenuta cessazione di ogni attività teatrale, per scongiurare il pericolo di una speculazione fondiaria e demolizione dell’edificio. Gli inviti al recupero della struttura ed alla riapertura del teatro rimasero vani sino alla decisione di Ugo Irneri, nel 1967, di acquistare l’edificio che ormai minacciava di crollare, a causa delle infiltrazioni di acqua dal tetto. Anche in questa occasione la progettazione fu affidata ad Umberto Nordio. Un ulteriore intervento di recupero fu realizzato su progetto di Luciano Celli e Marina Cons. Il Politeama è stato oggetto di radicali trasormazioni che ne hanno profondamente alterato i suoi caratteri originari; mantiene, invece, alto il suo valore testimoniale avendo rappresentato, per ben oltre un secolo, uno spazio di confronto democratico e culturale, aperto alle manifestazioni liberal-nazionali ed a quelle socialiste, alla prosa proposta dalle grandi compagnie nazionali e da quelle dialettali, ai concerti sinfonici ed ai moderni cantautori.
La struttura, a pianta irregolare, è disposta su tre livelli. Affaccio principale su Viale Venti Settembre, secondari su Via Enea Silvio Piccolomini e Via Francesco Crispi.
L’immobile presenta una superficie muraria trattata ad intonaco grigio e giallo su cui risaltano elementi architettonici in pietra.
La facciata su Viale Venti Settembre è caratterizzata da una parte centrale leggermente rientrante; al pianoterra si trovano aperture ad arco a tutto centro, alternate da lesene in pietra a sostegno di una semplice trabeazione. Il piano superiore presenta il medesimo motivo delle aperture ad arco a tutto sesto, qui arricchite da una struttura in pietra costituita da semipilastri con capitello ionico che sorreggono una trabeazione decorata da motivi vegetali e floreali a rilievo. Le finestre sono alternate da lesene ioniche su alti piedistalli. L’architrave superiore è arricchito da motivi geometrici e da una cornice a dentelli che corre per tutto il perimetro dell’edificio. L’ultimo piano recupera la teoria di finestre ad arco inquadrate da una struttura in pietra con semipilastri dorici e trabeazione decorata con motivi floreali a rilievo, completata da un frontone con motivo a voluta. Lesene ioniche si alternano alle finestre. A coronamento una fascia decorata con motivi a rilievo e mascheroni, completata da una cornice a dentelli.
La facciata su Via Piccolomini, disposta a pendio, presenta una formula simile al prospetto sul vilae nelle parti laterali, mentre al centro emerge l’imponente portico d’ingresso con scalinata e colonne ioniche su alti piedistalli, a sostegno della veranda superiore. Tale struttura presenta una vetrata suddivisa in piccoli rettangoli con cornice chiara, inframmezzata da quattro colonne ioniche che sorreggono la trabeazione di coronamento. A lato si trovano due nicchie entro cui sono collocate due statue in terracotta raffiguranti figure femminili. (da: biblioteche.comune.trieste.it)

Trieste: Viale Venti Settembre 45. Politeama Rossetti.

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Trieste: Viale Venti Settembre 45. Politeama Rossetti.
(Tra Via Enea Sivio Piccolomini 10, Via Francesco Crispi 58 e Viale Venti Settembre 45)
La Società Anonima del Politeama Rossetti, gruppo di azionisti privati con a capo il barone Emilio de Morpurgo affidò nel 1877 al genovese Nicolò Bruno e al ticinese Francesco Scalmanini la progettazione di un nuovo teatro sul Viale dell’Acquedotto. La costruzione, in stile eclettico, fu realizzata dall’impresa di Giovanni Righetti ed il teatro inaugurato il 27 aprile 1878. Nel 1928 un primo restauro fu affidato a Umberto Nordio. Il provvedimento di tutela fu imposto nel 1956, ad avvenuta cessazione di ogni attività teatrale, per scongiurare il pericolo di una speculazione fondiaria e demolizione dell’edificio. Gli inviti al recupero della struttura ed alla riapertura del teatro rimasero vani sino alla decisione di Ugo Irneri, nel 1967, di acquistare l’edificio che ormai minacciava di crollare, a causa delle infiltrazioni di acqua dal tetto. Anche in questa occasione la progettazione fu affidata ad Umberto Nordio. Un ulteriore intervento di recupero fu realizzato su progetto di Luciano Celli e Marina Cons. Il Politeama è stato oggetto di radicali trasormazioni che ne hanno profondamente alterato i suoi caratteri originari; mantiene, invece, alto il suo valore testimoniale avendo rappresentato, per ben oltre un secolo, uno spazio di confronto democratico e culturale, aperto alle manifestazioni liberal-nazionali ed a quelle socialiste, alla prosa proposta dalle grandi compagnie nazionali e da quelle dialettali, ai concerti sinfonici ed ai moderni cantautori.
La struttura, a pianta irregolare, è disposta su tre livelli. Affaccio principale su Viale Venti Settembre, secondari su Via Enea Silvio Piccolomini e Via Francesco Crispi.
L’immobile presenta una superficie muraria trattata ad intonaco grigio e giallo su cui risaltano elementi architettonici in pietra.
La facciata su Viale Venti Settembre è caratterizzata da una parte centrale leggermente rientrante; al pianoterra si trovano aperture ad arco a tutto centro, alternate da lesene in pietra a sostegno di una semplice trabeazione. Il piano superiore presenta il medesimo motivo delle aperture ad arco a tutto sesto, qui arricchite da una struttura in pietra costituita da semipilastri con capitello ionico che sorreggono una trabeazione decorata da motivi vegetali e floreali a rilievo. Le finestre sono alternate da lesene ioniche su alti piedistalli. L’architrave superiore è arricchito da motivi geometrici e da una cornice a dentelli che corre per tutto il perimetro dell’edificio. L’ultimo piano recupera la teoria di finestre ad arco inquadrate da una struttura in pietra con semipilastri dorici e trabeazione decorata con motivi floreali a rilievo, completata da un frontone con motivo a voluta. Lesene ioniche si alternano alle finestre. A coronamento una fascia decorata con motivi a rilievo e mascheroni, completata da una cornice a dentelli.
La facciata su Via Piccolomini, disposta a pendio, presenta una formula simile al prospetto sul vilae nelle parti laterali, mentre al centro emerge l’imponente portico d’ingresso con scalinata e colonne ioniche su alti piedistalli, a sostegno della veranda superiore. Tale struttura presenta una vetrata suddivisa in piccoli rettangoli con cornice chiara, inframmezzata da quattro colonne ioniche che sorreggono la trabeazione di coronamento. A lato si trovano due nicchie entro cui sono collocate due statue in terracotta raffiguranti figure femminili. (da: biblioteche.comune.trieste.it)

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Trieste: Viale Venti Settembre 45. Politeama Rossetti.
Foto Paolo Carbonaio
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La Società Anonima del Politeama Rossetti, gruppo di azionisti privati con a capo il barone Emilio de Morpurgo affidò nel 1877 al genovese Nicolò Bruno e al ticinese Francesco Scalmanini la progettazione di un nuovo teatro sul Viale dell’Acquedotto. La costruzione, in stile eclettico, fu realizzata dall’impresa di Giovanni Righetti ed il teatro inaugurato il 27 aprile 1878. Nel 1928 un primo restauro fu affidato a Umberto Nordio. Il provvedimento di tutela fu imposto nel 1956, ad avvenuta cessazione di ogni attività teatrale, per scongiurare il pericolo di una speculazione fondiaria e demolizione dell’edificio. Gli inviti al recupero della struttura ed alla riapertura del teatro rimasero vani sino alla decisione di Ugo Irneri, nel 1967, di acquistare l’edificio che ormai minacciava di crollare, a causa delle infiltrazioni di acqua dal tetto. Anche in questa occasione la progettazione fu affidata ad Umberto Nordio. Un ulteriore intervento di recupero fu realizzato su progetto di Luciano Celli e Marina Cons. Il Politeama è stato oggetto di radicali trasormazioni che ne hanno profondamente alterato i suoi caratteri originari; mantiene, invece, alto il suo valore testimoniale avendo rappresentato, per ben oltre un secolo, uno spazio di confronto democratico e culturale, aperto alle manifestazioni liberal-nazionali ed a quelle socialiste, alla prosa proposta dalle grandi compagnie nazionali e da quelle dialettali, ai concerti sinfonici ed ai moderni cantautori.
La struttura, a pianta irregolare, è disposta su tre livelli. Affaccio principale su Viale Venti Settembre, secondari su Via Enea Silvio Piccolomini e Via Francesco Crispi.
L’immobile presenta una superficie muraria trattata ad intonaco grigio e giallo su cui risaltano elementi architettonici in pietra.
La facciata su Viale Venti Settembre è caratterizzata da una parte centrale leggermente rientrante; al pianoterra si trovano aperture ad arco a tutto centro, alternate da lesene in pietra a sostegno di una semplice trabeazione. Il piano superiore presenta il medesimo motivo delle aperture ad arco a tutto sesto, qui arricchite da una struttura in pietra costituita da semipilastri con capitello ionico che sorreggono una trabeazione decorata da motivi vegetali e floreali a rilievo. Le finestre sono alternate da lesene ioniche su alti piedistalli. L’architrave superiore è arricchito da motivi geometrici e da una cornice a dentelli che corre per tutto il perimetro dell’edificio. L’ultimo piano recupera la teoria di finestre ad arco inquadrate da una struttura in pietra con semipilastri dorici e trabeazione decorata con motivi floreali a rilievo, completata da un frontone con motivo a voluta. Lesene ioniche si alternano alle finestre. A coronamento una fascia decorata con motivi a rilievo e mascheroni, completata da una cornice a dentelli.
La facciata su Via Piccolomini, disposta a pendio, presenta una formula simile al prospetto sul vilae nelle parti laterali, mentre al centro emerge l’imponente portico d’ingresso con scalinata e colonne ioniche su alti piedistalli, a sostegno della veranda superiore. Tale struttura presenta una vetrata suddivisa in piccoli rettangoli con cornice chiara, inframmezzata da quattro colonne ioniche che sorreggono la trabeazione di coronamento. A lato si trovano due nicchie entro cui sono collocate due statue in terracotta raffiguranti figure femminili. (da: biblioteche.comune.trieste.it)

Trieste: Piazza della Libertà 11. Sala Tripcovich.

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Trieste: Piazza della Libertà 11. Sala Tripcovich.
Foto Paolo Carbonaio
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Nel 1935 il Comune, allo scopo di regolarizzare l’ormai ingente traffico di mezzi pubblici verso le località del litorale istriano e del Friuli, volle adibire, nella zona prospiciente piazza della Libertà, uno spazio specifico a stazione delle autocorriere. Il progetto del nuovo edificio fu affidato agli ingegneri Giovanni Baldi ed Umberto Nordio che in tempi relativamente rapidi lo portarono a compimento. La struttura, caratterizzata da una semplice fattura a capannone a pianta rettangolare con aggiunto un fabbricato di più ridotte dimensioni a forma semicircolare destinato alla biglietteria, era priva di qualsiasi ornamento decorativo, tesa infatti più alla funzionalità che non alla bellezza architettonica. La Stazione Comunale Autolinee, persa la sua originaria funzione allorquando la struttura fu trasferita all’interno dell’edificio denominato “Silos”, fu quindi convertita in teatro nei primi anni novanta. Essendo stata privata, per motivi di restauro, della sua principale sala teatrale, la città di Trieste necessitava urgentemente di uno spazio che potesse supplire momentaneamente al vuoto venutosi a creare con la chiusura del Verdi. Il grosso contenitore a pianta rettangolare, espressione di un preciso periodo storico e realizzato con materiali sperimentali -fu uno dei primi edifici triestini ad essere costruito in cemento armato-, si presentava agli occhi del Comune come il fabbricato ideale: la sala ed il palcoscenico avrebbero trovato ubicazione nel corpo centrale, il foyer ed i servizi nel corpo aggiunto. Stabilite le linee principali, dubbi restavano su che aspetto l’interno del teatro avrebbe dovuto avere: si preferì seguire l’antico concetto teatrale della “scatola nera” dove il palcoscenico riveste le parti di primo attore, la vecchia struttura era troppo vincolata per realizzare qualcosa di eclatante: si optò quindi per l’inserimento di semplici semicolonne neoclassiche sull’esempio del Persch in un ambiente dove il colore rosso e nero erano predominanti. Inaugurato il 15 dicembre del 1992, il nuovo teatro, con una capacità di ben 900 posti, prese il nome dalla società di navigazione triestina finanziatrice dell’impresa: Sala Tripcovich. (da: biblioteche.comune.trieste.it)

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Nel 1935 il Comune, allo scopo di regolarizzare l’ormai ingente traffico di mezzi pubblici verso le località del litorale istriano e del Friuli, volle adibire, nella zona prospiciente piazza della Libertà, uno spazio specifico a stazione delle autocorriere. Il progetto del nuovo edificio fu affidato agli ingegneri Giovanni Baldi ed Umberto Nordio che in tempi relativamente rapidi lo portarono a compimento. La struttura, caratterizzata da una semplice fattura a capannone a pianta rettangolare con aggiunto un fabbricato di più ridotte dimensioni a forma semicircolare destinato alla biglietteria, era priva di qualsiasi ornamento decorativo, tesa infatti più alla funzionalità che non alla bellezza architettonica. La Stazione Comunale Autolinee, persa la sua originaria funzione allorquando la struttura fu trasferita all’interno dell’edificio denominato “Silos”, fu quindi convertita in teatro nei primi anni novanta. Essendo stata privata, per motivi di restauro, della sua principale sala teatrale, la città di Trieste necessitava urgentemente di uno spazio che potesse supplire momentaneamente al vuoto venutosi a creare con la chiusura del Verdi. Il grosso contenitore a pianta rettangolare, espressione di un preciso periodo storico e realizzato con materiali sperimentali -fu uno dei primi edifici triestini ad essere costruito in cemento armato-, si presentava agli occhi del Comune come il fabbricato ideale: la sala ed il palcoscenico avrebbero trovato ubicazione nel corpo centrale, il foyer ed i servizi nel corpo aggiunto. Stabilite le linee principali, dubbi restavano su che aspetto l’interno del teatro avrebbe dovuto avere: si preferì seguire l’antico concetto teatrale della “scatola nera” dove il palcoscenico riveste le parti di primo attore, la vecchia struttura era troppo vincolata per realizzare qualcosa di eclatante: si optò quindi per l’inserimento di semplici semicolonne neoclassiche sull’esempio del Persch in un ambiente dove il colore rosso e nero erano predominanti. Inaugurato il 15 dicembre del 1992, il nuovo teatro, con una capacità di ben 900 posti, prese il nome dalla società di navigazione triestina finanziatrice dell’impresa: Sala Tripcovich. (da: biblioteche.comune.trieste.it)

Giovedì 4 gennaio 1900 – Al Teatro Comunale la prima degli Ugonotti di Meyerbeer

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Giovedì 4 gennaio 1900

Al Teatro Comunale va in scena la prima degli Ugonotti di Meyerbeer, che non ottiene il consenso del pubblico.

Bibliografia:

 Cent’anni di storia, Vol. I, 1900-1914. Publisport Trieste, 1997

Teatro Verdi – lato mare, inizi del Novecento


Inizi 900 - teatro Verdi - lato mare

Teatro Verdi, lato mare, inizi del Novecento
Le Rive non sono solo dei luoghi caratteristici della città, ma dei punti nevralgici per il traffico sia veicolare che commerciale. Riva Carciotti prese il nome dall’omonimo bel palazzo neoclassico che Matteo Pertsch costruì per il commerciante greco Demetrio Carciotti i lavori iniziarono nel 1799 e furono conclusi nel 1805. Prima dell’allargamento e l’interramento del mare avvenuto nel 1906, la riva risultava molto stretta e si potevano vedere le imbarcazioni quasi a ridosso alle case.
In seguito la denominazione della riva venne mutata in “Riva III Novembre”a ricordo dello sbarco dei bersaglieri avvenuto il 3 novembre 1918
Sulla destra dopo il palazzo Carciotti, si trova il palazzo neoclassico già sede dell’ Hotel et de la Ville, progettato da Giovanni Degasperi, inaugurato il 1 giugno 1841, con il nome di Albergo principe di Metternich, nel’48 un gruppo di rivoltosi distrusse l’insegna ritenendo il nome, un simbolo dell’impero e in quell’occasione cambiò in Hotel de la Ville. In questo albergo fu installato il primo ascensore della città 1884 e fu il primo ad essere dotato di riscaldamento centralizzato. Rimase in esercizio fino al 1975. Segue la chiesa dedicata alla SS. Trinità ed a San Nicolò di rito greco-ortodosso consacrata il 18 febbraio 1787 . La facciata fu successivamente abbellita ad opera dell’architetto Matteo Pertsch nel periodo 1818-1821.
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CORSO CAVOUR già “via della Stazione” divenne nel 1919 “Corso Cavour” a ricordo del noto statista piemontese: Camillo Benso conte di Cavour (Torino 1810 – ivi 1861). Ufficiale del genio (1827-31), fece il suo ingresso in politica nel 1847, fondando il giornale Il Risorgimento. Deputato, fu più volte ministro (1850, 1851) e presidente del consiglio (1852). Nel 1860 assunse il pieno controllo diplomatico dell’impresa garibaldina. Inoltre gettò poi le premesse di un’azione volta a sanare i rapporti tra Stato e Chiesa ma morì prima di essere riuscito a portarla a compimento. Fu ospite a Trieste della famiglia Morpurgo dal 17 al 21 aprile 1836.
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RIVA DEL MANDRACCHIO – (mandrakion dal greco piccolo recinto) da Piazza Unità d’Italia a Riva Nazario Sauro, il toponimo deriva dal nome dell’antico porto di Trieste, interrato nel 1863 e corrispondente alla metà, lato mare, della piazza Unità. Dal 1865 si inizia a costruire la riva a cui viene dato il nome nel 1883.        (M. Tauceri)