Nicola I del Montenegro ( e Trieste)

Nella Gipsoteca del Museo Sartorio, malauguratamente chiusa, è presenta un busto di re Nicola I ( e ultimo) del Montenegro, opera di Marco Carlucci, 1914. I principi del Montenegro si succedevano da zio a nipote in una serie di principi-vescovi ortodossi.

Nicola del Montenegro, busto di Marco Carlucci, 1914 dono Popovich 
Gipsoteca Museo Sartorio, foto EM

Il principe Danilo I ( che non era più vescovo) sposò una triestina serba, Darinka Kvekic, che alla sua morte ritornò a Trieste. Così la ricordano i musei civici “Darinka Kvekich principessa del Montenegro (Trieste 1836- Venezia 1892), si assicura un posto nella storia: nel 1855 sposa il principe del Montenegro Danilo I Petrovic-Njegos, che regna dal 1851 al 1860. E’ un matrimonio felice ma di breve durata: nell’agosto del 1860 il principe Danilo viene assassinato e Darinka fa salire al trono del Montenegro Nicola – padre di Elena, futura regina d’Italia – il nipote prediletto della coppia reale. Darinka era “di media statura e di bellezza non eccezionale, ma dallo sguardo vivace ed altero portamento”. Parlava correntemente, oltre all’italiano e al serbo, anche il tedesco e il francese. Passato un periodo di reggenza, in cui Darinka affianca il principe Nicola, attorno al 1865 la principessa si ritira a Venezia, dove muore.”

La regina Milena, moglie di re Nicola, dicono che fu realmente regina solo dopo la morte di Darinka.

La principessa Darinka, foto dei Civici Musei

la pietra tombale della principessa Darinka a Cettigne ( Cetinje) in Montenegro, assieme alla figlia Olga

pietra tombale foto EM

Il nipote Nicola visse alcuni anni a Trieste e frequentò le scuole fra Trieste e Capodistria. Poi studiò dapprima in un liceo prestigioso a parici e poi all’Accademia di Saint Cyr, Ritornato in patria per regnare alla morte dello zio, fu un favorito dello zar e le sue tante figlie studiarono a san Pietroburgo al prestigioso istituto Smolny, Due di loro sposarono granduchi russi e furono fra le sostenitrici di Rasputin, sopravvissero alla rivoluzione russa, altre sposarono il re d’Italia, il re di Serbia e il principe Battenberg (l’umico che non si tradusse in Mountbatten) . Divenuto re nel 1910, perse il trono alla pace di Versailles dove il suo regno venne assegnato al nuovo stato dei Serbi, Croati, Sloveni, poi Jugoslavia, nonostante le sue proteste, fu alla sua morte che la vedova regina Milena si rassegnò alla perdita del regno

Bibliografia: Genti di san Spiridione, Trieste 2009

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La ceramica triestina del Settecento

Nel 1773 Giacomo Balletti ottenne l’esclusiva per 10 anni per la produzione e vendita nel Litorale austriaco di ceramiche e maioliche, con una fabbrica in zona Lazzaretto vecchio. Le sue ceramiche non portano marchio di fabbrica. Dopo 3 anni la fabbrica venne rilevata da Pietro Lorenzi, esperto di ceramiche venete, che marchiò la propria produzione con le proprie iniziali. allo scadere dei 10 anni aprirono altre fabbriche di Sinibaldi, Santini e Filippuzzi. le ceramiche, ispirate anche alle contemporanee di Wedgwood, erano generalmente color crema più utilitarie che decorative, e vennero prodotte fino all’occupazione francese dei primi dell’ottocento. Poi nessuna riaprì. Molti oggetti sono conservati ed esposti nella galleria delle ceramiche del Museo Sartorio, visibili quando essa è aperta al pubblico (testo e foto EM)

Altre sono presenti nelle sale degli appartamenti del museo Sartorio( pezzi meno pregiati) e altre al museo Scaramangà, privato.

Frammenti di queste ceramiche sono comparse negli scavi recenti di Crosada, sono state esposte per breve tempo e poi son tornate nei depositi dei musei civici

Bibliografia Favetta, Bianca Maria LA CERAMICA TRIESTINA – I ediz., Giacometti 1966

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I preziosi Celadon del Museo orientale

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bacile celadon con decoro di foglie e onde stilizzate ( foto EM)

Una vetrina laterale della sala cinese del Museo orientale ( primo piano) presenta tre vasi di ceramica detta Celadon, di cui questo è il più antico. Risale alla dinastia Song “Durante la dinastia Sung – come scrivevano un tempo -( 960 – 1279 d.C. ) il successo della produzione della ceramica fu la colorazione di nero della merce ed il più spettacolare dei monocromi, il Celadon del nord dal tipico colore verde oliva.

I Cinesi non avevano ancora messo a punto la produzione della loro porcellana, ma questa ceramica  ne costituisce un precedente. Ancora adesso in Cina creano e vendono oggetti in questo colore e  questo stile.

Celadon è il nome attribuito a queste ceramiche dai Francesi, dal nome di un personaggio letterario.  Il colore ricordava la più preziosa giada, il disegno è inciso prima dell’invetriatura e cottura. Questo dovrebbe essere il vaso più antico del museo.

I tre vasi sono stati acquisiti negli anni Ottanta dell’ottocento da  Carlo Battistella e donati al Museo

Bibliografia: Crusvar Il civico museo d’arte orientale di Trieste Trieste, Rotary Club 2002

L’Onda di Hokusai

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La Grande Onda – di Katsushika Hokusai ( foto EM)

L’Onda di Hokusai è una silografia policroma databile attorno al 1830-1832 (mm 250 x 375) ed è una delle più note stampe di questo autore, di cui copie si trovano nei più grandi musei di arte orientale. Si trova esposta al terzo piano del Museo di Arte orientale di Trieste assieme alla collezione di stampe e surimono giapponesi, provenienti da collezioni private accolte nel tempo dai civici Musei.

L’onda travolge nella sua spuma la fragile imbarcazione sottostante.

I ventagli dei musei triestini

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Venere e Giunone, ventaglio pieghevole, Francia o Portogallo, 1795-1800 circa

I tesori segreti dei musei triestini: esiste una collezione di ventagli, oggetti preziosi e fragili.. un anno ne fecero un’esposizione di cui questa è un’immagine, poi risparirono nei depositi!

Bibliografia: Aldo Dente Seducendo con l’arte: la collezione di ventagli dei Civici Musei di Storia e Arte di Trieste Trieste, 2003

Il Sigillo rinascimentale di Trieste

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Il Sigillo rinascimentale della città di Trieste. Lo stemma fu concesso nel 1464 da Federico III , ma questo venne coniato dopo il 1508-9, nel 1516 come attesta la data scritta, per concessione dell’imperatore Massimiliano I, e venne creato da un orafo di Lubiana. Esposti alla mostra del Medioevo a Trieste, si trova in una sala del museo di Storia Patria. Rimase in uso fino al 1918.
Iscrizione: SIGILLUM COMUNITATI TERGESTI ANNO 1516

Bibliografia essenziale: Medioevo a Trieste istituzioni, arte, società nel Trecento – Silvana Editoriale Trieste, 2008


            

Trieste : Il Castello di San Giusto

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Trieste: Il Castello di San Giusto

Sulla sommità del colle di San Giusto svetta il castello, la cui costruzione iniziò nel 1470, per volere dell’imperatore Federico III, con risoluzione del 20 maggio, su rovine di più antiche fortificazioni. Venne concluso nel 1630. Già nel 1363 erano state gettate le prime fondamenta del castello e nel 1369 i veneziani avevano dato l’incarico di proseguire i lavori a Goro e Giacomo da Medicina, su progetto degli architetti Lorenzo e Giacomo da Medoni, e nel 1371 ad Allegrino da Verona. 

A quei tempi il colle di S. Giusto veniva chiamato monte Tiber o Taber e nella parte più alta portava nel Trecento la denominazione Gabbro, mentre il castello era chiamato Castrum Sancti Iusti o Castrum Caborii (di Caboro) o ancora castrum superius in contrapposizione al castrum inferius o castello Amarina eretto dai veneziani tra il 1375 e il 1378 sulla riva del mare fra le torri Beccaria, Pescheria e Fradela. Nel 1382 il castello fu restaurato dopo l’occupazione dei soldati del conte Ugone VI di Duino. (Zubini 2006).

Il Castello occupa una superficie di circa mq 12.000 con un perimetro di 700 metri.

Un ponte levatoio consente l’accesso ad un cortiletto dove si viene accolti da due statue di zinco fuso, raffiguranti due paggi, due automi che si trovavano sulla torre del nuovo palazzo municipale di Trieste, progetto dell’architetto Bruni.

Gli automi, disposti ai lati di una campana, sopra l’orologio comunale, grazie a braccia articolate regolate da un meccanismo ad orologeria, sollevavano un martello che batteva le ore. Ideati dal Bruni, gli automi vennero realizzati nel giugno 1875 dallo scultore Fausto Asteo (1840 – 1901) presso le  fonderie  dei  fratelli de Poli di Ceneda e collocati sulla torre nei giorni 5 e 7 gennaio 1876.

Entrarono in funzione il 14 gennaio alle ore 12. I triestini li soprannominarono Michez e Jachez (o Mikez e Jakez) (Michele e Giacomo), due famosi giudici della città. A seguito dei danni arrecati dagli agenti atmosferici e dalle sollecitazioni del meccanismo, vennero sostituiti il 3 novembre 1972, assieme alla campana, con delle copie realizzate in bronzo dalla fonderia Brustolin e dalla fonderia Cavadini, entrambe di Verona. 

Alla loro destra, una scala consente la salita al bastione Rotondo, da cui si può godere una piacevole vista sulla città.

Sui muri del cortile d’ingresso si trovano appesi vari stemmi di famiglie nobili triestine, tra cui quello delle tredici casate. 

Attualmente nel castello ci sono cinque cannoni, portati nel 1936: tre colubrine, provenienti dal castello di Moccò e due petrere, che sparavano palle di pietra, forse provenienti da Rozzo. Gli antichi nomi di questi cannoni sono: Basilisco, Iraddidio, Rompitutto, Scacciadiavoli e Sputafuoco.

Pianta del castello e le sue fasi costruttive. Rete Civica del Comune di Trieste

Il castello di San Giusto, di forma triangolare, ha tre bastioni: il già citato bastione Rotondo o Veneziano (1508); il bastione Lalio, detto anche di San Giusto (1553-1561) e il bastione Fiorito o Pomis (1630).

Pianta del castello e le sue fasi costruttive. Rete Civica del Comune di Trieste

Il Melone di San Giusto

Subito dopo l’ingresso si incontra la Cappella dedicata a San Giorgio, risalente al 1471. Un grande Crocifisso di legno con la figura del Cristo è posto dietro l’altare e sulla sinistra la statua lignea di San Giovanni Evangelista (arte friulana del XIV sec.). In chiave di volta ha incisa la data e le lettere A.E.I.O.U., un acronimo sovente utilizzato dai sovrani della Casa d’Asburgo per contrassegnare edifici e luoghi di culto, che si prestano a varie interpretazioni, quali: “Austriae Est Imperare Orbi Universo” (l’Austria è destinata a regnare su tutto il mondo); Austriae Est Imperatrix Omnis Universi (l’Austria è imperatrice di tutto il mondo); “Alles Erdreich Ist Öesterreich Untertan” (ogni territorio è sottomesso all’Austria); “Austriae Erit In Orbe Ultima” (l’Austria è destinata ad essere l’ultimo degli stati a perire). Oltre a queste, sono state avanzate diverse altre interpretazioni: Austriae Est Imperio Optime Unita (l’Austria è un impero ottimamente unito); Augustus Est Iustitiae Optimus Vindex (l’imperatore è il migliore esecutore della giustizia).

Nell’Ottocento divenne d’uso lo slogan anti-tedesco: Austria Erit Imperio Orbata Undique (da ogni parte l’Austria sarà privata del suo impero).

L’imperatore Federico III, noto per la sua inclinazione alle formulazioni legate al mito e che sembra essere stato il promotore dell’acronimo, non ne esplicitò mai il vero significato.

Al primo piano si entra nella Sala Caprin o Sala Veneta alle pareti cinque arazzi con scene di caccia e i busti in legno di due Dogi; al secondo piano: l’armeria con una ricca raccolta di armi dal XII al XIX sec. e l’appartamento del Capitano” che è la parte più antica (1470-71).

Dal cortiletto, superato l’arco del corpo di guardia, si entra nel Cortile delle Milizie.

Il Castello, dopo essere stato residenza dei capitani (podestà) imperiali sino alla fine del 1700, diventò poi caserma e nel 1930 passò in proprietà al Comune.

All’interno del Cortile delle Milizie, nella parte più bassa di quello che oggi è l’Orto Lapidario, c’era un tempo anche un giardino, chiamato Lustgarten (parco).

Il castello disponeva di prigioni e venivano eseguite sentenze capitali. 

Nel 1750 il conte Nicolò Hamilton (1715-1769), arrivato a Trieste l’anno precedente, stabilì la propria dimora a palazzo Marenzi e assunse la carica di supremo intendente commerciale. La carica di Capitano imperiale venne abolita definitivamente. All’interno del Castello, nella Casa del Capitano si può ammirare una ricca raccolta d’armi provenienti da collezioni private, confluite ai Civici Musei già dalla fine dell’Ottocento.

Il castello venne fatto restaurare dall’imperatore Massimiliano I (Wiener Neustadt, 1459 – Wels, 1519),  e successivamente nel 1583 ai tempi di Ferdinando I (Alcalá de Henares, 1503 – Vienna, 1564).

Nel 1518, il Consiglio dei Patrizi sollecitò la continuazione delle opere incompiute del castello e i lavori, approvati dal Podestà, vennero affidati all’architetto triestino Girolamo Decio.
Tra il 1553 e il 1561, ci furono nuovi ampliamenti ad opera degli architetti Francesco del Pozzo e Domenico de Lalio, da cui prenderà il nome un bastione. Nel 1615 l’architetto Pietro de Pomis (1569-1633) da Lodi iniziò la parte finale del castello, il Bastione Fiorito, terminato nel 1630.

La notte del 9 luglio 1690, a seguito di un fulmine, la santa Barbara del castello esplose provocando gravi danni al fortilizio, alla cattedrale e a molte case.

Nel cortile delle Milizie una lapide sul selciato indica il posto dove esisteva il deposito delle polveri.

Dal 29 luglio 1750, venne disposto che nel Castello rimassero soltanto dei cannonieri con l’incarico di sparare delle salve per salutare le navi che entravano in porto, o per particolari eventi. Dal 1830 divenne uso che nel caso di incendi in città, si sparassero convenzionalmente delle salve di cannone ad intervalli di due minuti. Il numero dei colpi determinava la zona della città colpita: uno al di là del Ponte Rosso; due se prima del Ponte Rosso e tre se era colpita la città vecchia.

Tra il 1933 e il 1935 nel castello vennero effettuati dei lavori di restauro, si costituì un Museo e la Civica Armeria, e l’apertura al pubblico vide un’affluenza di 300.000 persone. La serata del 7 agosto 1936 vide il primo spettacolo sinfonico, con Rosetta Pampanini e Giovanni Voyer.
Durante la seconda guerra mondiale, il castello, utilizzato anche come caserma, venne danneggiato da alcune bombe. Tra il 1967 e il 1969 vennero rifatti il palcoscenico e la platea del Cortile.

Il Castello è sede del Lapidario Tergestino, suggestivo museo di materiali lapidei romani, tutti rinvenuti nella città e già esposti fin dalla metà dell’Ottocento nel giardino dell’Orto Lapidario. La visita del Lapidario tergestino è compresa nel biglietto unico che consente l’ingresso al Castello e al Civico Museo del Castello di San Giusto-Armeria.

Il 1 ottobre 2016  è stato inaugurato l’AIM – Alinari Image Museum che trova sede al Bastione fiorito del Castello.
Un museo innovativo che si articola in tre principali sezioni: tradizionale, interattiva e tridimensionale.

(g.c.)

Bibliografia di riferimento:

Fabio Zubini, Cittavecchia. Trieste, 2006

Rete Civica del Comune di Trieste: Castello di San Giusto, La Storia. 

 

Trieste: Piazza della Libertà 7. Palazzo Economo.

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Trieste: Piazza della Libertà 7. Palazzo Economo.
Foto Paolo Carbonaio
Trieste: Piazza della Libertà 7. Palazzo Economo.
L’edificio venne costruito tra il 1885 ed il 1887 su progetto dell’architetto Giovanni Scalmanini. Del palazzo si conservano tre progetti originali. L’edificio sorse sul luogo in cui si trovava un deposito di legname. Il committente viene riconosciuto dalla maggior parte della critica in Giovanni Economo (1834-1921), esponente della nobile famigliatriestina. Il progetto originario prevedeva la sistemazione dei magazzini al piano terra, mentre gli uffici al primo piano. Tra il 1908 ed il 1910 si decise la trasformazione degli uffici in abitazioni. Nel 1973 la struttura venne acquistata dalla Soprintendenza.
Il palazzo ospita la Galleria Nazionale d’Arte Antica, fondata nel 1957 a partire dal nucleo della Collezione Mentasti. La raccolta presenta dipinti di scuola veneta, emiliana, fiorentina, romana e napoletana collocabili tra il Quattrocento e l’Ottocento. Notevole inoltre risulta il corpus grafico del Canaletto. Nel 1983 vennero eseguiti dei lavori di ristrutturazione e la ricostruzione del muro di contenimento sul lato di Via Pauliana. Attualmente l’edificio è sede della Soprintendenza Archeologica e per i Beni Ambientali Architettonici Artistici e Storici del Friuli Venezia Giulia. (da: biblioteche.comune.trieste.it)

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L’edificio venne costruito tra il 1885 ed il 1887 su progetto dell’architetto Giovanni Scalmanini. Del palazzo si conservano tre progetti originali. L’edificio sorse sul luogo in cui si trovava un deposito di legname. Il committente viene riconosciuto dalla maggior parte della critica in Giovanni Economo (1834-1921), esponente della nobile famigliatriestina. Il progetto originario prevedeva la sistemazione dei magazzini al piano terra, mentre gli uffici al primo piano. Tra il 1908 ed il 1910 si decise la trasformazione degli uffici in abitazioni. Nel 1973 la struttura venne acquistata dalla Soprintendenza.
Il palazzo ospita la Galleria Nazionale d’Arte Antica, fondata nel 1957 a partire dal nucleo della Collezione Mentasti. La raccolta presenta dipinti di scuola veneta, emiliana, fiorentina, romana e napoletana collocabili tra il Quattrocento e l’Ottocento. Notevole inoltre risulta il corpus grafico del Canaletto. Nel 1983 vennero eseguiti dei lavori di ristrutturazione e la ricostruzione del muro di contenimento sul lato di Via Pauliana. Attualmente l’edificio è sede della Soprintendenza Archeologica e per i Beni Ambientali Architettonici Artistici e Storici del Friuli Venezia Giulia. (da: biblioteche.comune.trieste.it)

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Trieste: Piazza della Libertà 7. Palazzo Economo.
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Trieste: Piazza della Libertà 7. Palazzo Economo.
L’edificio venne costruito tra il 1885 ed il 1887 su progetto dell’architetto Giovanni Scalmanini. Del palazzo si conservano tre progetti originali. L’edificio sorse sul luogo in cui si trovava un deposito di legname. Il committente viene riconosciuto dalla maggior parte della critica in Giovanni Economo (1834-1921), esponente della nobile famigliatriestina. Il progetto originario prevedeva la sistemazione dei magazzini al piano terra, mentre gli uffici al primo piano. Tra il 1908 ed il 1910 si decise la trasformazione degli uffici in abitazioni. Nel 1973 la struttura venne acquistata dalla Soprintendenza.
Il palazzo ospita la Galleria Nazionale d’Arte Antica, fondata nel 1957 a partire dal nucleo della Collezione Mentasti. La raccolta presenta dipinti di scuola veneta, emiliana, fiorentina, romana e napoletana collocabili tra il Quattrocento e l’Ottocento. Notevole inoltre risulta il corpus grafico del Canaletto. Nel 1983 vennero eseguiti dei lavori di ristrutturazione e la ricostruzione del muro di contenimento sul lato di Via Pauliana. Attualmente l’edificio è sede della Soprintendenza Archeologica e per i Beni Ambientali Architettonici Artistici e Storici del Friuli Venezia Giulia. (da: biblioteche.comune.trieste.it)

Trieste: Piazza Venezia 5. Palazzo Revoltella.

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Trieste: Piazza Venezia 5. Palazzo Revoltella.
Foto Paolo Carbonaio
Trieste: Piazza Venezia 5. Palazzo Revoltella.
Sede del Civico Museo Revoltella (posto tra Via Armando Diaz 27, Via Luigi Cadorna 26 e Piazza Venezia 5), L’edificio venne costruito tra il 1852 ed il 1858 su progetto dell’architetto berlinese Federico Hitzig (allievo di Schinkel, autore anche del progetto del casino Ferdinandeo sul colle di Farneto), per volere del nobile Pasquale Revoltella. Il 23 febbraio 1859 venne inaugurato il palazzo con una festa da ballo alla presenza dell’Arciduca Massimiliano. La struttura, a tre piani fuori terra, presenta un pianterreno con rivestimento a bugnato che sostiene una cornice marcapiano aggettante, riproposta anche al livello superiore.
Una fascia decorativa con motivi a ghirlande spicca nella parte alta della superficie. A coronamento dell’edificio si trova una balaustra. Il lato breve, su Piazza Venezia, è caratterizzato al pianterreno da un portale d’ingresso ad arco sopra al quale sporge un balconcino con balaustra. L’elemento di maggior risalto è la loggia aggettante del terzo piano, che presenta tre aperture ad arco sulla cui sommità spiccano quattro statue. Per disposizione testamentaria del barone Revoltella, dal 1870 il palazzo ospita il Civico Museo Revoltella. Grazie al lascito del suo fondatore in pochi decenni le collezioni del museo sono state arricchite sia attraverso l’acquisto di opere d’arte, spesso provenienti dalle prime Esposizioni Internazionali, sia attraverso donazioni da parte di privati. Nel 1963 iniziarono i lavori di ristrutturazione, estesi anche al vicino Palazzo Brunner, su progetto di Carlo Scarpa, basato su una nuova distribuzione degli spazi interni con la creazione di grandi sale e una terrazza sul tetto. I lavori previsti terminarono solamente nel 1991 grazie agli interventi degli architetti Franco Vattolo e Giampaolo Batoli. Un anno dopo il museo venne riaperto al pubblico. Attualmente la collezione esposta, estesa su 4000 mq, è costituita da 350 opere di pittura e scultura, dagli autori italiani del secondo Ottocento, come Fattori e Morelli, agli artisti friulani del primo Novecento, tra i quali si possono citare Spacal, Zigaina e Mascherini. Nell’atrio principale, ai piedi dello scalone che porta ai piani superiori, si può ammirare la Fontana della Ninfa delle Sorgenti di Aurisina, opera dello scultore milanese Pietro Magni. Alcune sale del palazzo conservano ancora gli arredi originali della dimora del barone Pasquale Revoltella. La struttura offre anche diversi servizi, una consistente biblioteca e una sala studio. (da: biblioteche.comune.trieste.it)
Le quattro statue sulla facciata del Museo Revoltella verso Piazza Venezia sono opera del veneto Angelo Cameroni, autore anche di una Madonna per la facciata del Castello di Miramare; le quattordici cariatidi che sostenevano il tetto del Teatro Armonia; oltre a numerosi monumenti funerari del cimitero.
– Pasquale Revoltella (Venezia, 1795 – Trieste, 8 settembre 1869) è stato un imprenditore ed economista italiano. Nato da una famiglia di commercianti di carni che nel 1797 si trasferì a Trieste dopo la caduta della Repubblica, nel 1835 fondò una ditta per le importazione di legnami e granaglie che si affermò rapidamente, raggiungendo in breve tempo una certa disponibilità finanziaria che gli consentì di acquisire diverse partecipazione in molte società triestine. Fu uno dei primi azionisti delle Assicurazioni Generali e consigliere d’amministrazione del Lloyd Austriaco e fu amico del barone Carlo Ludovico von Bruck, uno dei fondatori e presidente della società di navigazione e futuro ministro del Commercio e delle Finanze austriache. Partecipò con impegno all’apertura del canale di Suez, ritenuto determinante per lo sviluppo economico di Trieste, strettamente legato ai traffici marittimi. Per il suo contributo determinante venne nominato vicepresidente della Compagnia universale del Canale di Suez. Nel 1860 fu incriminato e imprigionato dalle autorità austriache in seguito alle accuse di illeciti riguardanti le forniture date all’esercito durante la guerra con l’Italia nel 1859. Fu scagionato dopo poco tempo, ma perse uno dei suoi massimi sostenitori, il ministro Carlo Ludovico von Bruck, implicato nella vicenda, che si uccise. Nel 1867 l’imperatore Francesco Giuseppe gli conferì il titolo di barone riabilitandolo completamente.

Trieste: Piazza Venezia 5. Palazzo Revoltella.

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Trieste: Piazza Venezia 5. Palazzo Revoltella.
Foto Paolo Carbonaio
Trieste: Piazza Venezia 5. Palazzo Revoltella.
Sede del Civico Museo Revoltella (posto tra Via Armando Diaz 27, Via Luigi Cadorna 26 e Piazza Venezia 5), L’edificio venne costruito tra il 1852 ed il 1858 su progetto dell’architetto berlinese Federico Hitzig (allievo di Schinkel, autore anche del progetto del casino Ferdinandeo sul colle di Farneto), per volere del nobile Pasquale Revoltella. Il 23 febbraio 1859 venne inaugurato il palazzo con una festa da ballo alla presenza dell’Arciduca Massimiliano. La struttura, a tre piani fuori terra, presenta un pianterreno con rivestimento a bugnato che sostiene una cornice marcapiano aggettante, riproposta anche al livello superiore.
Una fascia decorativa con motivi a ghirlande spicca nella parte alta della superficie. A coronamento dell’edificio si trova una balaustra. Il lato breve, su Piazza Venezia, è caratterizzato al pianterreno da un portale d’ingresso ad arco sopra al quale sporge un balconcino con balaustra. L’elemento di maggior risalto è la loggia aggettante del terzo piano, che presenta tre aperture ad arco sulla cui sommità spiccano quattro statue. Per disposizione testamentaria del barone Revoltella, dal 1870 il palazzo ospita il Civico Museo Revoltella. Grazie al lascito del suo fondatore in pochi decenni le collezioni del museo sono state arricchite sia attraverso l’acquisto di opere d’arte, spesso provenienti dalle prime Esposizioni Internazionali, sia attraverso donazioni da parte di privati. Nel 1963 iniziarono i lavori di ristrutturazione, estesi anche al vicino Palazzo Brunner, su progetto di Carlo Scarpa, basato su una nuova distribuzione degli spazi interni con la creazione di grandi sale e una terrazza sul tetto. I lavori previsti terminarono solamente nel 1991 grazie agli interventi degli architetti Franco Vattolo e Giampaolo Batoli. Un anno dopo il museo venne riaperto al pubblico. Attualmente la collezione esposta, estesa su 4000 mq, è costituita da 350 opere di pittura e scultura, dagli autori italiani del secondo Ottocento, come Fattori e Morelli, agli artisti friulani del primo Novecento, tra i quali si possono citare Spacal, Zigaina e Mascherini. Nell’atrio principale, ai piedi dello scalone che porta ai piani superiori, si può ammirare la Fontana della Ninfa delle Sorgenti di Aurisina, opera dello scultore milanese Pietro Magni. Alcune sale del palazzo conservano ancora gli arredi originali della dimora del barone Pasquale Revoltella. La struttura offre anche diversi servizi, una consistente biblioteca e una sala studio. (da: biblioteche.comune.trieste.it)
Le quattro statue sulla facciata del Museo Revoltella verso Piazza Venezia sono opera del veneto Angelo Cameroni, autore anche di una Madonna per la facciata del Castello di Miramare; le quattordici cariatidi che sostenevano il tetto del Teatro Armonia; oltre a numerosi monumenti funerari del cimitero.
– Pasquale Revoltella (Venezia, 1795 – Trieste, 8 settembre 1869) è stato un imprenditore ed economista italiano. Nato da una famiglia di commercianti di carni che nel 1797 si trasferì a Trieste dopo la caduta della Repubblica, nel 1835 fondò una ditta per le importazione di legnami e granaglie che si affermò rapidamente, raggiungendo in breve tempo una certa disponibilità finanziaria che gli consentì di acquisire diverse partecipazione in molte società triestine. Fu uno dei primi azionisti delle Assicurazioni Generali e consigliere d’amministrazione del Lloyd Austriaco e fu amico del barone Carlo Ludovico von Bruck, uno dei fondatori e presidente della società di navigazione e futuro ministro del Commercio e delle Finanze austriache. Partecipò con impegno all’apertura del canale di Suez, ritenuto determinante per lo sviluppo economico di Trieste, strettamente legato ai traffici marittimi. Per il suo contributo determinante venne nominato vicepresidente della Compagnia universale del Canale di Suez. Nel 1860 fu incriminato e imprigionato dalle autorità austriache in seguito alle accuse di illeciti riguardanti le forniture date all’esercito durante la guerra con l’Italia nel 1859. Fu scagionato dopo poco tempo, ma perse uno dei suoi massimi sostenitori, il ministro Carlo Ludovico von Bruck, implicato nella vicenda, che si uccise. Nel 1867 l’imperatore Francesco Giuseppe gli conferì il titolo di barone riabilitandolo completamente.

L’Antiquarium di via Donota

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Le immagini durante gli scavi, dai pannelli presenti

 

L’Antiquarium nasce in seguito alle scoperte degli anni 80-84  in coincidenza coi primi lavori di restauro in Cittavecchia, zona Donota: si scoprono resti di una domus/sepolcreto e di mura cittadine romane. Per cui è stato messo in evidenza quanto  trovato, alcune vetrinette di oggetti, a cui sono stati aggiunti altri relativi al successivo scavo sovrastante di via Barbacan. I pannelli esplicativi spiegano anche qualcosa relativamente al Teatro romano, le cui sculture sono però al Lapidario tergestino al castello.

Questi risultano essere i primi scavi sistematico condotti a Trieste dopo quelli degli anni Trenta, caratterizzati quelli da un obiettivo di esaltazione della romanità tergestina, questi con criteri più attuali.

La via Donota viene considerata come la strada che congiungeva Aquileia con la parte centrale dell’antica Tergeste, sul prolungamento del Cardo maximus, anche se il suo andamento risulta parallelo alla linea di costa e al teatro romano. Gli edifici risultano esterni alle mura urbiche, quindi.
Nel piccolo antiquarium sono  esposti resti romani, lucerne, ceramiche, vetri, ma a differenza di quelli esposti  al Civico Museo, che spesso provengono dal mercato antiquario e non ne è nota la provenienza, questi sono giunti direttamente dagli scavi locali per cui attestano la vita in loco.
Com’era la zona prima dell’inizio dei lavori, dai pannelli, nemmeno la torre Donota medievale era distinguibile.

Gli scavi riconoscono una domus – casa romana costruita in due epoche: una prima più di lusso nel I secolo a C ed una successiva nel I secolo d C; nel II secolo le due case risultano abbandonate come abitazione, forse in parte trasformate in fabbrica, e sul davanti si installa una zona cimiteriale (quelle erano sempre fuori dalle mura).

Della casa sono riconosciute due latrine (forica, successus); esse a volte erano collegate a sistemi idrici come qua che l’acqua non doveva mancare, anche se poi passò a pozzo nero. C’era una “seduta” e un bastone con spugna che serviva come noi usiamo lo scopino…

il sepolcreto che è la parte verso l’esterno, diviso da un corridoio dal resto dalla domus, è delimitato da pietre con copertura semisferica conteneva parecchie tombe, quelle di bambini erano in anfore.

All’esterno, una  macina, probabilmente per olio

Il successivo reperto è dato dalle mura urbiche romane, che in quel punto formano un angolo, risalendo verso il colle e verso l’arco di Riccardo che sempre più si sta qualificando come porta romana.

Pannelli presenti illustrano la storia delle mura, e del solco tracciato con l’aratro, il famoso buris/is che ci facevano studiare fra le eccezioni latine!

Nelle vetrine sono conservati oggetti ritrovati, si tratta  di oggetti di vita quotidiana o di decorazioni dell’interno come mosaici o pezzi di intonaco dipinto.

 

Oggetti domestici quali stoviglie, pentole da cucina. molte di quella caratteristica ceramica lucida rossiccia detta terra sigillata. Alcune col sigillo della fabbrica. Dal tipo di terra , dalla forma delle stoviglie e dal marchio gli esperti riconoscono la provenienza, dall’Africa, dalla Grecia…


Tante lucerne, le case romane non erano molto luminose

è interessante confrontare il frammento a sinistra sotto, con una Iside/Diana/Selene con una lucerna più integra del Museo Civico. sotto a destra

oggetti di uso quotidiano: vetri, aghi di osso o avorio, scatolette, uno strigile per le detersione del sudore degli atleti, un elemento di bronzo probabilmente di mobile

Oggetti provenienti dalle tombe: collanine, fibbie,  pendente a forma di mezzaluna, bicchiere di vetro, lama di coltello, monete

a parte, il Tesoretto di piazza Barbacan: un gruzzoletto di monete ritrovate assieme: paura di invasioni? proprietario accumulatore?

Da ultimo, un sigillo di piombo del doge Vitale II Michiel (1156 – 1172) Vitalia Michael Dei Gratia Venecie Dalmacieatque Chroatie dux

 

testo e foto di Elisabetta Marcovich


 

Bibliografia suggerita dalla Sovrintendenza ai monumenti:

D. Briquel, La leggenda di Romolo e il rituale della fondazione della città, dalla Mostra. Milano, 2000;

De Vecchi Resciniti, Vidulli Torlo: Tutto Città vecchia – Percorsi di storia cittadina. Trieste, 1992;

Filippi, le procedure i riti di fondazione. Modena, 1993;

Lettich, Trieste Romana Archeografo  triestino 1984;

Maselli-Scotti, Trieste uno scavo archeologico per la città. Trieste, 1989;

Maselli-Scotti, Tergeste.  Antichità altoadriatiche, 1990;

Maselli-Scotti, Trieste alla luce delle recenti indagini – Convegno. Trieste-Roma, 1987;

Maselli-Scotti, Edilizia abitativa a Tergeste, 2001.

 

 

 

Trieste: Via Torino 8. Palazzo Premuda-Senitzer.

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L'immagine può contenere: casa, cielo e spazio all'aperto
Trieste: Via Torino 8. Palazzo Premuda-Senitzer..
Foto Paolo Carbonaio
Trieste: Via Torino 8. Palazzo Premuda-Senitzer.
E’ un imponente edificio a 4 piani, sobrio nella sua semplice linearità, con un fregio di due rapaci sotto uno dei poggioli della stretta facciata prospettante l’attuale Piazza Attilio Hortis, che risale all’inizio del XIX secolo. Il fabbricato, opera di Giovanni Righetti e figlio, fu ultimato durante la seconda occupazione francese. Le due aquile napoleoniche sotto il poggiolo e la data 1805 confermano l’epoca della sua costruzione. Attualmente ospita il Museo della Civiltà Istriana, Fiumana e Dalmata. Il palazzo ospitò per un periodo il marchese Alberto Francesco de Morè, conte di Pontgibaud, meglio conosciuto con il nome di Giuseppe La Brosse (1754-1824). Scampato ai pericoli della rivoluzione francese e dopo l’arresto della famiglia reale, il nobiluomo francese giunse a Trieste nel 1799 divenendo ben presto un agente napoleonico, acquistando fama e notorietà nell’ambito del mondo economico cittadino. Nel 1874 l’edificio venne lasciato dalla vedova, morta nel 1905, al Comune come “Fondazione Stipendi Babette Walmann”. Nel 1910 la casa fu destinata ad ospitare gli Uffici Sanitari e i laboratori del Fisicato Civico poi Ufficio Comunale di Sanità e Igiene. L’intero caseggiato fu quindi adattato alle nuove esigenze. Al primo piano vennero ubicati alcuni uffici, tra i quali quelli del Protofisico e della Guardia Sanitaria nonché un laboratorio.
Al secondo piano la biblioteca, la cancelleria ed altri laboratori. Gli anni del secondo dopoguerra videro la trasformazione dei locali d’affari della facciata prospiciente l’antica Via Cavana, ora Via Torino, con l’introduzione, nel 1951, di un locale da adibirsi a salone per parrucchiere su progetto del geometra Luczak e la successiva destinazione a vendita di cicli e motocicli (1974). Il cortile interno presenta una fontana con testa di leone. La casa ospitò, per un certo periodo, due dei personaggi triestini più illustri: lo scrittore Pierantonio Quarantotti-Gambini (1910-1965) e il musicologo Carlo Schmidl (1859-1943), fondatore del Museo Teatrale. (da: biblioteche.comune.trieste.it)

Le statue del Teatro Romano: la Venere

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La testina della Venere, sul modello della Venere di Cnido  (foto di Elisabetta Marcovich)

Negli scavi del Teatro Romano si trovarono diverse statue, che dovevano far parte della Scena ormai scomparsa. Di una statua di Venere rimangono la testina ed un drappeggio che indica che doveva essere una figura che sta uscendo da un bagno. Le statue sono esposte al Lapidario Tergestino al Castello di san Giusto (E.M.)

Stazione di Campo Marzio

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Stazione di Campo Marzio (già Triest Staatsbahnhof, già Sant’Andrea)

Nel 1887, le Ferrovie di Stato austriache aprirono a Trieste una seconda stazione, la Trieste-Erpelle denominata Trieste Sant’Andrea, raccordata con un binario (linea delle Rive) alla stazione Centrale (Meridionale). La linea faceva servizio per Pola e Rovigno. Con l’apertura della ferrovia Transalpina nel 1906, la stazione di Sant’Andrea venne ricostruita, assumendo la denominazione di Trieste stazione dello Stato (Triest Staatsbahnhof). L’edificio, costruito tra il 1901 e il 1906, su progetto dell’architetto Robert Seelig, venne designato quale capolinea della linea Jesenice-Trieste, e rientrava nel complesso della Transalpina, che congiungeva Trieste, tramite diramazioni, anche con Vienna e Salisburgo.
Alla fine della prima guerra mondiale, in seguito alle ripartizioni territoriali conseguenti al Trattato di Saint Germain, la stazione entrò a far parte delle strutture gestite dalle Ferrovie dello Stato italiane (FS). Nel 1923 la stazione di Trieste Sant’Andrea fu rinominata “Trieste Campo Marzio”.
Nel 1935 la stazione perse il traffico per Parenzo, in seguito alla soppressione della ferrovia, mentre rimase attivo il collegamento verso Erpelle-Cosina e Pola, e un limitato servizio sulla Transalpina, per Gorizia Montesanto. Alla fine seconda guerra mondiale venne soppresso il servizio viaggiatori sulla Transalpina, con l’unica eccezione per Erpelle-Cosina, fino a Sant’Elia. Nel 1958, a causa del scarso utilizzo, il servizio venne sostituito da autocorriere. Fino al 1960 rimase attiva la biglietteria e la sala di attesa. Il 28 agosto 1961, venne decretata la soppressione definitiva del servizio ferroviario e nel 1966 la linea venne smantellata. La stazione continuò ad essere utilizzata per il traffico merci, tramite il collegamento della linea di cintura con la Stazione Centrale.
Dopo un lungo abbandono un gruppo di volontari richiese l’uso di una parte del fabbricato e in seguito costituì il Museo ferroviario di Trieste Campo Marzio, la cui apertura al pubblico risale all’8 marzo 1984.

Stazione di Campo Marzio

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Stazione di Campo Marzio (già Triest Staatsbahnhof, già Sant’Andrea)

Nel 1887, le Ferrovie di Stato austriache aprirono a Trieste una seconda stazione, la Trieste-Erpelle denominata Trieste Sant’Andrea, raccordata con un binario (linea delle Rive) alla stazione Centrale (Meridionale). La linea faceva servizio per Pola e Rovigno. Con l’apertura della ferrovia Transalpina nel 1906, la stazione di Sant’Andrea venne ricostruita, assumendo la denominazione di Trieste stazione dello Stato (Triest Staatsbahnhof). L’edificio, costruito tra il 1901 e il 1906, su progetto dell’architetto Robert Seelig, venne designato quale capolinea della linea Jesenice-Trieste, e rientrava nel complesso della Transalpina, che congiungeva Trieste, tramite diramazioni, anche con Vienna e Salisburgo.
Alla fine della prima guerra mondiale, in seguito alle ripartizioni territoriali conseguenti al Trattato di Saint Germain, la stazione entrò a far parte delle strutture gestite dalle Ferrovie dello Stato italiane (FS). Nel 1923 la stazione di Trieste Sant’Andrea fu rinominata “Trieste Campo Marzio”.
Nel 1935 la stazione perse il traffico per Parenzo, in seguito alla soppressione della ferrovia, mentre rimase attivo il collegamento verso Erpelle-Cosina e Pola, e un limitato servizio sulla Transalpina, per Gorizia Montesanto. Alla fine seconda guerra mondiale venne soppresso il servizio viaggiatori sulla Transalpina, con l’unica eccezione per Erpelle-Cosina, fino a Sant’Elia. Nel 1958, a causa del scarso utilizzo, il servizio venne sostituito da autocorriere. Fino al 1960 rimase attiva la biglietteria e la sala di attesa. Il 28 agosto 1961, venne decretata la soppressione definitiva del servizio ferroviario e nel 1966 la linea venne smantellata. La stazione continuò ad essere utilizzata per il traffico merci, tramite il collegamento della linea di cintura con la Stazione Centrale.
Dopo un lungo abbandono un gruppo di volontari richiese l’uso di una parte del fabbricato e in seguito costituì il Museo ferroviario di Trieste Campo Marzio, la cui apertura al pubblico risale all’8 marzo 1984.

Stazione di Campo Marzio

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Stazione di Campo Marzio (già Triest Staatsbahnhof, già Sant’Andrea)

Nel 1887, le Ferrovie di Stato austriache aprirono a Trieste una seconda stazione, la Trieste-Erpelle denominata Trieste Sant’Andrea, raccordata con un binario (linea delle Rive) alla stazione Centrale (Meridionale). La linea faceva servizio per Pola e Rovigno. Con l’apertura della ferrovia Transalpina nel 1906, la stazione di Sant’Andrea venne ricostruita, assumendo la denominazione di Trieste stazione dello Stato (Triest Staatsbahnhof). L’edificio, costruito tra il 1901 e il 1906, su progetto dell’architetto Robert Seelig, venne designato quale capolinea della linea Jesenice-Trieste, e rientrava nel complesso della Transalpina, che congiungeva Trieste, tramite diramazioni, anche con Vienna e Salisburgo.
Alla fine della prima guerra mondiale, in seguito alle ripartizioni territoriali conseguenti al Trattato di Saint Germain, la stazione entrò a far parte delle strutture gestite dalle Ferrovie dello Stato italiane (FS). Nel 1923 la stazione di Trieste Sant’Andrea fu rinominata “Trieste Campo Marzio”.
Nel 1935 la stazione perse il traffico per Parenzo, in seguito alla soppressione della ferrovia, mentre rimase attivo il collegamento verso Erpelle-Cosina e Pola, e un limitato servizio sulla Transalpina, per Gorizia Montesanto. Alla fine seconda guerra mondiale venne soppresso il servizio viaggiatori sulla Transalpina, con l’unica eccezione per Erpelle-Cosina, fino a Sant’Elia. Nel 1958, a causa del scarso utilizzo, il servizio venne sostituito da autocorriere. Fino al 1960 rimase attiva la biglietteria e la sala di attesa. Il 28 agosto 1961, venne decretata la soppressione definitiva del servizio ferroviario e nel 1966 la linea venne smantellata. La stazione continuò ad essere utilizzata per il traffico merci, tramite il collegamento della linea di cintura con la Stazione Centrale.
Dopo un lungo abbandono un gruppo di volontari richiese l’uso di una parte del fabbricato e in seguito costituì il Museo ferroviario di Trieste Campo Marzio, la cui apertura al pubblico risale all’8 marzo 1984.

Stazione di Campo Marzio

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Stazione di Campo Marzio (già Triest Staatsbahnhof, già Sant’Andrea)

Nel 1887, le Ferrovie di Stato austriache aprirono a Trieste una seconda stazione, la Trieste-Erpelle denominata Trieste Sant’Andrea, raccordata con un binario (linea delle Rive) alla stazione Centrale (Meridionale). La linea faceva servizio per Pola e Rovigno. Con l’apertura della ferrovia Transalpina nel 1906, la stazione di Sant’Andrea venne ricostruita, assumendo la denominazione di Trieste stazione dello Stato (Triest Staatsbahnhof). L’edificio, costruito tra il 1901 e il 1906, su progetto dell’architetto Robert Seelig, venne designato quale capolinea della linea Jesenice-Trieste, e rientrava nel complesso della Transalpina, che congiungeva Trieste, tramite diramazioni, anche con Vienna e Salisburgo.
Alla fine della prima guerra mondiale, in seguito alle ripartizioni territoriali conseguenti al Trattato di Saint Germain, la stazione entrò a far parte delle strutture gestite dalle Ferrovie dello Stato italiane (FS). Nel 1923 la stazione di Trieste Sant’Andrea fu rinominata “Trieste Campo Marzio”.
Nel 1935 la stazione perse il traffico per Parenzo, in seguito alla soppressione della ferrovia, mentre rimase attivo il collegamento verso Erpelle-Cosina e Pola, e un limitato servizio sulla Transalpina, per Gorizia Montesanto. Alla fine seconda guerra mondiale venne soppresso il servizio viaggiatori sulla Transalpina, con l’unica eccezione per Erpelle-Cosina, fino a Sant’Elia. Nel 1958, a causa del scarso utilizzo, il servizio venne sostituito da autocorriere. Fino al 1960 rimase attiva la biglietteria e la sala di attesa. Il 28 agosto 1961, venne decretata la soppressione definitiva del servizio ferroviario e nel 1966 la linea venne smantellata. La stazione continuò ad essere utilizzata per il traffico merci, tramite il collegamento della linea di cintura con la Stazione Centrale.
Dopo un lungo abbandono un gruppo di volontari richiese l’uso di una parte del fabbricato e in seguito costituì il Museo ferroviario di Trieste Campo Marzio, la cui apertura al pubblico risale all’8 marzo 1984.

Stazione di Campo Marzio (già Sant’Andrea)

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Stazione di Campo Marzio (già Triest Staatsbahnhof, già Sant’Andrea)

Nel 1887, le Ferrovie di Stato austriache aprirono a Trieste una seconda stazione, la Trieste-Erpelle denominata Trieste Sant’Andrea, raccordata con un binario (linea delle Rive) alla stazione Centrale (Meridionale). La linea faceva servizio per Pola e Rovigno. Con l’apertura della ferrovia Transalpina nel 1906, la stazione di Sant’Andrea venne ricostruita, assumendo la denominazione di Trieste stazione dello Stato (Triest Staatsbahnhof). L’edificio, costruito tra il 1901 e il 1906, su progetto dell’architetto Robert Seelig, venne designato quale capolinea della linea Jesenice-Trieste, e rientrava nel complesso della Transalpina, che congiungeva Trieste, tramite diramazioni, anche con Vienna e Salisburgo.
Alla fine della prima guerra mondiale, in seguito alle ripartizioni territoriali conseguenti al Trattato di Saint Germain, la stazione entrò a far parte delle strutture gestite dalle Ferrovie dello Stato italiane (FS). Nel 1923 la stazione di Trieste Sant’Andrea fu rinominata “Trieste Campo Marzio”.
Nel 1935 la stazione perse il traffico per Parenzo, in seguito alla soppressione della ferrovia, mentre rimase attivo il collegamento verso Erpelle-Cosina e Pola, e un limitato servizio sulla Transalpina, per Gorizia Montesanto. Alla fine seconda guerra mondiale venne soppresso il servizio viaggiatori sulla Transalpina, con l’unica eccezione per Erpelle-Cosina, fino a Sant’Elia. Nel 1958, a causa del scarso utilizzo, il servizio venne sostituito da autocorriere. Fino al 1960 rimase attiva la biglietteria e la sala di attesa. Il 28 agosto 1961, venne decretata la soppressione definitiva del servizio ferroviario e nel 1966 la linea venne smantellata. La stazione continuò ad essere utilizzata per il traffico merci, tramite il collegamento della linea di cintura con la Stazione Centrale.
Dopo un lungo abbandono un gruppo di volontari richiese l’uso di una parte del fabbricato e in seguito costituì il Museo ferroviario di Trieste Campo Marzio, la cui apertura al pubblico risale all’8 marzo 1984.

Stazione di Campo Marzio (Sant’Andrea)

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Stazione di Campo Marzio (già Triest Staatsbahnhof, già Sant’Andrea)

Nel 1887, le Ferrovie di Stato austriache aprirono a Trieste una seconda stazione, la Trieste-Erpelle denominata Trieste Sant’Andrea, raccordata con un binario (linea delle Rive) alla stazione Centrale (Meridionale). La linea faceva servizio per Pola e Rovigno. Con l’apertura della ferrovia Transalpina nel 1906, la stazione di Sant’Andrea venne ricostruita, assumendo la denominazione di Trieste stazione dello Stato (Triest Staatsbahnhof). L’edificio, costruito tra il 1901 e il 1906, su progetto dell’architetto Robert Seelig, venne designato quale capolinea della linea Jesenice-Trieste, e rientrava nel complesso della Transalpina, che congiungeva Trieste, tramite diramazioni, anche con Vienna e Salisburgo.
Alla fine della prima guerra mondiale, in seguito alle ripartizioni territoriali conseguenti al Trattato di Saint Germain, la stazione entrò a far parte delle strutture gestite dalle Ferrovie dello Stato italiane (FS). Nel 1923 la stazione di Trieste Sant’Andrea fu rinominata “Trieste Campo Marzio”.
Nel 1935 la stazione perse il traffico per Parenzo, in seguito alla soppressione della ferrovia, mentre rimase attivo il collegamento verso Erpelle-Cosina e Pola, e un limitato servizio sulla Transalpina, per Gorizia Montesanto. Alla fine seconda guerra mondiale venne soppresso il servizio viaggiatori sulla Transalpina, con l’unica eccezione per Erpelle-Cosina, fino a Sant’Elia. Nel 1958, a causa del scarso utilizzo, il servizio venne sostituito da autocorriere. Fino al 1960 rimase attiva la biglietteria e la sala di attesa. Il 28 agosto 1961, venne decretata la soppressione definitiva del servizio ferroviario e nel 1966 la linea venne smantellata. La stazione continuò ad essere utilizzata per il traffico merci, tramite il collegamento della linea di cintura con la Stazione Centrale.
Dopo un lungo abbandono un gruppo di volontari richiese l’uso di una parte del fabbricato e in seguito costituì il Museo ferroviario di Trieste Campo Marzio, la cui apertura al pubblico risale all’8 marzo 1984.

Stazione di Campo Marzio (Sant’Andrea)

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Stazione di Campo Marzio (Sant’Andrea)

Stazione di Campo Marzio (già Triest Staatsbahnhof, già Sant’Andrea)

Nel 1887, le Ferrovie di Stato austriache aprirono a Trieste una seconda stazione, la Trieste-Erpelle denominata Trieste Sant’Andrea, raccordata con un binario (linea delle Rive) alla stazione Centrale (Meridionale). La linea faceva servizio per Pola e Rovigno. Con l’apertura della ferrovia Transalpina nel 1906, la stazione di Sant’Andrea venne ricostruita, assumendo la denominazione di Trieste stazione dello Stato (Triest Staatsbahnhof). L’edificio, costruito tra il 1901 e il 1906, su progetto dell’architetto Robert Seelig, venne designato quale capolinea della linea Jesenice-Trieste, e rientrava nel complesso della Transalpina, che congiungeva Trieste, tramite diramazioni, anche con Vienna e Salisburgo.
Alla fine della prima guerra mondiale, in seguito alle ripartizioni territoriali conseguenti al Trattato di Saint Germain, la stazione entrò a far parte delle strutture gestite dalle Ferrovie dello Stato italiane (FS). Nel 1923 la stazione di Trieste Sant’Andrea fu rinominata “Trieste Campo Marzio”.
Nel 1935 la stazione perse il traffico per Parenzo, in seguito alla soppressione della ferrovia, mentre rimase attivo il collegamento verso Erpelle-Cosina e Pola, e un limitato servizio sulla Transalpina, per Gorizia Montesanto. Alla fine seconda guerra mondiale venne soppresso il servizio viaggiatori sulla Transalpina, con l’unica eccezione per Erpelle-Cosina, fino a Sant’Elia. Nel 1958, a causa del scarso utilizzo, il servizio venne sostituito da autocorriere. Fino al 1960 rimase attiva la biglietteria e la sala di attesa. Il 28 agosto 1961, venne decretata la soppressione definitiva del servizio ferroviario e nel 1966 la linea venne smantellata. La stazione continuò ad essere utilizzata per il traffico merci, tramite il collegamento della linea di cintura con la Stazione Centrale.
Dopo un lungo abbandono un gruppo di volontari richiese l’uso di una parte del fabbricato e in seguito costituì il Museo ferroviario di Trieste Campo Marzio, la cui apertura al pubblico risale all’8 marzo 1984.

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Stazione di Campo Marzio (già Triest Staatsbahnhof, già Sant’Andrea)

Stazione di Campo Marzio (già Triest Staatsbahnhof, già Sant’Andrea)

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Alla fine della prima guerra mondiale, in seguito alle ripartizioni territoriali conseguenti al Trattato di Saint Germain, la stazione entrò a far parte delle strutture gestite dalle Ferrovie dello Stato italiane (FS). Nel 1923 la stazione di Trieste Sant’Andrea fu rinominata “Trieste Campo Marzio”.
Nel 1935 la stazione perse il traffico per Parenzo, in seguito alla soppressione della ferrovia, mentre rimase attivo il collegamento verso Erpelle-Cosina e Pola, e un limitato servizio sulla Transalpina, per Gorizia Montesanto. Alla fine seconda guerra mondiale venne soppresso il servizio viaggiatori sulla Transalpina, con l’unica eccezione per Erpelle-Cosina, fino a Sant’Elia. Nel 1958, a causa del scarso utilizzo, il servizio venne sostituito da autocorriere. Fino al 1960 rimase attiva la biglietteria e la sala di attesa. Il 28 agosto 1961, venne decretata la soppressione definitiva del servizio ferroviario e nel 1966 la linea venne smantellata. La stazione continuò ad essere utilizzata per il traffico merci, tramite il collegamento della linea di cintura con la Stazione Centrale.
Dopo un lungo abbandono un gruppo di volontari richiese l’uso di una parte del fabbricato e in seguito costituì il Museo ferroviario di Trieste Campo Marzio, la cui apertura al pubblico risale all’8 marzo 1984.

Stazione di Campo Marzio (già Triest Staatsbahnhof, già Sant’Andrea)

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Stazione di Campo Marzio (già Triest Staatsbahnhof, già Sant’Andrea)

Stazione di Campo Marzio (già Triest Staatsbahnhof, già Sant’Andrea)

Nel 1887, le Ferrovie di Stato austriache aprirono a Trieste una seconda stazione, la Trieste-Erpelle denominata Trieste Sant’Andrea, raccordata con un binario (linea delle Rive) alla stazione Centrale (Meridionale). La linea faceva servizio per Pola e Rovigno. Con l’apertura della ferrovia Transalpina nel 1906, la stazione di Sant’Andrea venne ricostruita, assumendo la denominazione di Trieste stazione dello Stato (Triest Staatsbahnhof). L’edificio, costruito tra il 1901 e il 1906, su progetto dell’architetto Robert Seelig, venne designato quale capolinea della linea Jesenice-Trieste, e rientrava nel complesso della Transalpina, che congiungeva Trieste, tramite diramazioni, anche con Vienna e Salisburgo.
Alla fine della prima guerra mondiale, in seguito alle ripartizioni territoriali conseguenti al Trattato di Saint Germain, la stazione entrò a far parte delle strutture gestite dalle Ferrovie dello Stato italiane (FS). Nel 1923 la stazione di Trieste Sant’Andrea fu rinominata “Trieste Campo Marzio”.
Nel 1935 la stazione perse il traffico per Parenzo, in seguito alla soppressione della ferrovia, mentre rimase attivo il collegamento verso Erpelle-Cosina e Pola, e un limitato servizio sulla Transalpina, per Gorizia Montesanto. Alla fine seconda guerra mondiale venne soppresso il servizio viaggiatori sulla Transalpina, con l’unica eccezione per Erpelle-Cosina, fino a Sant’Elia. Nel 1958, a causa del scarso utilizzo, il servizio venne sostituito da autocorriere. Fino al 1960 rimase attiva la biglietteria e la sala di attesa. Il 28 agosto 1961, venne decretata la soppressione definitiva del servizio ferroviario e nel 1966 la linea venne smantellata. La stazione continuò ad essere utilizzata per il traffico merci, tramite il collegamento della linea di cintura con la Stazione Centrale.
Dopo un lungo abbandono un gruppo di volontari richiese l’uso di una parte del fabbricato e in seguito costituì il Museo ferroviario di Trieste Campo Marzio, la cui apertura al pubblico risale all’8 marzo 1984.

Stazione di Campo Marzio

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Stazione di Campo Marzio

Stazione di Campo Marzio (già Triest Staatsbahnhof, già Sant’Andrea)

Nel 1887, le Ferrovie di Stato austriache aprirono a Trieste una seconda stazione, la Trieste-Erpelle denominata Trieste Sant’Andrea, raccordata con un binario (linea delle Rive) alla stazione Centrale (Meridionale). La linea faceva servizio per Pola e Rovigno. Con l’apertura della ferrovia Transalpina nel 1906, la stazione di Sant’Andrea venne ricostruita, assumendo la denominazione di Trieste stazione dello Stato (Triest Staatsbahnhof). L’edificio, costruito tra il 1901 e il 1906, su progetto dell’architetto Robert Seelig, venne designato quale capolinea della linea Jesenice-Trieste, e rientrava nel complesso della Transalpina, che congiungeva Trieste, tramite diramazioni, anche con Vienna e Salisburgo.
Alla fine della prima guerra mondiale, in seguito alle ripartizioni territoriali conseguenti al Trattato di Saint Germain, la stazione entrò a far parte delle strutture gestite dalle Ferrovie dello Stato italiane (FS). Nel 1923 la stazione di Trieste Sant’Andrea fu rinominata “Trieste Campo Marzio”.
Nel 1935 la stazione perse il traffico per Parenzo, in seguito alla soppressione della ferrovia, mentre rimase attivo il collegamento verso Erpelle-Cosina e Pola, e un limitato servizio sulla Transalpina, per Gorizia Montesanto. Alla fine seconda guerra mondiale venne soppresso il servizio viaggiatori sulla Transalpina, con l’unica eccezione per Erpelle-Cosina, fino a Sant’Elia. Nel 1958, a causa del scarso utilizzo, il servizio venne sostituito da autocorriere. Fino al 1960 rimase attiva la biglietteria e la sala di attesa. Il 28 agosto 1961, venne decretata la soppressione definitiva del servizio ferroviario e nel 1966 la linea venne smantellata. La stazione continuò ad essere utilizzata per il traffico merci, tramite il collegamento della linea di cintura con la Stazione Centrale.
Dopo un lungo abbandono un gruppo di volontari richiese l’uso di una parte del fabbricato e in seguito costituì il Museo ferroviario di Trieste Campo Marzio, la cui apertura al pubblico risale all’8 marzo 1984.

Stazione ferroviaria di Campo Marzio

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Stazione ferroviaria di Campo Marzio

Stazione di Campo Marzio (già Triest Staatsbahnhof, già Sant’Andrea)

Nel 1887, le Ferrovie di Stato austriache aprirono a Trieste una seconda stazione, la Trieste-Erpelle denominata Trieste Sant’Andrea, raccordata con un binario (linea delle Rive) alla stazione Centrale (Meridionale). La linea faceva servizio per Pola e Rovigno. Con l’apertura della ferrovia Transalpina nel 1906, la stazione di Sant’Andrea venne ricostruita, assumendo la denominazione di Trieste stazione dello Stato (Triest Staatsbahnhof). L’edificio, costruito tra il 1901 e il 1906, su progetto dell’architetto Robert Seelig, venne designato quale capolinea della linea Jesenice-Trieste, e rientrava nel complesso della Transalpina, che congiungeva Trieste, tramite diramazioni, anche con Vienna e Salisburgo.
Alla fine della prima guerra mondiale, in seguito alle ripartizioni territoriali conseguenti al Trattato di Saint Germain, la stazione entrò a far parte delle strutture gestite dalle Ferrovie dello Stato italiane (FS). Nel 1923 la stazione di Trieste Sant’Andrea fu rinominata “Trieste Campo Marzio”.
Nel 1935 la stazione perse il traffico per Parenzo, in seguito alla soppressione della ferrovia, mentre rimase attivo il collegamento verso Erpelle-Cosina e Pola, e un limitato servizio sulla Transalpina, per Gorizia Montesanto. Alla fine seconda guerra mondiale venne soppresso il servizio viaggiatori sulla Transalpina, con l’unica eccezione per Erpelle-Cosina, fino a Sant’Elia. Nel 1958, a causa del scarso utilizzo, il servizio venne sostituito da autocorriere. Fino al 1960 rimase attiva la biglietteria e la sala di attesa. Il 28 agosto 1961, venne decretata la soppressione definitiva del servizio ferroviario e nel 1966 la linea venne smantellata. La stazione continuò ad essere utilizzata per il traffico merci, tramite il collegamento della linea di cintura con la Stazione Centrale.
Dopo un lungo abbandono un gruppo di volontari richiese l’uso di una parte del fabbricato e in seguito costituì il Museo ferroviario di Trieste Campo Marzio, la cui apertura al pubblico risale all’8 marzo 1984.