Nicola I del Montenegro ( e Trieste)

Nella Gipsoteca del Museo Sartorio, malauguratamente chiusa, è presenta un busto di re Nicola I ( e ultimo) del Montenegro, opera di Marco Carlucci, 1914. I principi del Montenegro si succedevano da zio a nipote in una serie di principi-vescovi ortodossi.

Nicola del Montenegro, busto di Marco Carlucci, 1914 dono Popovich 
Gipsoteca Museo Sartorio, foto EM

Il principe Danilo I ( che non era più vescovo) sposò una triestina serba, Darinka Kvekic, che alla sua morte ritornò a Trieste. Così la ricordano i musei civici “Darinka Kvekich principessa del Montenegro (Trieste 1836- Venezia 1892), si assicura un posto nella storia: nel 1855 sposa il principe del Montenegro Danilo I Petrovic-Njegos, che regna dal 1851 al 1860. E’ un matrimonio felice ma di breve durata: nell’agosto del 1860 il principe Danilo viene assassinato e Darinka fa salire al trono del Montenegro Nicola – padre di Elena, futura regina d’Italia – il nipote prediletto della coppia reale. Darinka era “di media statura e di bellezza non eccezionale, ma dallo sguardo vivace ed altero portamento”. Parlava correntemente, oltre all’italiano e al serbo, anche il tedesco e il francese. Passato un periodo di reggenza, in cui Darinka affianca il principe Nicola, attorno al 1865 la principessa si ritira a Venezia, dove muore.”

La regina Milena, moglie di re Nicola, dicono che fu realmente regina solo dopo la morte di Darinka.

La principessa Darinka, foto dei Civici Musei

la pietra tombale della principessa Darinka a Cettigne ( Cetinje) in Montenegro, assieme alla figlia Olga

pietra tombale foto EM

Il nipote Nicola visse alcuni anni a Trieste e frequentò le scuole fra Trieste e Capodistria. Poi studiò dapprima in un liceo prestigioso a parici e poi all’Accademia di Saint Cyr, Ritornato in patria per regnare alla morte dello zio, fu un favorito dello zar e le sue tante figlie studiarono a san Pietroburgo al prestigioso istituto Smolny, Due di loro sposarono granduchi russi e furono fra le sostenitrici di Rasputin, sopravvissero alla rivoluzione russa, altre sposarono il re d’Italia, il re di Serbia e il principe Battenberg (l’umico che non si tradusse in Mountbatten) . Divenuto re nel 1910, perse il trono alla pace di Versailles dove il suo regno venne assegnato al nuovo stato dei Serbi, Croati, Sloveni, poi Jugoslavia, nonostante le sue proteste, fu alla sua morte che la vedova regina Milena si rassegnò alla perdita del regno

Bibliografia: Genti di san Spiridione, Trieste 2009

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La ceramica triestina del Settecento

Nel 1773 Giacomo Balletti ottenne l’esclusiva per 10 anni per la produzione e vendita nel Litorale austriaco di ceramiche e maioliche, con una fabbrica in zona Lazzaretto vecchio. Le sue ceramiche non portano marchio di fabbrica. Dopo 3 anni la fabbrica venne rilevata da Pietro Lorenzi, esperto di ceramiche venete, che marchiò la propria produzione con le proprie iniziali. allo scadere dei 10 anni aprirono altre fabbriche di Sinibaldi, Santini e Filippuzzi. le ceramiche, ispirate anche alle contemporanee di Wedgwood, erano generalmente color crema più utilitarie che decorative, e vennero prodotte fino all’occupazione francese dei primi dell’ottocento. Poi nessuna riaprì. Molti oggetti sono conservati ed esposti nella galleria delle ceramiche del Museo Sartorio, visibili quando essa è aperta al pubblico (testo e foto EM)

Altre sono presenti nelle sale degli appartamenti del museo Sartorio( pezzi meno pregiati) e altre al museo Scaramangà, privato.

Frammenti di queste ceramiche sono comparse negli scavi recenti di Crosada, sono state esposte per breve tempo e poi son tornate nei depositi dei musei civici

Bibliografia Favetta, Bianca Maria LA CERAMICA TRIESTINA – I ediz., Giacometti 1966

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La chiesetta della Santissima Trinità a Crogole

Foto Elisabetta Marcovich

La piccola chiesa della SS Trinità a Crogole, sotto il Monte Carso, fa parte della parrocchia di san Dorligo/Dolina. E’ stata costruita nel XVII secolo, con un 1662 scolpito sui pinnacoli dell’ingresso e poi un 1682 sull’ingresso. La soglia è costituita da antica pietra tombale.la facciata venne completamente rifatta nel 1910.

foto Gabriella Amstici
EFoto Dario Neddi

L’interno presenta un presbiterio affrescato con immagini degli Evangelisti cavalcanti i rispettivi simboli e immagini di santi vescovi o diaconi .

L’altare di legno scolpito mostra , fra colonnette tortili, la Trinità che incorona la Vergine. In alto, angioletti festanti, il tutto di uno stile barocco popolare. E’ stata restaurata nel 2006.

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la lapide rinascimentale del Vescovo Frangipani

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San Giusto, la bellissima pietra tombale rinascimentale del vescovo Frangipani. Dopo la morte del vescovo Rapicio nel 1573, Giacinto Frangipani, friulano, venne nominato vescovo nel marzo 1574, su raccomandazione dell’Arciduca Carlo d’Asburgo, ma morì l’8 novembre prima dell’arrivo della bolla di conferma da Roma .
La sua lapide, prima all’interno della cattedrale, venne portata fuori nei rifacimenti ottocenteschi e rimane sempre fuori addossata al muro esterno a destra delle facciata, spostata un paio di volte negli ultimi anni.


Dopo la sua morte venne nominato il vescovo Nicolò Coret le cui lapidi sono una sulla facciata dell’antico vescovado ed una all’interno del lapidario tergestino nei sotterranei del Castello ( E.M.)


Il testo della lapide: Hyacintho Frangipani de Castello summi Caroli archi -ducis Austriae providentia ad episcopatum assuncto praeveniens mors rapere non potuit quae ipse tanti principis judicio, animi pietate, religionis cura, ac generis antiquitate fuerat consecutis die VIII novembr MDLXXIV.

Bibliografia: san Giusto, Trieste 1970; Annuario diocesano Diocesi di Trieste 2006

I preziosi Celadon del Museo orientale

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bacile celadon con decoro di foglie e onde stilizzate ( foto EM)

Una vetrina laterale della sala cinese del Museo orientale ( primo piano) presenta tre vasi di ceramica detta Celadon, di cui questo è il più antico. Risale alla dinastia Song “Durante la dinastia Sung – come scrivevano un tempo -( 960 – 1279 d.C. ) il successo della produzione della ceramica fu la colorazione di nero della merce ed il più spettacolare dei monocromi, il Celadon del nord dal tipico colore verde oliva.

I Cinesi non avevano ancora messo a punto la produzione della loro porcellana, ma questa ceramica  ne costituisce un precedente. Ancora adesso in Cina creano e vendono oggetti in questo colore e  questo stile.

Celadon è il nome attribuito a queste ceramiche dai Francesi, dal nome di un personaggio letterario.  Il colore ricordava la più preziosa giada, il disegno è inciso prima dell’invetriatura e cottura. Questo dovrebbe essere il vaso più antico del museo.

I tre vasi sono stati acquisiti negli anni Ottanta dell’ottocento da  Carlo Battistella e donati al Museo

Bibliografia: Crusvar Il civico museo d’arte orientale di Trieste Trieste, Rotary Club 2002

L’Onda di Hokusai

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La Grande Onda – di Katsushika Hokusai ( foto EM)

L’Onda di Hokusai è una silografia policroma databile attorno al 1830-1832 (mm 250 x 375) ed è una delle più note stampe di questo autore, di cui copie si trovano nei più grandi musei di arte orientale. Si trova esposta al terzo piano del Museo di Arte orientale di Trieste assieme alla collezione di stampe e surimono giapponesi, provenienti da collezioni private accolte nel tempo dai civici Musei.

L’onda travolge nella sua spuma la fragile imbarcazione sottostante.

La cappella Madre della Riconciliazione

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panoramica della Cappella Madre della Riconciliazione ( foto EM)

Adesso si chiama Cappella Madre della Riconciliazione, ed è la cappelletta al primo piano della ex chiesa dei santi Sebastiano e Rocco , aperta al culto nella primavera 2021 per rispetto del mandato testamentario dell’ultima proprietaria donatrice al comune : la storia della chiesa ” Sorta per desiderio testamentario del vescovo triestino Nicolò Aldegardis, che nel 1447 si auspicava la costruzione di una chiesetta dedicata al santo da erigersi dopo la sua dipartita, la realizzazione di San Sebastiano risulta essere in realtà più tardiva, né è plausibile la teoria seconda la quale la chiesetta risalirebbe addirittura al 1365 allorquando la Confraternita di S. Paolo dedicò il fondo “dannato e vacuo” dei Ranfi alla realizzazione di un edificio sacro che, andato in rovina, venne riedificato 85 anni più tardi proprio su commissione del vescovo. Un’ indulgenza di Papa Pio II accordata alla cappella unita ad una bolla di patronato, concessa ad Antonio de Leo proprietario dell’attiguo edificio, attestano l’esistenza di S. Sebastiano nel 1459. Tra il 1511 e il 1543 la chiesa venne sconsacrata a causa dell’imperversare della peste tanto che, forse, l’edificio venne addirittura demolito e sulle sue rovine ricostruita una nuova cappella dedicata non più solo a S. Sebastiano, ma anche a S. Rocco, santo protettore contro la peste. Nel 1602 la chiesetta perse però di importanza in concomitanza alla consacrazione della nuova chiesa di S. Rocco in Piazza Grande. Posta all’incanto da Giuseppe II nel1782 , fu quindi convertita in abitazione privata e venduta, nel 1785, al barone Francesco de Zanchi. Costui divise l’interno in due piani, aprendo nuove finestre e modificando la struttura della facciata esterna. Nel 1871 l’edificio passò in eredità a Regina Abriani vedova contessa Nugent e nel 1951, per volontà testamentaria della contessa Margherita Nugent fu Laval, divenne proprietà comunale.” ( dal sito del Comune).
La scelta della Madonna della Riconciliazione è stata fatta pensando all’immagine dell’Addolorata, davanti alla quale il vescovo Santin rimase in preghiera nel 1945 facendo il noto voto sulla non distruzione di Trieste che diede poi luogo al santuario di Monte Grisa. Per incorniciare l’immagine e aggiungere altre decorazioni, l’attuale vescovo ricorse al pittore russo Oleg Supereco, specializzato anche in arte sacra. In questi giorni l’immaginetta delle madonna è collegata ad una preghiera per la fine della pandemia..

Il dipinto della vergine Addolorata invece è opera ottocentesca di un pittore spagnolo, Luis Ferrant y Llausas

l’immaginetta della Vergine Addolorata

la pala coi Santi triestini, Giusto, Sergio, Servolo, Eufemia e Tecla che circondano l’immagine ( foto EM)
Il tondo della Pentecoste sul soffitto (foto EM)
Natività ( foto EM)
Angelo annunciante
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I ventagli dei musei triestini

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Venere e Giunone, ventaglio pieghevole, Francia o Portogallo, 1795-1800 circa

I tesori segreti dei musei triestini: esiste una collezione di ventagli, oggetti preziosi e fragili.. un anno ne fecero un’esposizione di cui questa è un’immagine, poi risparirono nei depositi!

Bibliografia: Aldo Dente Seducendo con l’arte: la collezione di ventagli dei Civici Musei di Storia e Arte di Trieste Trieste, 2003

Il Sigillo rinascimentale di Trieste

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Il Sigillo rinascimentale della città di Trieste. Lo stemma fu concesso nel 1464 da Federico III , ma questo venne coniato dopo il 1508-9, nel 1516 come attesta la data scritta, per concessione dell’imperatore Massimiliano I, e venne creato da un orafo di Lubiana. Esposti alla mostra del Medioevo a Trieste, si trova in una sala del museo di Storia Patria. Rimase in uso fino al 1918.
Iscrizione: SIGILLUM COMUNITATI TERGESTI ANNO 1516

Bibliografia essenziale: Medioevo a Trieste istituzioni, arte, società nel Trecento – Silvana Editoriale Trieste, 2008


            

La Cappella dell’Arcivescovado

Cappella Arcivescovile

 
A Trieste esiste un gioiello architettonico che pochi conoscono. Si tratta della Cappella Arcivescovile dell’architetto di origini slovene Ivan Vurnik formatosi a Vienna (dove ha conosciuto la moglie Helene Kottler, validissima pittrice) negli anni della Secession austriaca e che rientrato a Trieste riceve l’incarico dall’Arcivescovo (Enzo Lorenzetti)
 
 
l’album facebook dedicato: https://www.facebook.com/media/set/?set=oa.1114719698551619&type=1 
 

Visibile anche qua ( foto di Enzo Lorenzetti e Elisabetta Marcovich )

Madonna dei Fiori o della Boccia o della Borella

Vicino alla cappella Conti c’era un’osteria con un campo di bocce, sul bordo del quale stava un busto di Madonna in marmo bianco alabastrino, trovato in una campagna dall’oste Ferdinando Patarga da Sinigaglia detto “Fior” e per questo motivo chiamata “Madonna dei fiori”. Si racconta che nel 1840 la Madonna venne colpita da una boccia scagliatale contro da un giocatore arrabbiato, sulla parte colpita apparve una macchia sanguigna, per questo il busto è conosciuto anche con il nome di “Madonna della Borela”. A seguito di questo evento i Calafati reclamarono il busto e lo posero nella loro cappella, su un altare in legno costruito appositamente, poi, con il permesso del vescovo, il 15 ottobre 1849, mentre infuriava un’epidemia di colera, la portarono in processione. L’epidemia cessò e la Vergine divenne oggetto di devozione popolare, il 21 novembre 1849 ci fu un importante corteo per le vie della città per grazia ricevuta.
La cappella fu demolita nell’ottobre del 1939 e la Madonna fu sistemata nella Cattedrale di San Giusto, l’8 settembre 1957, per iniziativa del Vescovo Antonio Santin, la Madonnina venne posta in una piccola cappella sotto il palazzo INAIL in via Teatro Romano, pressappoco dove un tempo si trovava la Cappella Conti. ( testo Margherita Tauceri)
La statua prima di essere inserita nella cappelletta attuale si trovava a san Giusto, come mostrano alcune vecchie cartoline

 

 

Altre immagini della cappella attuale

Il cancello in bronzo con le figure di San Sergio e San Giusto realizzate dallo scultore Marcello Mascherini.

Alle pareti i dipinti di Dino Predonzani relativi alla storia della statua

 

 

le immagini in album, cliccare per visualizzare le foto a dimensioni più grandi :

Madonna dei Fiori

Madonna dei Fiori
Immagine 1 di 7


La discussione nel Gruppo Trieste di ieri e di oggi:

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Bibliografia: 
Sergio Galimberti S Maria  Maggiore a Trieste- Parrocchia di S maria Maggiore 2003
Zubini Cittavecchia ed Italo Svevo 2006
Rutteri Trieste spunti dal suo passato Lint 1968
Rutteri Storia  e arte fra vie e piazze Lint 1981
Ruaro Loseri Guida di Trieste Lint 1985
Tamaro, Storia di Trieste

 

Aguiari o Agujari Tito (Adria, 1834? – Trieste, 1908)

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Agujari Tito - "Trieste, mercato al molo", cm. 50x90 - acquerello su carta

Dopo aver ricevuto i primi rudimenti di pittura dal padre Francesco, a 13 anni si iscrisse all’Accademia di Venezia, dove ebbe per maestro Guglielmo Ciardi. Quattro anni più tardi, completati gli studi, ritornò a Trieste e tra il 1892 e il 1900 lavorò assieme al padre nello studio triestino, fino alla morte improvvisa di questi. Nel 1901 preferì lasciare la città per stabilirsi a Monaco di Baviera, dove sposò la figlia del pittore Karl Haider (Monaco di Baviera, 1846 – Schliersee, 1912). Negli anni a seguire il Beda visse prima a Dachau, fino al 1907, poi si trasferì con la famiglia ad Amper. Mantenne sempre rapporti lavorativi con Monaco di Baviera e presenziò in mostre collettive di grande importanza, fra cui alcune Secessioni.

g.c.

Aguiari o Agujari Giuseppe (Venezia, 1840 – Buenos Aires, 1885)

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Agujari Giuseppe - Barrancas del Paraná, olio su tela. 
Buenos Aires, Museo Nazionale di Belle Arti.

Intraprende gli studi presso l’Accademia delle Belle Arti di Venezia e successivamente si iscrive alla Scuola Tecnica Comunale di Trieste, dove il fratello Tito è docente. Grazie all’aiuto di questi, raffinerà la tecnica del disegno e dell’acquerello a tal punto da richiamare l’attenzione di Massimiliano d’Asburgo, arciduca d’Austria e fratello dell’Imperatore Francesco Giuseppe, il quale gli commissionerà i disegni per gli abiti del suo seguito, usati durante la cerimonia dell’Incoronazione. Viaggia in Egitto dove, su commissione, realizza alcuni ritratti. Rientrato a Venezia, per motivi di salute, frequenta un corso di Paesaggistica all’Accademia di Belle Arti e successivamente è a Londra, dove alla Royal Academy espone una serie di acquerelli di vedute di Venezia. Nel 1871, su invito di Francisco J. Brabo, un commerciante spagnolo conosciuto a Venezia e trasferitosi in Argentina, si trasferisce a Buenos Aires dove diviene docente presso il Collegio Nazionale. In Argentina strinse amicizia con i più illustri personaggi mondani e politici (Avellana, Mitre, Rawson, Sarmento, Velez), dai quali ottenne appoggio e protezione (Petriella – Miatello 1976). Nel 1876 fece parte del gruppo che fondò la Sociedad Estimulo des Bellas Artes, di cui fu il primo Presidente. Fra i suoi allievi Emilio Agrelo, Eduardo Schiaffino, J. Maria Gutierres.

g.c.

Bibliografia:
Claudio H. Martelli, Dizionario degli Artisti di Trieste, dell’Isontino, dell’Istria e della Dalmazia, Trieste 1996;
Diccionario Biografico Italo-Argentino, Buenos Aires, 1976;
José Aguyari, en “La Pintura y la Escultura Argentina, 1933.

Giulio (Julius) Beda (Trieste, 1879 – Dachau, 1954)

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Giulio (Julius) Beda - Wieningerstrasse-Dachau, 1926. Collezione J. Glück

 

Dopo aver ricevuto i primi rudimenti di pittura dal padre Francesco, a 13 anni si iscrisse all’Accademia di Venezia, dove ebbe per maestro Guglielmo Ciardi. Quattro anni più tardi, completati gli studi, ritornò a Trieste e tra il 1892 e il 1900 lavorò assieme al padre nello studio triestino, fino alla morte improvvisa di questi. Nel 1901 preferì lasciare la città per stabilirsi a Monaco di Baviera, dove sposò la figlia del pittore Karl Haider (Monaco di Baviera, 1846 – Schliersee, 1912). Negli anni a seguire il Beda visse prima a Dachau, fino al 1907, poi si trasferì con la famiglia ad Amper. Mantenne sempre rapporti lavorativi con Monaco di Baviera e presenziò in mostre collettive di grande importanza, fra cui alcune Secessioni.

Giulio (Julius) Beda - Periferia di Dachau

Ben presto si fece apprezzare quale pittore di paesaggio per l’eccellente disposizione prospettica, secondo schemi debitori alla pittura olandese, a sovrapposizione di colore per velature.

Giulio (Julius) Beda - Paesaggio di campagna a Dachau

Tali caratteri nordici gli consentirono di inserirsi a pieno titolo nella cultura figurativa tedesca. Il tema principale delle sue opere documentano Dachau, dove gli è stata intestata una strada, e la campagna intorno alla città in Amper.

Giulio (Julius) Beda - Venezia

Non disdegnò neppure le vedute di Venezia e fu anche buon ritrattista, seppur non raggiungendo il livello qualitativo paterno. Una parte considerevole dei suoi quadri è conservata nella Gemäldegalerie di Dachau.

Giorgio Catania

P.s.: Le date di nascita e morte sono incerte e le fonti discordano, ho considerato più attendibili quelle tedesche.

 

Bibliografia:

M. Comanducci, Pittori italiani dell’Ottocento, Milano 1935;

C.H. Martelli, Artisti Triestini del Novecento, Trieste, 1979;

Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon, III, 1991.

Francesco Beda (Trieste, 29 novembre 1840 – 21 giugno 1900)

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Caffè Orientale di Trieste (1888)

Francesco Beda si forma artisticamente alla scuola di Karl von Blaas a Venezia (secondo altre fonti a Vienna), a partire dal 1858, grazie all’aiuto del barone Revoltella.

Il von Blaas nel 1850 aveva ottenuto la cattedra presso l’Accademia di Vienna come professore di storia della pittura, ma già nel 1855 gli fu affidata una cattedra all’Accademia di Venezia, dove rimase fino al 1866, quando decise di rientrare definitivamente a Vienna. Vi morirà nel 1894.

 

Gli inizi di Francesco Beda lo vedono in viaggio attraverso Austria, Ungheria, Croazia e Inghilterra, dedito ai soggetti storici e alla ritrattista, per la quale era molto richiesto. Tra i suoi ritratti più celebri spiccano quello dell’imperatrice Elisabetta d’Austria, del principe di Rolian e del vescovo Strossmayer di Zagabria. Successivamente passò alle scene di genere che raffiguravano personaggi in eleganti costumi dai sgargianti colori, scene galanti ambientate nel XVIII secolo. Predilesse i piccoli formati.

Dal 1876 assunse i toni del Fortuny, mantenendo però uno stile accademico dal tratto preciso e dettagliato. Rari i dipinti orientalisti, molto alla moda in quel tempo, come Caffè Orientale di Trieste (1888), attualmente esposto nel Museo Civico d’Arte Orientale. Al Museo Revoltella si conserva un quadro della sua prima maniera (1868): CarloVI riceve gli ambasciatori veneti.

A partire dal 1896 condividerà il proprio studio di pittura con il figlio Giulio. Molte delle opere di Francesco venivano acquistate dal mercante d’arte viennese Winterstein, il quale disponeva di una ricca clientela.
Francesco Beda, negli anni tra il 1875 e il 1880 era solito recarsi allo storico Caffè Chiozza, frequentato dai pittori Alfredo Tominz, Giuseppe Pogna, Giovanni Battista Crevatin, Giuseppe Savorgnani, Antonio Lonza, Eugenio Scomparini, gli architetti Ruggero Berlam e Giacomo Zammattio, gli scultori Attilio Depaul, Eduardo Baldini, Luigi Conti, Francesco Pezzicar, l’ebanista Stella e il decoratore Abeatici. Al Chiozza, erano di casa Giuseppe Caprin e Giuseppe Lorenzo Gatteri, e amavano discorrere d’arte, circondati sempre da un nutrito auditorio, attento e riverente. Del Gatteri, si dice fosse uomo di rara cultura. Fu in quell’ambito che si parlò per la prima volta di un Circolo artistico triestino, che avrebbe visto la luce solo un decennio più tardi.

 

Carlo Wostry nella sua “Storia del Circolo Artistico”, del 1934, ricorderà Francesco Beda come uno dei personaggi più divertenti del Circolo: “ …faceva dei discorsoni, incominciando le sue filippiche in una lingua purgata a modo suo per dare un maggior tono di autorità al suo fare punto dittatorio. Vi innestava qua e là dei triestinismi di sua fabbricazione che facevano ridere tutti. Se le sballava grosse, rideva egli stesso, e nel suo strabismo guardava stranamente l’uno a destra e l’altro a sinistra. Eternamente di buon umore, prendeva gusto a dare istruzione ai giovani sulla maniera di fabbricare un quadro.

 

Aveva una figura alquanto scombussolata nelle linee: il naso rispettabile voltato un po’ a sinistra, e dalla stessa parte, per strabismo, tendeva anche uno dei suoi occhi.

Giocatore di bigliardo impenitente, faceva ogni sera una partita col Crevatin, e l’assistervi era una commedia. Tutti e due erano bravi giocatori. Se il Crevatin perdeva, non voleva ammettere la sua inferiorità e ne dava la colpa alla moglie, che alla mattina gli aveva fatto infilare delle calze troppo grosse o dei polsini che gli solleticavano la pelle.

Anche Silvio Benco, nel 1922, scrisse un sintetico giudizio del Beda: “dipingeva un settecento miniato e agghindato”.

Morì a Trieste il 21 giugno 1900, improvvisamente, mentre stava dipingendo.

Giorgio Catania

 

Bibliografia:

S. Benco, introduz. a S. Sibilia, Pittori e scultori di Trieste, Milano 1922;

Catalogo del Museo Revoltella di Trieste, Trieste 1933;

Carlo Wostry, Storia del Circolo Artistico di Trieste, 1934;

M. Comanducci, Pittori italiani dell’Ottocento, Milano 1935;

C.H. Martelli, Artisti Triestini del Novecento, Trieste, 1979;

Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon, III, 1991.

 

Trieste, Piazza G. Verdi, dicembre 1905 / gennaio 1906. Prove di collocazione del Monumento a Giuseppe Verdi (esemplare in gesso)

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Trieste, Piazza G. Verdi, dicembre 1905 / gennaio 1906. Prove di collocazione del Monumento a Giuseppe Verdi (esemplare in gesso).

Il monumento in pietra bianca, realizzato dallo scultore Laforet, venne poi collocato in Piazza S. Giovanni e inaugurato Il 27 gennaio 1906, dove rimarrà fino al maggio 1915. Distrutto dalle rappresaglie che seguirono la dichiarazione italiana di guerra all’impero austroungarico, venne rifatto in bronzo nel 1926 dalla fonderia Savini e Ripamonti di Milano.

Trieste, Piazza G. Verdi, dicembre 1905 / gennaio 1906. Prove di collocazione del Monumento a Giuseppe Verdi

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Trieste, Piazza G. Verdi, dicembre 1905 / gennaio 1906. Prove di collocazione del Monumento a Giuseppe Verdi (esemplare in gesso).

Il monumento in pietra bianca, realizzato dallo scultore Laforet, venne poi collocato in Piazza S. Giovanni e inaugurato Il 27 gennaio 1906, dove rimarrà fino al maggio 1915. Distrutto dalle rappresaglie che seguirono la dichiarazione italiana di guerra all’impero austroungarico, venne rifatto in bronzo nel 1926 dalla fonderia Savini e Ripamonti di Milano.

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Trieste : Palazzo della Borsa, facciata. Ermes (Mercurio), opera dello Scultore Bartolomeo Ferrari

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Palazzo della Borsa, facciata.
Ermes (Mercurio), opera dello Scultore Bartolomeo Ferrari. 
Foto Giorgio Catania

Protettore dei commercianti e dei viaggiatori, dei sapienti e dei ladri, è qui rappresentato con caduceo e cappello alato. Nella mano destra tiene un sacchetto con denaro, alla sua sinistra, in basso, un gallo, animale a lui sacro. Sulla base le iniziali B.F. F(ecit)


BORSA (piazza della)

Piazza della Borsa: San Vito-Città Vecchia/Città Nuova-Barriera Nuova. Tra capo di piazza G. Bartoli e corso Italia. C.A.P. 34121.

Toponimo ottocentesco invalso dopo la costruzione dell’edificio della Borsa al numero civico 14 (architetto A. Mollari, 1800) e sostituito in data 1.7.1939 (Delibera Commissario Prefettizio numero 789) con il nome di Costanzo Ciano (1876-1939), ammiraglio e uomo politico; capeggiò l’impresa navale di Buccari (1918), fu Sottosegretario alla marina mercantile (1922), ministro delle poste (1924), ministro delle comunicazioni e infine presidente della Camera (1934). Con Delibera del Podestà d.d. 10.6.1944 numero 497 venne soppressa la denominazione «piazza Costanzo Ciano» e fu ripristinato il toponimo «piazza della Borsa». Il palazzo neoclassico della Borsa Vecchia, oggi sede della Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura, è stato sottoposto a lunghi lavori di restauro (1966-1988), tra cui quello delle facciate (1972, architetto V. Frandoli), la ristrutturazione interna (1973-1980, impr. Savino) e il restauro delle decorazioni esterne (1988).
Al numero civico 15 è il Tergesteo opera, secondo i più recenti studi, dell’architetto F. Bruyn (1840) nei cui progetti confluirono quelli di altri architetti. La galleria venne ristrutturata nel 1957 dall’architetto A. Psacaropulo che sostituì la vecchia copertura con una nuova in vetro-cemento armato cui venne aggiunto un cornicione in cemento, decorato nella parte inferiore a forme astratte da C. Sbisà. Al numero civico 4 si trova casa Moreau (f.lli Vogel, 1788) completamente ristrutturata nel 1904 (architetto C. De Nolde) con la sola conservazione dei tre bassorilievi sulla facciata (scultore A. Bosa, ante 1820). Al numero civico 7 è casa Bartoli, edificio liberty dell’architetto M. Fabiani (1905) mentre al numero civico 8 è il palazzo delle Assicurazioni Generali (architetto M. Piacentini, 1939); al numero civico 9 la settecentesca palazzina Romano, già ospitante la libreria F. H. Schimpff e oggi sede del Credito Italiano (dal 1921), ristrutturata nel 1921 dall’architetto G. Polli; al numero civico 11 edificio ottocentesco ristrutturato nel 1985 quale sede della Banca Antoniana di Padova e Trieste. Di fronte alla Borsa Vecchia era la settecentesca fontana del Nettuno (scultore G. Mazzoleni), rimossa nel 1920 e più tardi ricostruita in piazza Venezia (ora ricollocata nella piazza della Borsa). La colonna con la statua dell’imperatore Leopoldo I, prima in linea con la fontana e la Borsa Vecchia, venne spostata di alcuni metri nel 1934; il moderno chiosco per l’attesa delle autocorriere davanti all’edificio delle Assicurazioni Generali è dovuto all’architetto C. Guenzi di Milano (1983).

Bibliografia: A. Trampus, Vie e Piazze di Trieste Moderna, Trieste, 1989

San Giovanni di Duino : Basilica di S. Giovanni in Tuba

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La Basilica di S. Giovanni in Tuba, in stile gotico, fu edificata nel XV secolo dai conti di Walsee, signori di Duino, in un’area che aveva già ospitato un tempio pagano di cui ci rimangono testimonianze epigrafiche, e sopra i resti di una basilica paleocristiana del V secolo d.C., della quale si conservano nel presbiterio della chiesa un pavimento a mosaico con elementi geometrici simili a quelli di Grado e Aquileia, e altri reperti a costituire un piccolo lapidario con calchi e iscrizioni.

La Basilica si trova a San Giovanni di Duino, località del comune di Duino-Aurisina nota anche per le risorgive del fiume Timavo. Nelle vicinanze, al di sopra della S.S. 14, è posto il monumento dedicato al 78º Reggimento fanteria “Lupi di Toscana”, a memoria delle valorose azioni militari condotte durante la Prima Guerra Mondiale, dalle pendici dell’Hermada fino alle foci del Timavo, dove nel maggio 1917 perse la vita il Maggiore Giovanni Randaccio. Non distante dal nucleo abitativo di San Giovanni di Duino è ubicata la grotta del Mitreo, scoperta nel 1964 dalla Società Alpina delle Giulie e dedicata al culto di origine indoiranica di Mithra, importato dalle legioni romane di ritorno dall’Oriente.

Strabone, ci narra di Diomede, re dell’Etolia, che reduce dalla guerra di Troia avrebbe fatto costruire un tempio a Nettuno, con annessi due boschetti sacri. Vi era venerato anche Saturno, come si evince da un mortarium in argilla recante la scritta “NVMEN SATVRNI”, rinvenuto in uno scavo presso la porta principale della basilica. Su questo primigenio luogo di culto dedicato a Diomede, nel IV/V secolo fu costruita una chiesa dedicata a S.Giovanni Battista, santo delle acque, con annesso cenobio poi distrutto dagli Avari nel 610-611, e ricostruito. La basilica fu più e più volte devastata durante le invasioni barbariche a partire dal 402: prima dai Visigoti di Alarico, poi dai Vandali di Ricimiero, da Attila re degli Unni, e qualche decennio dopo da Odoacre, re degli Eruli. Nel 752 Duino passò sotto la dominazione dei Longobardi e infine sotto i Franchi di Carlo Magno. Tra il 900 e il 973, per ben otto volte gli Ungari invasero questi territori, distruggendo nuovamente il cenobio nel 902. Venne ricostruito e ancora distrutto per opera di pirati turchi.

Nel 1085, il patriarca di Aquileia, Uldarico I di Eppenstein, donò la chiesa, allora nota come S.ti Johannis de Timavo, all’abate Giovanni di Beligna affinché venissero ripresi gli offici religiosi. Nel 1113, in una fossa collocata dietro l’altar maggiore del presbiterio, il menzionato abate avrebbe rinvenuto delle importanti reliquie, nascoste almeno cinquecento anni prima al fine di preservarle dalla profanazione barbarica. Dei contenitori in marmo di queste reliquie, uno soltanto è giunto a noi, custodito nella sagrestia della chiesa arcipretale di Monfalcone. Reca un carme epigrafico in latino.

Nel 1121, la basilica, allora chiamata S.Johannes de Chars, venne restaurata e ingrandita ad opera di Uldarico o Vodolrico, con tre absidi più profonde e la costruzione della fossa sull’asse di quello centrale, eseguita in seguito alla scoperta delle reliquie. La suddivisione in tre navate con copertura a volte dovrebbe risalire al XIII secolo. Nel 1362, la basilica venne ancora saccheggiata e bruciata.

Nel 1430 nella chiesa furono deposti i corpi di Giorgio de Reichenburg e di Martha degli Ungnad, consorte di Giovanni de Reichenburg, capitano dei Walsee a Duino.

Nel 1483 la basilica fu ampliata dai signori di Walsee, assumendo un aspetto abbastanza simile a quello attuale.

Nel 1642 Giovanni Filippo della Torre costruì la torre campanaria e suo figlio, conte Filippo Giacomo, fece erigere l’altar maggiore. Nel 1712 venne sepolto nella chiesa il conte Luigi Leopoldo della Torre.

Durante il conflitto 1915-1918, l’edificio venne a trovarsi sulla linea del fuoco e la chiesa fu quasi totalmente distrutta: crollò il campanile veneziano, il tetto, e il più dei muri perimetrali. Andarono perduti tutti gli affreschi. A quei tempi la basilica si presentava in stile barocco, con un grande altare su cui svettava una pala ottocentesca che ne ricopriva completamente la finestra centrale. Conteneva altri quattro altari, due alle pareti laterali e due di fronte all’ingresso – una galleria per l’organo era alloggiata sopra due colonne. Viene ricordata sovraccarica di lapidi, dipinti e lampade, tanto da riempire ogni spazio utile, nel più invadente stile barocco. Dovrà subire ancora lo scempio del tempo e i danni di un nuovo conflitto bellico prima che si intervenga al recupero di ciò che ne sarà rimasto. Un intervento iniziato nel 1949, per interessamento del generale Airey del GMA, con l’intento di riportare la basilica alle sue forme originali. Ristrutturazione che avrebbe fatto emergere importanti strutture murarie sepolte e indagate con maggiore attenzione nel 1961 dall’archeologo Mario Mirabella Roberti: un pavimento con motivi geometrici a ottagoni e quadrati, un’abside poligonale con tre lapidi votive dedicate alla Spes Augusta, risalenti alla metà del V secolo, una fossa medievale scoperta al centro del presbiterio in cui fu raccolto il deposito delle reliquie, e altre parti architettoniche riconducibili al XV secolo.

«Vi si è riconosciuta nell’insieme una basilica orientata, larga m 11 e lunga m 21 dal muro di facciata all’attacco dell’abside (misure interne); questa, poligonale all’esterno, è profonda m 3,40 e larga m 4,50. Mentre il muro meridionale della basilica è stato asportato, i resti del muro settentrionale erano ben conservati all’interno della chiesa odierna insieme con le strutture essenziali del presbiterio; questo è tuttora visibile, perché l’altare attuale, impostato su un pilastro di cemento armato, sporge dall’area di scavo che rimane così libera. » (Cuscito 1992)

Il restauro fu seguito dal soprintendente architetto Fausto Franco e si concluse il 3 novembre 1951. Altri elementi in marmo, di età alto-medievale, furono disposti ad arte all’interno dell’edificio. Le lapidi di fronte all’ingresso provengono da un antico cimitero rimosso nel 1915.

Nel 1990 la chiesa di S.Giovanni in Tuba ha subito ulteriori restauri. (g.c.)


BIBLIOGRAFIA
:

P. KANDLER, Della chiesa di S. Giovanni de Tuba od al Timavo, in «L’Istria» IV, 1849;

E. MARCON, L’abbazia di S. Giovanni di Tuba, in «La Panarie» 59, 1933;

M. MIRABELLA ROBERTI, La basilica paleocristiana di San Giovanni del Timavo, in «Studi monfalconesi e duinati» 1976;

G. CUSCITO, Le Chiese di Trieste. Trieste 1992;

F. ZUBINI, Chiesa di S.Giovanni in Tuba, in «Duino-Aurisina». Trieste 1994

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La Basilica di S. Giovanni in Tuba, in stile gotico, fu edificata nel XV secolo dai conti di Walsee, signori di Duino, in un’area che aveva già ospitato un tempio pagano di cui ci rimangono testimonianze epigrafiche, e sopra i resti di una basilica paleocristiana del V secolo d.C., della quale si conservano nel presbiterio della chiesa un pavimento a mosaico con elementi geometrici simili a quelli di Grado e Aquileia, e altri reperti a costituire un piccolo lapidario con calchi e iscrizioni.

La Basilica si trova a San Giovanni di Duino, località del comune di Duino-Aurisina nota anche per le risorgive del fiume Timavo. Nelle vicinanze, al di sopra della S.S. 14, è posto il monumento dedicato al 78º Reggimento fanteria “Lupi di Toscana”, a memoria delle valorose azioni militari condotte durante la Prima Guerra Mondiale, dalle pendici dell’Hermada fino alle foci del Timavo, dove nel maggio 1917 perse la vita il Maggiore Giovanni Randaccio. Non distante dal nucleo abitativo di San Giovanni di Duino è ubicata la grotta del Mitreo, scoperta nel 1964 dalla Società Alpina delle Giulie e dedicata al culto di origine indoiranica di Mithra, importato dalle legioni romane di ritorno dall’Oriente.

Strabone, ci narra di Diomede, re dell’Etolia, che reduce dalla guerra di Troia avrebbe fatto costruire un tempio a Nettuno, con annessi due boschetti sacri. Vi era venerato anche Saturno, come si evince da un mortarium in argilla recante la scritta “NVMEN SATVRNI”, rinvenuto in uno scavo presso la porta principale della basilica. Su questo primigenio luogo di culto dedicato a Diomede, nel IV/V secolo fu costruita una chiesa dedicata a S.Giovanni Battista, santo delle acque, con annesso cenobio poi distrutto dagli Avari nel 610-611, e ricostruito. La basilica fu più e più volte devastata durante le invasioni barbariche a partire dal 402: prima dai Visigoti di Alarico, poi dai Vandali di Ricimiero, da Attila re degli Unni, e qualche decennio dopo da Odoacre, re degli Eruli. Nel 752 Duino passò sotto la dominazione dei Longobardi e infine sotto i Franchi di Carlo Magno. Tra il 900 e il 973, per ben otto volte gli Ungari invasero questi territori, distruggendo nuovamente il cenobio nel 902. Venne ricostruito e ancora distrutto per opera di pirati turchi.

Nel 1085, il patriarca di Aquileia, Uldarico I di Eppenstein, donò la chiesa, allora nota come S.ti Johannis de Timavo, all’abate Giovanni di Beligna affinché venissero ripresi gli offici religiosi. Nel 1113, in una fossa collocata dietro l’altar maggiore del presbiterio, il menzionato abate avrebbe rinvenuto delle importanti reliquie, nascoste almeno cinquecento anni prima al fine di preservarle dalla profanazione barbarica. Dei contenitori in marmo di queste reliquie, uno soltanto è giunto a noi, custodito nella sagrestia della chiesa arcipretale di Monfalcone. Reca un carme epigrafico in latino.

Nel 1121, la basilica, allora chiamata S.Johannes de Chars, venne restaurata e ingrandita ad opera di Uldarico o Vodolrico, con tre absidi più profonde e la costruzione della fossa sull’asse di quello centrale, eseguita in seguito alla scoperta delle reliquie. La suddivisione in tre navate con copertura a volte dovrebbe risalire al XIII secolo. Nel 1362, la basilica venne ancora saccheggiata e bruciata.

Nel 1430 nella chiesa furono deposti i corpi di Giorgio de Reichenburg e di Martha degli Ungnad, consorte di Giovanni de Reichenburg, capitano dei Walsee a Duino.

Nel 1483 la basilica fu ampliata dai signori di Walsee, assumendo un aspetto abbastanza simile a quello attuale.

Nel 1642 Giovanni Filippo della Torre costruì la torre campanaria e suo figlio, conte Filippo Giacomo, fece erigere l’altar maggiore. Nel 1712 venne sepolto nella chiesa il conte Luigi Leopoldo della Torre.

Durante il conflitto 1915-1918, l’edificio venne a trovarsi sulla linea del fuoco e la chiesa fu quasi totalmente distrutta: crollò il campanile veneziano, il tetto, e il più dei muri perimetrali. Andarono perduti tutti gli affreschi. A quei tempi la basilica si presentava in stile barocco, con un grande altare su cui svettava una pala ottocentesca che ne ricopriva completamente la finestra centrale. Conteneva altri quattro altari, due alle pareti laterali e due di fronte all’ingresso – una galleria per l’organo era alloggiata sopra due colonne. Viene ricordata sovraccarica di lapidi, dipinti e lampade, tanto da riempire ogni spazio utile, nel più invadente stile barocco. Dovrà subire ancora lo scempio del tempo e i danni di un nuovo conflitto bellico prima che si intervenga al recupero di ciò che ne sarà rimasto. Un intervento iniziato nel 1949, per interessamento del generale Airey del GMA, con l’intento di riportare la basilica alle sue forme originali. Ristrutturazione che avrebbe fatto emergere importanti strutture murarie sepolte e indagate con maggiore attenzione nel 1961 dall’archeologo Mario Mirabella Roberti: un pavimento con motivi geometrici a ottagoni e quadrati, un’abside poligonale con tre lapidi votive dedicate alla Spes Augusta, risalenti alla metà del V secolo, una fossa medievale scoperta al centro del presbiterio in cui fu raccolto il deposito delle reliquie, e altre parti architettoniche riconducibili al XV secolo.

«Vi si è riconosciuta nell’insieme una basilica orientata, larga m 11 e lunga m 21 dal muro di facciata all’attacco dell’abside (misure interne); questa, poligonale all’esterno, è profonda m 3,40 e larga m 4,50. Mentre il muro meridionale della basilica è stato asportato, i resti del muro settentrionale erano ben conservati all’interno della chiesa odierna insieme con le strutture essenziali del presbiterio; questo è tuttora visibile, perché l’altare attuale, impostato su un pilastro di cemento armato, sporge dall’area di scavo che rimane così libera. » (Cuscito 1992)

Il restauro fu seguito dal soprintendente architetto Fausto Franco e si concluse il 3 novembre 1951. Altri elementi in marmo, di età alto-medievale, furono disposti ad arte all’interno dell’edificio. Le lapidi di fronte all’ingresso provengono da un antico cimitero rimosso nel 1915.

Nel 1990 la chiesa di S.Giovanni in Tuba ha subito ulteriori restauri. (g.c.)


BIBLIOGRAFIA
:

P. KANDLER, Della chiesa di S. Giovanni de Tuba od al Timavo, in «L’Istria» IV, 1849;

E. MARCON, L’abbazia di S. Giovanni di Tuba, in «La Panarie» 59, 1933;

M. MIRABELLA ROBERTI, La basilica paleocristiana di San Giovanni del Timavo, in «Studi monfalconesi e duinati» 1976;

G. CUSCITO, Le Chiese di Trieste. Trieste 1992;

F. ZUBINI, Chiesa di S.Giovanni in Tuba, in «Duino-Aurisina». Trieste 1994

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La Basilica di S. Giovanni in Tuba, in stile gotico, fu edificata nel XV secolo dai conti di Walsee, signori di Duino, in un’area che aveva già ospitato un tempio pagano di cui ci rimangono testimonianze epigrafiche, e sopra i resti di una basilica paleocristiana del V secolo d.C., della quale si conservano nel presbiterio della chiesa un pavimento a mosaico con elementi geometrici simili a quelli di Grado e Aquileia, e altri reperti a costituire un piccolo lapidario con calchi e iscrizioni.

La Basilica si trova a San Giovanni di Duino, località del comune di Duino-Aurisina nota anche per le risorgive del fiume Timavo. Nelle vicinanze, al di sopra della S.S. 14, è posto il monumento dedicato al 78º Reggimento fanteria “Lupi di Toscana”, a memoria delle valorose azioni militari condotte durante la Prima Guerra Mondiale, dalle pendici dell’Hermada fino alle foci del Timavo, dove nel maggio 1917 perse la vita il Maggiore Giovanni Randaccio. Non distante dal nucleo abitativo di San Giovanni di Duino è ubicata la grotta del Mitreo, scoperta nel 1964 dalla Società Alpina delle Giulie e dedicata al culto di origine indoiranica di Mithra, importato dalle legioni romane di ritorno dall’Oriente.

Strabone, ci narra di Diomede, re dell’Etolia, che reduce dalla guerra di Troia avrebbe fatto costruire un tempio a Nettuno, con annessi due boschetti sacri. Vi era venerato anche Saturno, come si evince da un mortarium in argilla recante la scritta “NVMEN SATVRNI”, rinvenuto in uno scavo presso la porta principale della basilica. Su questo primigenio luogo di culto dedicato a Diomede, nel IV/V secolo fu costruita una chiesa dedicata a S.Giovanni Battista, santo delle acque, con annesso cenobio poi distrutto dagli Avari nel 610-611, e ricostruito. La basilica fu più e più volte devastata durante le invasioni barbariche a partire dal 402: prima dai Visigoti di Alarico, poi dai Vandali di Ricimiero, da Attila re degli Unni, e qualche decennio dopo da Odoacre, re degli Eruli. Nel 752 Duino passò sotto la dominazione dei Longobardi e infine sotto i Franchi di Carlo Magno. Tra il 900 e il 973, per ben otto volte gli Ungari invasero questi territori, distruggendo nuovamente il cenobio nel 902. Venne ricostruito e ancora distrutto per opera di pirati turchi.

Nel 1085, il patriarca di Aquileia, Uldarico I di Eppenstein, donò la chiesa, allora nota come S.ti Johannis de Timavo, all’abate Giovanni di Beligna affinché venissero ripresi gli offici religiosi. Nel 1113, in una fossa collocata dietro l’altar maggiore del presbiterio, il menzionato abate avrebbe rinvenuto delle importanti reliquie, nascoste almeno cinquecento anni prima al fine di preservarle dalla profanazione barbarica. Dei contenitori in marmo di queste reliquie, uno soltanto è giunto a noi, custodito nella sagrestia della chiesa arcipretale di Monfalcone. Reca un carme epigrafico in latino.

Nel 1121, la basilica, allora chiamata S.Johannes de Chars, venne restaurata e ingrandita ad opera di Uldarico o Vodolrico, con tre absidi più profonde e la costruzione della fossa sull’asse di quello centrale, eseguita in seguito alla scoperta delle reliquie. La suddivisione in tre navate con copertura a volte dovrebbe risalire al XIII secolo. Nel 1362, la basilica venne ancora saccheggiata e bruciata.

Nel 1430 nella chiesa furono deposti i corpi di Giorgio de Reichenburg e di Martha degli Ungnad, consorte di Giovanni de Reichenburg, capitano dei Walsee a Duino.

Nel 1483 la basilica fu ampliata dai signori di Walsee, assumendo un aspetto abbastanza simile a quello attuale.

Nel 1642 Giovanni Filippo della Torre costruì la torre campanaria e suo figlio, conte Filippo Giacomo, fece erigere l’altar maggiore. Nel 1712 venne sepolto nella chiesa il conte Luigi Leopoldo della Torre.

Durante il conflitto 1915-1918, l’edificio venne a trovarsi sulla linea del fuoco e la chiesa fu quasi totalmente distrutta: crollò il campanile veneziano, il tetto, e il più dei muri perimetrali. Andarono perduti tutti gli affreschi. A quei tempi la basilica si presentava in stile barocco, con un grande altare su cui svettava una pala ottocentesca che ne ricopriva completamente la finestra centrale. Conteneva altri quattro altari, due alle pareti laterali e due di fronte all’ingresso – una galleria per l’organo era alloggiata sopra due colonne. Viene ricordata sovraccarica di lapidi, dipinti e lampade, tanto da riempire ogni spazio utile, nel più invadente stile barocco. Dovrà subire ancora lo scempio del tempo e i danni di un nuovo conflitto bellico prima che si intervenga al recupero di ciò che ne sarà rimasto. Un intervento iniziato nel 1949, per interessamento del generale Airey del GMA, con l’intento di riportare la basilica alle sue forme originali. Ristrutturazione che avrebbe fatto emergere importanti strutture murarie sepolte e indagate con maggiore attenzione nel 1961 dall’archeologo Mario Mirabella Roberti: un pavimento con motivi geometrici a ottagoni e quadrati, un’abside poligonale con tre lapidi votive dedicate alla Spes Augusta, risalenti alla metà del V secolo, una fossa medievale scoperta al centro del presbiterio in cui fu raccolto il deposito delle reliquie, e altre parti architettoniche riconducibili al XV secolo.

«Vi si è riconosciuta nell’insieme una basilica orientata, larga m 11 e lunga m 21 dal muro di facciata all’attacco dell’abside (misure interne); questa, poligonale all’esterno, è profonda m 3,40 e larga m 4,50. Mentre il muro meridionale della basilica è stato asportato, i resti del muro settentrionale erano ben conservati all’interno della chiesa odierna insieme con le strutture essenziali del presbiterio; questo è tuttora visibile, perché l’altare attuale, impostato su un pilastro di cemento armato, sporge dall’area di scavo che rimane così libera. » (Cuscito 1992)

Il restauro fu seguito dal soprintendente architetto Fausto Franco e si concluse il 3 novembre 1951. Altri elementi in marmo, di età alto-medievale, furono disposti ad arte all’interno dell’edificio. Le lapidi di fronte all’ingresso provengono da un antico cimitero rimosso nel 1915.

Nel 1990 la chiesa di S.Giovanni in Tuba ha subito ulteriori restauri. (g.c.)


BIBLIOGRAFIA
:

P. KANDLER, Della chiesa di S. Giovanni de Tuba od al Timavo, in «L’Istria» IV, 1849;

E. MARCON, L’abbazia di S. Giovanni di Tuba, in «La Panarie» 59, 1933;

M. MIRABELLA ROBERTI, La basilica paleocristiana di San Giovanni del Timavo, in «Studi monfalconesi e duinati» 1976;

G. CUSCITO, Le Chiese di Trieste. Trieste 1992;

F. ZUBINI, Chiesa di S.Giovanni in Tuba, in «Duino-Aurisina». Trieste 1994

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La Basilica di S. Giovanni in Tuba, in stile gotico, fu edificata nel XV secolo dai conti di Walsee, signori di Duino, in un’area che aveva già ospitato un tempio pagano di cui ci rimangono testimonianze epigrafiche, e sopra i resti di una basilica paleocristiana del V secolo d.C., della quale si conservano nel presbiterio della chiesa un pavimento a mosaico con elementi geometrici simili a quelli di Grado e Aquileia, e altri reperti a costituire un piccolo lapidario con calchi e iscrizioni.

La Basilica si trova a San Giovanni di Duino, località del comune di Duino-Aurisina nota anche per le risorgive del fiume Timavo. Nelle vicinanze, al di sopra della S.S. 14, è posto il monumento dedicato al 78º Reggimento fanteria “Lupi di Toscana”, a memoria delle valorose azioni militari condotte durante la Prima Guerra Mondiale, dalle pendici dell’Hermada fino alle foci del Timavo, dove nel maggio 1917 perse la vita il Maggiore Giovanni Randaccio. Non distante dal nucleo abitativo di San Giovanni di Duino è ubicata la grotta del Mitreo, scoperta nel 1964 dalla Società Alpina delle Giulie e dedicata al culto di origine indoiranica di Mithra, importato dalle legioni romane di ritorno dall’Oriente.

Strabone, ci narra di Diomede, re dell’Etolia, che reduce dalla guerra di Troia avrebbe fatto costruire un tempio a Nettuno, con annessi due boschetti sacri. Vi era venerato anche Saturno, come si evince da un mortarium in argilla recante la scritta “NVMEN SATVRNI”, rinvenuto in uno scavo presso la porta principale della basilica. Su questo primigenio luogo di culto dedicato a Diomede, nel IV/V secolo fu costruita una chiesa dedicata a S.Giovanni Battista, santo delle acque, con annesso cenobio poi distrutto dagli Avari nel 610-611, e ricostruito. La basilica fu più e più volte devastata durante le invasioni barbariche a partire dal 402: prima dai Visigoti di Alarico, poi dai Vandali di Ricimiero, da Attila re degli Unni, e qualche decennio dopo da Odoacre, re degli Eruli. Nel 752 Duino passò sotto la dominazione dei Longobardi e infine sotto i Franchi di Carlo Magno. Tra il 900 e il 973, per ben otto volte gli Ungari invasero questi territori, distruggendo nuovamente il cenobio nel 902. Venne ricostruito e ancora distrutto per opera di pirati turchi.

Nel 1085, il patriarca di Aquileia, Uldarico I di Eppenstein, donò la chiesa, allora nota come S.ti Johannis de Timavo, all’abate Giovanni di Beligna affinché venissero ripresi gli offici religiosi. Nel 1113, in una fossa collocata dietro l’altar maggiore del presbiterio, il menzionato abate avrebbe rinvenuto delle importanti reliquie, nascoste almeno cinquecento anni prima al fine di preservarle dalla profanazione barbarica. Dei contenitori in marmo di queste reliquie, uno soltanto è giunto a noi, custodito nella sagrestia della chiesa arcipretale di Monfalcone. Reca un carme epigrafico in latino.

Nel 1121, la basilica, allora chiamata S.Johannes de Chars, venne restaurata e ingrandita ad opera di Uldarico o Vodolrico, con tre absidi più profonde e la costruzione della fossa sull’asse di quello centrale, eseguita in seguito alla scoperta delle reliquie. La suddivisione in tre navate con copertura a volte dovrebbe risalire al XIII secolo. Nel 1362, la basilica venne ancora saccheggiata e bruciata.

Nel 1430 nella chiesa furono deposti i corpi di Giorgio de Reichenburg e di Martha degli Ungnad, consorte di Giovanni de Reichenburg, capitano dei Walsee a Duino.

Nel 1483 la basilica fu ampliata dai signori di Walsee, assumendo un aspetto abbastanza simile a quello attuale.

Nel 1642 Giovanni Filippo della Torre costruì la torre campanaria e suo figlio, conte Filippo Giacomo, fece erigere l’altar maggiore. Nel 1712 venne sepolto nella chiesa il conte Luigi Leopoldo della Torre.

Durante il conflitto 1915-1918, l’edificio venne a trovarsi sulla linea del fuoco e la chiesa fu quasi totalmente distrutta: crollò il campanile veneziano, il tetto, e il più dei muri perimetrali. Andarono perduti tutti gli affreschi. A quei tempi la basilica si presentava in stile barocco, con un grande altare su cui svettava una pala ottocentesca che ne ricopriva completamente la finestra centrale. Conteneva altri quattro altari, due alle pareti laterali e due di fronte all’ingresso – una galleria per l’organo era alloggiata sopra due colonne. Viene ricordata sovraccarica di lapidi, dipinti e lampade, tanto da riempire ogni spazio utile, nel più invadente stile barocco. Dovrà subire ancora lo scempio del tempo e i danni di un nuovo conflitto bellico prima che si intervenga al recupero di ciò che ne sarà rimasto. Un intervento iniziato nel 1949, per interessamento del generale Airey del GMA, con l’intento di riportare la basilica alle sue forme originali. Ristrutturazione che avrebbe fatto emergere importanti strutture murarie sepolte e indagate con maggiore attenzione nel 1961 dall’archeologo Mario Mirabella Roberti: un pavimento con motivi geometrici a ottagoni e quadrati, un’abside poligonale con tre lapidi votive dedicate alla Spes Augusta, risalenti alla metà del V secolo, una fossa medievale scoperta al centro del presbiterio in cui fu raccolto il deposito delle reliquie, e altre parti architettoniche riconducibili al XV secolo.

«Vi si è riconosciuta nell’insieme una basilica orientata, larga m 11 e lunga m 21 dal muro di facciata all’attacco dell’abside (misure interne); questa, poligonale all’esterno, è profonda m 3,40 e larga m 4,50. Mentre il muro meridionale della basilica è stato asportato, i resti del muro settentrionale erano ben conservati all’interno della chiesa odierna insieme con le strutture essenziali del presbiterio; questo è tuttora visibile, perché l’altare attuale, impostato su un pilastro di cemento armato, sporge dall’area di scavo che rimane così libera. » (Cuscito 1992)

Il restauro fu seguito dal soprintendente architetto Fausto Franco e si concluse il 3 novembre 1951. Altri elementi in marmo, di età alto-medievale, furono disposti ad arte all’interno dell’edificio. Le lapidi di fronte all’ingresso provengono da un antico cimitero rimosso nel 1915.

Nel 1990 la chiesa di S.Giovanni in Tuba ha subito ulteriori restauri. (g.c.)


BIBLIOGRAFIA
:

P. KANDLER, Della chiesa di S. Giovanni de Tuba od al Timavo, in «L’Istria» IV, 1849;

E. MARCON, L’abbazia di S. Giovanni di Tuba, in «La Panarie» 59, 1933;

M. MIRABELLA ROBERTI, La basilica paleocristiana di San Giovanni del Timavo, in «Studi monfalconesi e duinati» 1976;

G. CUSCITO, Le Chiese di Trieste. Trieste 1992;

F. ZUBINI, Chiesa di S.Giovanni in Tuba, in «Duino-Aurisina». Trieste 1994

San Giovanni di Duino : Chiesa di S. Giovanni in Tuba

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La Basilica di S. Giovanni in Tuba, in stile gotico, fu edificata nel XV secolo dai conti di Walsee, signori di Duino, in un’area che aveva già ospitato un tempio pagano di cui ci rimangono testimonianze epigrafiche, e sopra i resti di una basilica paleocristiana del V secolo d.C., della quale si conservano nel presbiterio della chiesa un pavimento a mosaico con elementi geometrici simili a quelli di Grado e Aquileia, e altri reperti a costituire un piccolo lapidario con calchi e iscrizioni.

La Basilica si trova a San Giovanni di Duino, località del comune di Duino-Aurisina nota anche per le risorgive del fiume Timavo. Nelle vicinanze, al di sopra della S.S. 14, è posto il monumento dedicato al 78º Reggimento fanteria “Lupi di Toscana”, a memoria delle valorose azioni militari condotte durante la Prima Guerra Mondiale, dalle pendici dell’Hermada fino alle foci del Timavo, dove nel maggio 1917 perse la vita il Maggiore Giovanni Randaccio. Non distante dal nucleo abitativo di San Giovanni di Duino è ubicata la grotta del Mitreo, scoperta nel 1964 dalla Società Alpina delle Giulie e dedicata al culto di origine indoiranica di Mithra, importato dalle legioni romane di ritorno dall’Oriente.

Strabone, ci narra di Diomede, re dell’Etolia, che reduce dalla guerra di Troia avrebbe fatto costruire un tempio a Nettuno, con annessi due boschetti sacri. Vi era venerato anche Saturno, come si evince da un mortarium in argilla recante la scritta “NVMEN SATVRNI”, rinvenuto in uno scavo presso la porta principale della basilica. Su questo primigenio luogo di culto dedicato a Diomede, nel IV/V secolo fu costruita una chiesa dedicata a S.Giovanni Battista, santo delle acque, con annesso cenobio poi distrutto dagli Avari nel 610-611, e ricostruito. La basilica fu più e più volte devastata durante le invasioni barbariche a partire dal 402: prima dai Visigoti di Alarico, poi dai Vandali di Ricimiero, da Attila re degli Unni, e qualche decennio dopo da Odoacre, re degli Eruli. Nel 752 Duino passò sotto la dominazione dei Longobardi e infine sotto i Franchi di Carlo Magno. Tra il 900 e il 973, per ben otto volte gli Ungari invasero questi territori, distruggendo nuovamente il cenobio nel 902. Venne ricostruito e ancora distrutto per opera di pirati turchi.

Nel 1085, il patriarca di Aquileia, Uldarico I di Eppenstein, donò la chiesa, allora nota come S.ti Johannis de Timavo, all’abate Giovanni di Beligna affinché venissero ripresi gli offici religiosi. Nel 1113, in una fossa collocata dietro l’altar maggiore del presbiterio, il menzionato abate avrebbe rinvenuto delle importanti reliquie, nascoste almeno cinquecento anni prima al fine di preservarle dalla profanazione barbarica. Dei contenitori in marmo di queste reliquie, uno soltanto è giunto a noi, custodito nella sagrestia della chiesa arcipretale di Monfalcone. Reca un carme epigrafico in latino.

Nel 1121, la basilica, allora chiamata S.Johannes de Chars, venne restaurata e ingrandita ad opera di Uldarico o Vodolrico, con tre absidi più profonde e la costruzione della fossa sull’asse di quello centrale, eseguita in seguito alla scoperta delle reliquie. La suddivisione in tre navate con copertura a volte dovrebbe risalire al XIII secolo. Nel 1362, la basilica venne ancora saccheggiata e bruciata.

Nel 1430 nella chiesa furono deposti i corpi di Giorgio de Reichenburg e di Martha degli Ungnad, consorte di Giovanni de Reichenburg, capitano dei Walsee a Duino.

Nel 1483 la basilica fu ampliata dai signori di Walsee, assumendo un aspetto abbastanza simile a quello attuale.

Nel 1642 Giovanni Filippo della Torre costruì la torre campanaria e suo figlio, conte Filippo Giacomo, fece erigere l’altar maggiore. Nel 1712 venne sepolto nella chiesa il conte Luigi Leopoldo della Torre.

Durante il conflitto 1915-1918, l’edificio venne a trovarsi sulla linea del fuoco e la chiesa fu quasi totalmente distrutta: crollò il campanile veneziano, il tetto, e il più dei muri perimetrali. Andarono perduti tutti gli affreschi. A quei tempi la basilica si presentava in stile barocco, con un grande altare su cui svettava una pala ottocentesca che ne ricopriva completamente la finestra centrale. Conteneva altri quattro altari, due alle pareti laterali e due di fronte all’ingresso – una galleria per l’organo era alloggiata sopra due colonne. Viene ricordata sovraccarica di lapidi, dipinti e lampade, tanto da riempire ogni spazio utile, nel più invadente stile barocco. Dovrà subire ancora lo scempio del tempo e i danni di un nuovo conflitto bellico prima che si intervenga al recupero di ciò che ne sarà rimasto. Un intervento iniziato nel 1949, per interessamento del generale Airey del GMA, con l’intento di riportare la basilica alle sue forme originali. Ristrutturazione che avrebbe fatto emergere importanti strutture murarie sepolte e indagate con maggiore attenzione nel 1961 dall’archeologo Mario Mirabella Roberti: un pavimento con motivi geometrici a ottagoni e quadrati, un’abside poligonale con tre lapidi votive dedicate alla Spes Augusta, risalenti alla metà del V secolo, una fossa medievale scoperta al centro del presbiterio in cui fu raccolto il deposito delle reliquie, e altre parti architettoniche riconducibili al XV secolo.

«Vi si è riconosciuta nell’insieme una basilica orientata, larga m 11 e lunga m 21 dal muro di facciata all’attacco dell’abside (misure interne); questa, poligonale all’esterno, è profonda m 3,40 e larga m 4,50. Mentre il muro meridionale della basilica è stato asportato, i resti del muro settentrionale erano ben conservati all’interno della chiesa odierna insieme con le strutture essenziali del presbiterio; questo è tuttora visibile, perché l’altare attuale, impostato su un pilastro di cemento armato, sporge dall’area di scavo che rimane così libera. » (Cuscito 1992)

Il restauro fu seguito dal soprintendente architetto Fausto Franco e si concluse il 3 novembre 1951. Altri elementi in marmo, di età alto-medievale, furono disposti ad arte all’interno dell’edificio. Le lapidi di fronte all’ingresso provengono da un antico cimitero rimosso nel 1915.

Nel 1990 la chiesa di S.Giovanni in Tuba ha subito ulteriori restauri. (g.c.)


BIBLIOGRAFIA
:

P. KANDLER, Della chiesa di S. Giovanni de Tuba od al Timavo, in «L’Istria» IV, 1849;

E. MARCON, L’abbazia di S. Giovanni di Tuba, in «La Panarie» 59, 1933;

M. MIRABELLA ROBERTI, La basilica paleocristiana di San Giovanni del Timavo, in «Studi monfalconesi e duinati» 1976;

G. CUSCITO, Le Chiese di Trieste. Trieste 1992;

F. ZUBINI, Chiesa di S.Giovanni in Tuba, in «Duino-Aurisina». Trieste 1994

San Giovanni di Duino : Chiesa di S. Giovanni in Tuba

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La Basilica di S. Giovanni in Tuba, in stile gotico, fu edificata nel XV secolo dai conti di Walsee, signori di Duino, in un’area che aveva già ospitato un tempio pagano di cui ci rimangono testimonianze epigrafiche, e sopra i resti di una basilica paleocristiana del V secolo d.C., della quale si conservano nel presbiterio della chiesa un pavimento a mosaico con elementi geometrici simili a quelli di Grado e Aquileia, e altri reperti a costituire un piccolo lapidario con calchi e iscrizioni.

La Basilica si trova a San Giovanni di Duino, località del comune di Duino-Aurisina nota anche per le risorgive del fiume Timavo. Nelle vicinanze, al di sopra della S.S. 14, è posto il monumento dedicato al 78º Reggimento fanteria “Lupi di Toscana”, a memoria delle valorose azioni militari condotte durante la Prima Guerra Mondiale, dalle pendici dell’Hermada fino alle foci del Timavo, dove nel maggio 1917 perse la vita il Maggiore Giovanni Randaccio. Non distante dal nucleo abitativo di San Giovanni di Duino è ubicata la grotta del Mitreo, scoperta nel 1964 dalla Società Alpina delle Giulie e dedicata al culto di origine indoiranica di Mithra, importato dalle legioni romane di ritorno dall’Oriente.

Strabone, ci narra di Diomede, re dell’Etolia, che reduce dalla guerra di Troia avrebbe fatto costruire un tempio a Nettuno, con annessi due boschetti sacri. Vi era venerato anche Saturno, come si evince da un mortarium in argilla recante la scritta “NVMEN SATVRNI”, rinvenuto in uno scavo presso la porta principale della basilica. Su questo primigenio luogo di culto dedicato a Diomede, nel IV/V secolo fu costruita una chiesa dedicata a S.Giovanni Battista, santo delle acque, con annesso cenobio poi distrutto dagli Avari nel 610-611, e ricostruito. La basilica fu più e più volte devastata durante le invasioni barbariche a partire dal 402: prima dai Visigoti di Alarico, poi dai Vandali di Ricimiero, da Attila re degli Unni, e qualche decennio dopo da Odoacre, re degli Eruli. Nel 752 Duino passò sotto la dominazione dei Longobardi e infine sotto i Franchi di Carlo Magno. Tra il 900 e il 973, per ben otto volte gli Ungari invasero questi territori, distruggendo nuovamente il cenobio nel 902. Venne ricostruito e ancora distrutto per opera di pirati turchi.

Nel 1085, il patriarca di Aquileia, Uldarico I di Eppenstein, donò la chiesa, allora nota come S.ti Johannis de Timavo, all’abate Giovanni di Beligna affinché venissero ripresi gli offici religiosi. Nel 1113, in una fossa collocata dietro l’altar maggiore del presbiterio, il menzionato abate avrebbe rinvenuto delle importanti reliquie, nascoste almeno cinquecento anni prima al fine di preservarle dalla profanazione barbarica. Dei contenitori in marmo di queste reliquie, uno soltanto è giunto a noi, custodito nella sagrestia della chiesa arcipretale di Monfalcone. Reca un carme epigrafico in latino.

Nel 1121, la basilica, allora chiamata S.Johannes de Chars, venne restaurata e ingrandita ad opera di Uldarico o Vodolrico, con tre absidi più profonde e la costruzione della fossa sull’asse di quello centrale, eseguita in seguito alla scoperta delle reliquie. La suddivisione in tre navate con copertura a volte dovrebbe risalire al XIII secolo. Nel 1362, la basilica venne ancora saccheggiata e bruciata.

Nel 1430 nella chiesa furono deposti i corpi di Giorgio de Reichenburg e di Martha degli Ungnad, consorte di Giovanni de Reichenburg, capitano dei Walsee a Duino.

Nel 1483 la basilica fu ampliata dai signori di Walsee, assumendo un aspetto abbastanza simile a quello attuale.

Nel 1642 Giovanni Filippo della Torre costruì la torre campanaria e suo figlio, conte Filippo Giacomo, fece erigere l’altar maggiore. Nel 1712 venne sepolto nella chiesa il conte Luigi Leopoldo della Torre.

Durante il conflitto 1915-1918, l’edificio venne a trovarsi sulla linea del fuoco e la chiesa fu quasi totalmente distrutta: crollò il campanile veneziano, il tetto, e il più dei muri perimetrali. Andarono perduti tutti gli affreschi. A quei tempi la basilica si presentava in stile barocco, con un grande altare su cui svettava una pala ottocentesca che ne ricopriva completamente la finestra centrale. Conteneva altri quattro altari, due alle pareti laterali e due di fronte all’ingresso – una galleria per l’organo era alloggiata sopra due colonne. Viene ricordata sovraccarica di lapidi, dipinti e lampade, tanto da riempire ogni spazio utile, nel più invadente stile barocco. Dovrà subire ancora lo scempio del tempo e i danni di un nuovo conflitto bellico prima che si intervenga al recupero di ciò che ne sarà rimasto. Un intervento iniziato nel 1949, per interessamento del generale Airey del GMA, con l’intento di riportare la basilica alle sue forme originali. Ristrutturazione che avrebbe fatto emergere importanti strutture murarie sepolte e indagate con maggiore attenzione nel 1961 dall’archeologo Mario Mirabella Roberti: un pavimento con motivi geometrici a ottagoni e quadrati, un’abside poligonale con tre lapidi votive dedicate alla Spes Augusta, risalenti alla metà del V secolo, una fossa medievale scoperta al centro del presbiterio in cui fu raccolto il deposito delle reliquie, e altre parti architettoniche riconducibili al XV secolo.

«Vi si è riconosciuta nell’insieme una basilica orientata, larga m 11 e lunga m 21 dal muro di facciata all’attacco dell’abside (misure interne); questa, poligonale all’esterno, è profonda m 3,40 e larga m 4,50. Mentre il muro meridionale della basilica è stato asportato, i resti del muro settentrionale erano ben conservati all’interno della chiesa odierna insieme con le strutture essenziali del presbiterio; questo è tuttora visibile, perché l’altare attuale, impostato su un pilastro di cemento armato, sporge dall’area di scavo che rimane così libera. » (Cuscito 1992)

Il restauro fu seguito dal soprintendente architetto Fausto Franco e si concluse il 3 novembre 1951. Altri elementi in marmo, di età alto-medievale, furono disposti ad arte all’interno dell’edificio. Le lapidi di fronte all’ingresso provengono da un antico cimitero rimosso nel 1915.

Nel 1990 la chiesa di S.Giovanni in Tuba ha subito ulteriori restauri. (g.c.)


BIBLIOGRAFIA
:

P. KANDLER, Della chiesa di S. Giovanni de Tuba od al Timavo, in «L’Istria» IV, 1849;

E. MARCON, L’abbazia di S. Giovanni di Tuba, in «La Panarie» 59, 1933;

M. MIRABELLA ROBERTI, La basilica paleocristiana di San Giovanni del Timavo, in «Studi monfalconesi e duinati» 1976;

G. CUSCITO, Le Chiese di Trieste. Trieste 1992;

F. ZUBINI, Chiesa di S.Giovanni in Tuba, in «Duino-Aurisina». Trieste 1994

San Giovanni di Duino : Basilica di S. Giovanni in Tuba

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La Basilica si trova a San Giovanni di Duino, località del comune di Duino-Aurisina nota anche per le risorgive del fiume Timavo. Nelle vicinanze, al di sopra della S.S. 14, è posto il monumento dedicato al 78º Reggimento fanteria “Lupi di Toscana”, a memoria delle valorose azioni militari condotte durante la Prima Guerra Mondiale, dalle pendici dell’Hermada fino alle foci del Timavo, dove nel maggio 1917 perse la vita il Maggiore Giovanni Randaccio. Non distante dal nucleo abitativo di San Giovanni di Duino è ubicata la grotta del Mitreo, scoperta nel 1964 dalla Società Alpina delle Giulie e dedicata al culto di origine indoiranica di Mithra, importato dalle legioni romane di ritorno dall’Oriente.

La Basilica di S. Giovanni in Tuba, in stile gotico, fu edificata nel XV secolo dai conti di Walsee, signori di Duino, in un’area che aveva già ospitato un tempio pagano di cui ci rimangono testimonianze epigrafiche, e sopra i resti di una basilica paleocristiana del V secolo d.C., della quale si conservano nel presbiterio della chiesa un pavimento a mosaico con elementi geometrici simili a quelli di Grado e Aquileia, e altri reperti a costituire un piccolo lapidario con calchi e iscrizioni.

Strabone, ci narra di Diomede, re dell’Etolia, che reduce dalla guerra di Troia avrebbe fatto costruire un tempio a Nettuno, con annessi due boschetti sacri. Vi era venerato anche Saturno, come si evince da un mortarium in argilla recante la scritta “NVMEN SATVRNI”, rinvenuto in uno scavo presso la porta principale della basilica. Su questo primigenio luogo di culto dedicato a Diomede, nel IV/V secolo fu costruita una chiesa dedicata a S.Giovanni Battista, santo delle acque, con annesso cenobio poi distrutto dagli Avari nel 610-611, e ricostruito. La basilica fu più e più volte devastata durante le invasioni barbariche a partire dal 402: prima dai Visigoti di Alarico, poi dai Vandali di Ricimiero, da Attila re degli Unni, e qualche decennio dopo da Odoacre, re degli Eruli. Nel 752 Duino passò sotto la dominazione dei Longobardi e infine sotto i Franchi di Carlo Magno. Tra il 900 e il 973, per ben otto volte gli Ungari invasero questi territori, distruggendo nuovamente il cenobio nel 902. Venne ricostruito e ancora distrutto per opera di pirati turchi.

Nel 1085, il patriarca di Aquileia, Uldarico I di Eppenstein, donò la chiesa, allora nota come S.ti Johannis de Timavo, all’abate Giovanni di Beligna affinché venissero ripresi gli offici religiosi. Nel 1113, in una fossa collocata dietro l’altar maggiore del presbiterio, il menzionato abate avrebbe rinvenuto delle importanti reliquie, nascoste almeno cinquecento anni prima al fine di preservarle dalla profanazione barbarica. Dei contenitori in marmo di queste reliquie, uno soltanto è giunto a noi, custodito nella sagrestia della chiesa arcipretale di Monfalcone. Reca un carme epigrafico in latino.

Nel 1121, la basilica, allora chiamata S.Johannes de Chars, venne restaurata e ingrandita ad opera di Uldarico o Vodolrico, con tre absidi più profonde e la costruzione della fossa sull’asse di quello centrale, eseguita in seguito alla scoperta delle reliquie. La suddivisione in tre navate con copertura a volte dovrebbe risalire al XIII secolo. Nel 1362, la basilica venne ancora saccheggiata e bruciata.

Nel 1430 nella chiesa furono deposti i corpi di Giorgio de Reichenburg e di Martha degli Ungnad, consorte di Giovanni de Reichenburg, capitano dei Walsee a Duino.

Nel 1483 la basilica fu ampliata dai signori di Walsee, assumendo un aspetto abbastanza simile a quello attuale.

Nel 1642 Giovanni Filippo della Torre costruì la torre campanaria e suo figlio, conte Filippo Giacomo, fece erigere l’altar maggiore. Nel 1712 venne sepolto nella chiesa il conte Luigi Leopoldo della Torre.

Durante il conflitto 1915-1918, l’edificio venne a trovarsi sulla linea del fuoco e la chiesa fu quasi totalmente distrutta: crollò il campanile veneziano, il tetto, e il più dei muri perimetrali. Andarono perduti tutti gli affreschi. A quei tempi la basilica si presentava in stile barocco, con un grande altare su cui svettava una pala ottocentesca che ne ricopriva completamente la finestra centrale. Conteneva altri quattro altari, due alle pareti laterali e due di fronte all’ingresso – una galleria per l’organo era alloggiata sopra due colonne. Viene ricordata sovraccarica di lapidi, dipinti e lampade, tanto da riempire ogni spazio utile, nel più invadente stile barocco. Dovrà subire ancora lo scempio del tempo e i danni di un nuovo conflitto bellico prima che si intervenga al recupero di ciò che ne sarà rimasto. Un intervento iniziato nel 1949, per interessamento del generale Airey del GMA, con l’intento di riportare la basilica alle sue forme originali. Ristrutturazione che avrebbe fatto emergere importanti strutture murarie sepolte e indagate con maggiore attenzione nel 1961 dall’archeologo Mario Mirabella Roberti: un pavimento con motivi geometrici a ottagoni e quadrati, un’abside poligonale con tre lapidi votive dedicate alla Spes Augusta, risalenti alla metà del V secolo, una fossa medievale scoperta al centro del presbiterio in cui fu raccolto il deposito delle reliquie, e altre parti architettoniche riconducibili al XV secolo.

«Vi si è riconosciuta nell’insieme una basilica orientata, larga m 11 e lunga m 21 dal muro di facciata all’attacco dell’abside (misure interne); questa, poligonale all’esterno, è profonda m 3,40 e larga m 4,50. Mentre il muro meridionale della basilica è stato asportato, i resti del muro settentrionale erano ben conservati all’interno della chiesa odierna insieme con le strutture essenziali del presbiterio; questo è tuttora visibile, perché l’altare attuale, impostato su un pilastro di cemento armato, sporge dall’area di scavo che rimane così libera. » (Cuscito 1992)

Il restauro fu seguito dal soprintendente architetto Fausto Franco e si concluse il 3 novembre 1951. Altri elementi in marmo, di età alto-medievale, furono disposti ad arte all’interno dell’edificio. Le lapidi di fronte all’ingresso provengono da un antico cimitero rimosso nel 1915.

Nel 1990 la chiesa di S.Giovanni in Tuba ha subito ulteriori restauri. (g.c.)


BIBLIOGRAFIA
:

P. KANDLER, Della chiesa di S. Giovanni de Tuba od al Timavo, in «L’Istria» IV, 1849;

E. MARCON, L’abbazia di S. Giovanni di Tuba, in «La Panarie» 59, 1933;

M. MIRABELLA ROBERTI, La basilica paleocristiana di San Giovanni del Timavo, in «Studi monfalconesi e duinati» 1976;

G. CUSCITO, Le Chiese di Trieste. Trieste 1992;

F. ZUBINI, Chiesa di S.Giovanni in Tuba, in «Duino-Aurisina». Trieste 1994

Trieste : chiesa di Santa Maria Maggiore

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Trieste: Santuario di Santa Maria Maggiore

La chiesa di Santa Maria Maggiore, chiamata popolarmente “dei Gesuiti” per ricordarne l‘origine, si trova nella città vecchia di Trieste, in via del Collegio — visibile e facilmente raggiungibile dall’ampia gradinata che parte da via del Teatro Romano. Tra le maggiori chiese di Trieste, il santuario rappresenta il più importante edificio del periodo barocco triestino.

La sua costruzione si deve ai padri gesuiti Giuseppe Mezler (tedesco boemo) e Gregorio Salateo (goriziano), che giunti a Trieste nel 1619, si adoperarono per stabilirvi l’Ordine della Compagnia di Gesù. Venne loro concesso l’uso della chiesa di S. Silvestro e l’esenzione del dazio. Grazie al sostegno del governo imperiale e di generose oblazioni, nel 1620 si prese in considerazione l’apertura di un Collegio scolastico, rivolto alla formazione della gioventù.
Un antico documento perduto, risalente al 1624, avrebbe fatto riferimento ad una donazione di 53.000 fiorini da parte del principe Giovanni Uldarico da Eggenberg, duca di Crumlau, destinata alla costruzione del Collegio e di un nuovo luogo di culto da erigersi sui terreni adiacenti la chiesa di S. Silvestro. Trieste allora contava poche migliaia di abitanti, ma essendo la città in rapida espansione si ritenne opportuna la costruzione di una chiesa dedicata alla Vergine Maria, costruzione che iniziò simbolicamente con la posa della prima pietra, solennemente posta dal vescovo Rinaldo Scarlicchio il 10 ottobre 1627. Dai pochi documenti esistenti non è stato possibile risalire con certezza agli autori della progettazione: viene citato quale prafectus fabricae (soprintendente, capocantiere), il gesuita modenese Giacomo Briani (1589-1649), ma non sappiamo se furono suoi anche i progetti.
Nonostante i lavori di costruzione si fossero protratti per decenni, quando venne consacrata dal vescovo Giacomo Ferdinando Gorizutti, l’11 ottobre 1682, la chiesa era ancora incompleta: la cupola e il tetto erano di legno, alcuni altari provvisori — mancavano la facciata e le decorazioni scultoree. Il mese successivo la consacrazione, precisamente il 20 novembre, un incendio causato da un torchio d’olio nel vicino Collegio dei Gesuiti, ne distrusse la cupola e parte del tetto. La Cupola verrà ricostruita soltanto nel 1817, e completamente diversa rispetto al progetto originario — sui pennacchi degli archi, il pittore Giuseppe Bernardino Bison vi dipingerà a tempera la raffigurazione dei quattro Evangelisti. Prima dello sventramento della Cittavecchia e la costruzione nel 1956 della nuova scalinata di accesso, la chiesa si trovava all’interno di un nucleo urbano densamente abitato. Sgombrata dalle case che le stavano di fronte, avrebbe mostrato la sua imponente facciata.

La facciata
Costruita dopo il 1690, seppur senza certezze, la facciata viene attribuita al padre gesuita Andrea Pozzo (1642-1709), pittore e architetto, a cui è ascrivibile anche il progetto del duomo di Lubiana. Sopra la porta centrale spicca un fregio con le lettere MRA (Maria Regina degli Angeli), contornata da due fasci di paraste triplici: sopra la porta, nella grata a mezzaluna in ferro battuto, si vede un piccolo martello gesuitico.
La facciata è tripartita da gruppi di lesene sormontate da capitelli di ordine ionico che sostengono un pesante cornicione che segna la linea di ripartizione orizzontale. Gli spazi compresi fra pilastri isolati e l’alto zoccolo, concedono ampio respiro alla vista dell’osservatore. Nella parte alta, si trovano pilastrini affiancati da finestrelle di forma circolare. Corona la facciata un timpano rientrante nella parte superiore. Sebbene il sagrato risulti di dimensioni contenute, ben si armonizza con la facciata.


L’interno della Chiesa

L’interno della chiesa, che presenta una pianta a croce latina, è diviso in tre navate da due file di pilastri binari d’ordine composito a sostegno delle volte a botte. La dilatazione del vano centrale e la compressione del transetto, con il minor sviluppo delle navate laterali, tipico dell’architettura gesuitica, danno l’idea di chiesa a navata unica. Una strategia liturgica, dove la convergenza dei fedeli in preghiera verso l’altare maggiore segue il modello della basilica di S. Pietro, già in uso nelle basiliche paleocristiane. La cupola ottagonale emisferica, posta all’incrocio della navata centrale e del transetto, come già accennato, venne realizzata nel 1816-1817 da Giovanni Righetti, modificandone il progetto iniziale.


La navata sinistra

 

Fonte battesimale
Nella prima campata si trova la Cappella del fonte battesimale, in marmo policromo, del XVIII-XIX secolo, su cui svetta la statuetta di Giovanni Battista; la vasca poggia su di un basamento poligonale ed è decorata da tre cherubini a tutto tondo. Il tabernacolo presenta tre portelle in ottone con raffigurazioni dell’Agnello mistico. La volta del soffitto, a crociera, è affrescata con scene del Nuovo Testamento (Gesù e S. Giovannino, S. Giovanni Battista, Battesimo di Gesù, Cristo in preghiera), eseguite nella prima metà del XIX secolo.
 
Altare dell’Angelo custode
Nella seconda campata s’incontra l’Altare dell’Angelo Custode (o dell’arcangelo Raffaele). Eretto verso il 1715, venne donato alla chiesa dalla famiglia triestina de Calò. Derivato da modelli veneti e dal barocchetto austriaco, presenta colonne di marmo mischio e due statue: San Giovanni Nepomuceno e Sant’Antonio con il Bambino Gesù, forse di scuola veneta. La pala d’altare, riconducile ai modi di Palma il Giovane,  rappresenta l’Angelo e Tobiolo.
 
In una nicchia vicina all’altare dell’Angelo Custode è stata realizzata nel 1926 la grotta della Madonna di Lourdes.
 
Due lapidi bronzee ricordano i caduti della seconda guerra mondiale.
 
Altare dedicato a Sant’Ignazio di Loyola
Nel transetto sinistro si trova l’altare dedicato a Sant’Ignazio di Loyola (m. 11 x 5,85 ca.), fatto erigere dalla famiglia Conti nel 1689. L’altare è decorato da specchiature di marmo mischio e doppie colonne, tra le quali sono inserite due statue di Angeli (arte veneta del XVII-XVIII secolo). Sopra la pala un angelo regge un globo dorato con monogramma IHS. Più in alto la simbolica figura della Fede entro festoni (attribuita ad Alvise Tagliapietra), circondata da putti e angeli. Sopra a tutto svetta un angelo che sorregge un velo con la scritta: Omnia ad maiorem Dei gloriam. La pala con l’Apparizione di Cristo a Sant’Ignazio è attribuita alla scuola di Giovanni Barbieri detto il Guercino (1591-1666) o forse a un pittore di area emiliana della seconda metà del XVII secolo.
 
Pulpito
Il pulpito venne costruito nel 1742. Si articola in specchiature concave e convesse decorate al centro da un motivo stemmato a volute di marmo bianco. Sono sorrette da una pigna a volute.
Il baldacchino è a forma poligonale curvilinea a linee spezzate in legno, sopra di esso sei volute sostengono la figura di un Angelo con monogramma IHS. Nel cielo azzurro del baldacchino la Colomba dello Spirito Santo con raggiera dorata.
 
Sagrestia
Nell’ampia sagrestia si trovano tre grandi armadi in legno di noce, risalenti al 1720 circa, due di questi presentano vari intarsi raffiguranti motivi geometrici, busti di santi gesuiti, vasi stilizzati e la Crocifissione fra San Giovanni e la Vergine Maria.
 
Cappella Feriale
Da un ingresso posto all’interno della Sagrestia si accede alla Cappella Feriale, realizzata nel 1983. Sulla parete di sinistra spiccano quattro vetrate policrome, realizzate dalla ditta Polli, che rappresentano i quattro momenti del Vangelo in cui è citata la presenza della Vergine Maria.
 
Cappella del Crocefisso
A sinistra dell’altare maggiore si trova l’altare dedicato al Crocefisso. Costruito fra il 1692 e il 1720 in marmo mischio, presenta colonne lisce e tortili in marmo nero. Sulla parte superiore dell’altare statue di Angeli, di cui quello al centro reca la Sacra Sindone, mentre al sommo lo stemma del donatore, vescovo Giovanni Francesco Müller. La cassa a sarcofago presenta uno zoccolo decorato. Al centro dell’altare è posta una nicchia con un crocefisso che sostituisce l’originale in avorio, dono del vescovo Müller, trafugato dalla chiesa nel 1983. Sopra la nicchia è posto un cartiglio con la scritta “Altare privilegiato della buona morte”. La portella del tabernacolo raffigura Cristo Crocefisso tra la Vergine e San Giovanni. Dietro al tabernacolo vi è un bassorilievo con le Anime del Purgatorio. La decorazione del soffitto a crociera risale al 1840-1850; sulle quattro vele sono dipinti angioletti recanti i simboli della Passione. Sul lato sinistro della cappella vi è la tela di Cristo nel sepolcro, opera del 1894 di Carlo Wostry.

 
Altare maggiore
L’altare maggiore, posto in mezzo all’arcone nel 1838, è dedicato all’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria. Realizzato fra il 1672 e il 1715-17, presenta il tabernacolo con volute sormontato dal ciborio sulla cui cupoletta poggia una statuetta di Cristo risorto. Ai lati del ciborio quattro statue di Santi gesuiti (S. Ignazio di Loyola, S. Francesco Saverio, S. Luigi Gonzaga e S. Francesco Borgia), e due Angeli in preghiera, probabile opera di scultura veneta fra XVII e XVIII secolo. L’attuale abside (che sostituisce la precedente rettangolare affrescata dal gesuita Antonio Werles nel 1753), presenta un grande affresco a tempera del 1840 con l’Apoteosi dell’Immacolata del pittore Sebastiano Santi (1789-1866).
 

La navata destra
 
 
 
Cappella della Madonna della Salute
La cappella a destra dell’altare maggiore è dedicata alla Madonna della Salute. L’altare, dono nel 1693 del vescovo Giovanni Francesco Müller, presenta il sarcofago e le colonne lisce e tortili in marmo nero, trabeazione a fronte spezzata, statue di angeli e fastigio con lo stemma del vescovo Müller. Il quadro della Vergine, dono nel 1841 di Domenico Rossetti, è attribuito a Giovanni Battista Salvi (1605-1685) detto il Sassoferrato o riconducibile alla sua scuola. La ricorrenza della Madonna della Salute trova la sua origine nell’epidemia di colera del 1849 e all’intercessione della Vergine. Il 21 novembre 1849, dopo una messa di ringraziamento presieduta dal vescovo Bartolomeo Legat, si tenne un’imponente processione. Questa riconoscenza si rinnova ogni anno il 21 novembre.
La Cappella della Madonna dei Fiori
Sotto il muraglione del Collegio gesuitico, all’ingresso del palazzo dell’INAIL, in via del Teatro Romano, dal 1957 è stata collocata per volere del vescovo Antonio Santin, la statua miracolosa della Madonna dei Fiori, all’origine della festa del 21 novembre. All’interno della Cappella ci sono anche due quadri del triestino Dino Predonzani, a memoria del ritrovamento del busto e della prima processione del 1849.

Altare dedicato a San Francesco Saverio
Nel transetto destro è collocato l’altare di San Francesco Saverio. Fatto erigere nel 1665-1670 per volere dalla contessa Beatrice Dornberg in ricordo del marito Nicolò Petazzi, si presenta con una struttura simile a quella dell’altare di Sant’Ignazio di Loyola: con doppie colonne sormontate da un frontone. Sulla mensa si trova un’urna reliquario in legno dorato (dell’Ottocento), contenente le spoglie del beato francescano Monaldo da Capodistria, morto nel 1278, proveniente dalla chiesa di Sant’Anna di Capodistria. Davanti all’altare vi è una cripta per la sepoltura dei defunti coperta da una grande lastra di marmo nero. Sopra l’altare è collocata la pala raffigurante la Gloria di San Francesco Saverio, attribuita ad un allievo di Luca Giordano (1632-1705) o a pittore di scuola veneta di fine Seicento.

Ai lati dell’altare sono collocate, su marmo nero, due memorie lapidarie con iscrizioni a ricordo dei donatori.

Altare della Madonna delle Grazie
L’altare dedicato alla Madonna delle Grazie venne eretto nel 1853 su disegno di Giuseppe Sforzi, dono del barone Pasquale Revoltella, in memoria della madre Domenica. Realizzato in marmo grigio a riquadrature in marmo rosso, presenta una nicchia semicircolare al cui centro è posta la statua della Beata Vergine col Bambino, opera dello scultore pordenonese Pietro Bearzi.

Altare dei Santi Martiri triestini
L’altare, costruito fra il 1697 e il 1719, donato dalla nobile famiglia triestina degli Argento, presenta l’antipendio con specchiature a bassorilievi, colonne che reggono un frontone spezzato con statue di Angeli, e le statue di Sant’Antonio e San Giuseppe col Bambino, di area veneta. La pala d’altare con Gloria dei santi Martiri raffigura i santi Giusto, Sergio, Servolo, Lazzaro, Apollinare, Eufemia, Tecla e Giustina.

La Via Crucis
Alle pareti delle navate le XIV tappe della Via Crucis, dipinte dal triestino Carlo Wostry (1865-1943).

I Sotterranei
Sotto la Chiesa di Santa Maria Maggiore si trovano dei misteriosi sotterranei che fin dal 1883, quando “Il Piccolo” del 16 dicembre gli dedicò un articolo, furono oggetto di grande interesse. Antonio Tribel ne scrisse nel 1885 e “Il Piccolo” li ripropose in vari articoli nel 1927 e nel 1930.  I sotterranei sono attualmente visitabili in tutta sicurezza grazie alle esplorazioni effettuate, dal 1983 al 1997, dalla Sezione di Speleologia Urbana della SAS. Sono stati suddivisi in: la Cripta del Petazzi; la Torre del Silenzio; il Pozzo delle Anime; la Galleria del Gatto; la Camera di drenaggio del Collegio dei Gesuiti.

L’Organo
Sopra l’entrata principale, nel coro, nel 1808 venne installato l’organo del veneziano Gaetano Callido, con interventi successivi di Pietro Antonio Bassi. Ulteriori migliorie vennero apportate all’organo dal parroco don Giuseppe Millanich. Nel 1918 le canne di stagno dell’organo furono requisite dalle autorità militari rendendolo inservibile: venne ricostruito nel 1926 dalla ditta Zanin di Udine.

(g.c.)


BIBLIOGRAFIA :

KANDLER, Per innalzamento di altare e statua in onore della Beata Vergine Madre delle Grazie nella chiesa di Santa Maria Maggiore. Trieste 1853;
E. GENERINI, Trieste antica e moderna. Trieste 1884;

A. MORASSI, G.B. Bison e il suo soggiorno a Trieste, in «Archeografo Triestino», ser. III, XVI (1930-31);

M. WALCHER CASOTTI, S. Maria Maggiore di Trieste. Trieste 1956;

G. CUSCITO, Le Chiese di Trieste. Trieste, 1992.

SITOGRAFIA:
http://www.santuariosantamariamaggiore.it/

Trieste : Chiesa di Santa Maria Maggiore

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Trieste: Santuario di Santa Maria Maggiore

La chiesa di Santa Maria Maggiore, chiamata popolarmente “dei Gesuiti” per ricordarne l‘origine, si trova nella città vecchia di Trieste, in via del Collegio — visibile e facilmente raggiungibile dall’ampia gradinata che parte da via del Teatro Romano. Tra le maggiori chiese di Trieste, il santuario rappresenta il più importante edificio del periodo barocco triestino.

La sua costruzione si deve ai padri gesuiti Giuseppe Mezler (tedesco boemo) e Gregorio Salateo (goriziano), che giunti a Trieste nel 1619, si adoperarono per stabilirvi l’Ordine della Compagnia di Gesù. Venne loro concesso l’uso della chiesa di S. Silvestro e l’esenzione del dazio. Grazie al sostegno del governo imperiale e di generose oblazioni, nel 1620 si prese in considerazione l’apertura di un Collegio scolastico, rivolto alla formazione della gioventù.
Un antico documento perduto, risalente al 1624, avrebbe fatto riferimento ad una donazione di 53.000 fiorini da parte del principe Giovanni Uldarico da Eggenberg, duca di Crumlau, destinata alla costruzione del Collegio e di un nuovo luogo di culto da erigersi sui terreni adiacenti la chiesa di S. Silvestro. Trieste allora contava poche migliaia di abitanti, ma essendo la città in rapida espansione si ritenne opportuna la costruzione di una chiesa dedicata alla Vergine Maria, costruzione che iniziò simbolicamente con la posa della prima pietra, solennemente posta dal vescovo Rinaldo Scarlicchio il 10 ottobre 1627. Dai pochi documenti esistenti non è stato possibile risalire con certezza agli autori della progettazione: viene citato quale prafectus fabricae (soprintendente, capocantiere), il gesuita modenese Giacomo Briani (1589-1649), ma non sappiamo se furono suoi anche i progetti.
Nonostante i lavori di costruzione si fossero protratti per decenni, quando venne consacrata dal vescovo Giacomo Ferdinando Gorizutti, l’11 ottobre 1682, la chiesa era ancora incompleta: la cupola e il tetto erano di legno, alcuni altari provvisori — mancavano la facciata e le decorazioni scultoree. Il mese successivo la consacrazione, precisamente il 20 novembre, un incendio causato da un torchio d’olio nel vicino Collegio dei Gesuiti, ne distrusse la cupola e parte del tetto. La Cupola verrà ricostruita soltanto nel 1817, e completamente diversa rispetto al progetto originario — sui pennacchi degli archi, il pittore Giuseppe Bernardino Bison vi dipingerà a tempera la raffigurazione dei quattro Evangelisti. Prima dello sventramento della Cittavecchia e la costruzione nel 1956 della nuova scalinata di accesso, la chiesa si trovava all’interno di un nucleo urbano densamente abitato. Sgombrata dalle case che le stavano di fronte, avrebbe mostrato la sua imponente facciata.

La facciata
Costruita dopo il 1690, seppur senza certezze, la facciata viene attribuita al padre gesuita Andrea Pozzo (1642-1709), pittore e architetto, a cui è ascrivibile anche il progetto del duomo di Lubiana. Sopra la porta centrale spicca un fregio con le lettere MRA (Maria Regina degli Angeli), contornata da due fasci di paraste triplici: sopra la porta, nella grata a mezzaluna in ferro battuto, si vede un piccolo martello gesuitico.
La facciata è tripartita da gruppi di lesene sormontate da capitelli di ordine ionico che sostengono un pesante cornicione che segna la linea di ripartizione orizzontale. Gli spazi compresi fra pilastri isolati e l’alto zoccolo, concedono ampio respiro alla vista dell’osservatore. Nella parte alta, si trovano pilastrini affiancati da finestrelle di forma circolare. Corona la facciata un timpano rientrante nella parte superiore. Sebbene il sagrato risulti di dimensioni contenute, ben si armonizza con la facciata.


L’interno della Chiesa

L’interno della chiesa, che presenta una pianta a croce latina, è diviso in tre navate da due file di pilastri binari d’ordine composito a sostegno delle volte a botte. La dilatazione del vano centrale e la compressione del transetto, con il minor sviluppo delle navate laterali, tipico dell’architettura gesuitica, danno l’idea di chiesa a navata unica. Una strategia liturgica, dove la convergenza dei fedeli in preghiera verso l’altare maggiore segue il modello della basilica di S. Pietro, già in uso nelle basiliche paleocristiane. La cupola ottagonale emisferica, posta all’incrocio della navata centrale e del transetto, come già accennato, venne realizzata nel 1816-1817 da Giovanni Righetti, modificandone il progetto iniziale.


La navata sinistra

 

Fonte battesimale
Nella prima campata si trova la Cappella del fonte battesimale, in marmo policromo, del XVIII-XIX secolo, su cui svetta la statuetta di Giovanni Battista; la vasca poggia su di un basamento poligonale ed è decorata da tre cherubini a tutto tondo. Il tabernacolo presenta tre portelle in ottone con raffigurazioni dell’Agnello mistico. La volta del soffitto, a crociera, è affrescata con scene del Nuovo Testamento (Gesù e S. Giovannino, S. Giovanni Battista, Battesimo di Gesù, Cristo in preghiera), eseguite nella prima metà del XIX secolo.
 
Altare dell’Angelo custode
Nella seconda campata s’incontra l’Altare dell’Angelo Custode (o dell’arcangelo Raffaele). Eretto verso il 1715, venne donato alla chiesa dalla famiglia triestina de Calò. Derivato da modelli veneti e dal barocchetto austriaco, presenta colonne di marmo mischio e due statue: San Giovanni Nepomuceno e Sant’Antonio con il Bambino Gesù, forse di scuola veneta. La pala d’altare, riconducile ai modi di Palma il Giovane,  rappresenta l’Angelo e Tobiolo.
 
In una nicchia vicina all’altare dell’Angelo Custode è stata realizzata nel 1926 la grotta della Madonna di Lourdes.
 
Due lapidi bronzee ricordano i caduti della seconda guerra mondiale.
 
Altare dedicato a Sant’Ignazio di Loyola
Nel transetto sinistro si trova l’altare dedicato a Sant’Ignazio di Loyola (m. 11 x 5,85 ca.), fatto erigere dalla famiglia Conti nel 1689. L’altare è decorato da specchiature di marmo mischio e doppie colonne, tra le quali sono inserite due statue di Angeli (arte veneta del XVII-XVIII secolo). Sopra la pala un angelo regge un globo dorato con monogramma IHS. Più in alto la simbolica figura della Fede entro festoni (attribuita ad Alvise Tagliapietra), circondata da putti e angeli. Sopra a tutto svetta un angelo che sorregge un velo con la scritta: Omnia ad maiorem Dei gloriam. La pala con l’Apparizione di Cristo a Sant’Ignazio è attribuita alla scuola di Giovanni Barbieri detto il Guercino (1591-1666) o forse a un pittore di area emiliana della seconda metà del XVII secolo.
 
Pulpito
Il pulpito venne costruito nel 1742. Si articola in specchiature concave e convesse decorate al centro da un motivo stemmato a volute di marmo bianco. Sono sorrette da una pigna a volute.
Il baldacchino è a forma poligonale curvilinea a linee spezzate in legno, sopra di esso sei volute sostengono la figura di un Angelo con monogramma IHS. Nel cielo azzurro del baldacchino la Colomba dello Spirito Santo con raggiera dorata.
 
Sagrestia
Nell’ampia sagrestia si trovano tre grandi armadi in legno di noce, risalenti al 1720 circa, due di questi presentano vari intarsi raffiguranti motivi geometrici, busti di santi gesuiti, vasi stilizzati e la Crocifissione fra San Giovanni e la Vergine Maria.
 
Cappella Feriale
Da un ingresso posto all’interno della Sagrestia si accede alla Cappella Feriale, realizzata nel 1983. Sulla parete di sinistra spiccano quattro vetrate policrome, realizzate dalla ditta Polli, che rappresentano i quattro momenti del Vangelo in cui è citata la presenza della Vergine Maria.
 
Cappella del Crocefisso
A sinistra dell’altare maggiore si trova l’altare dedicato al Crocefisso. Costruito fra il 1692 e il 1720 in marmo mischio, presenta colonne lisce e tortili in marmo nero. Sulla parte superiore dell’altare statue di Angeli, di cui quello al centro reca la Sacra Sindone, mentre al sommo lo stemma del donatore, vescovo Giovanni Francesco Müller. La cassa a sarcofago presenta uno zoccolo decorato. Al centro dell’altare è posta una nicchia con un crocefisso che sostituisce l’originale in avorio, dono del vescovo Müller, trafugato dalla chiesa nel 1983. Sopra la nicchia è posto un cartiglio con la scritta “Altare privilegiato della buona morte”. La portella del tabernacolo raffigura Cristo Crocefisso tra la Vergine e San Giovanni. Dietro al tabernacolo vi è un bassorilievo con le Anime del Purgatorio. La decorazione del soffitto a crociera risale al 1840-1850; sulle quattro vele sono dipinti angioletti recanti i simboli della Passione. Sul lato sinistro della cappella vi è la tela di Cristo nel sepolcro, opera del 1894 di Carlo Wostry.

 
Altare maggiore
L’altare maggiore, posto in mezzo all’arcone nel 1838, è dedicato all’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria. Realizzato fra il 1672 e il 1715-17, presenta il tabernacolo con volute sormontato dal ciborio sulla cui cupoletta poggia una statuetta di Cristo risorto. Ai lati del ciborio quattro statue di Santi gesuiti (S. Ignazio di Loyola, S. Francesco Saverio, S. Luigi Gonzaga e S. Francesco Borgia), e due Angeli in preghiera, probabile opera di scultura veneta fra XVII e XVIII secolo. L’attuale abside (che sostituisce la precedente rettangolare affrescata dal gesuita Antonio Werles nel 1753), presenta un grande affresco a tempera del 1840 con l’Apoteosi dell’Immacolata del pittore Sebastiano Santi (1789-1866).
 

La navata destra
 
 
 
Cappella della Madonna della Salute
La cappella a destra dell’altare maggiore è dedicata alla Madonna della Salute. L’altare, dono nel 1693 del vescovo Giovanni Francesco Müller, presenta il sarcofago e le colonne lisce e tortili in marmo nero, trabeazione a fronte spezzata, statue di angeli e fastigio con lo stemma del vescovo Müller. Il quadro della Vergine, dono nel 1841 di Domenico Rossetti, è attribuito a Giovanni Battista Salvi (1605-1685) detto il Sassoferrato o riconducibile alla sua scuola. La ricorrenza della Madonna della Salute trova la sua origine nell’epidemia di colera del 1849 e all’intercessione della Vergine. Il 21 novembre 1849, dopo una messa di ringraziamento presieduta dal vescovo Bartolomeo Legat, si tenne un’imponente processione. Questa riconoscenza si rinnova ogni anno il 21 novembre.
La Cappella della Madonna dei Fiori
Sotto il muraglione del Collegio gesuitico, all’ingresso del palazzo dell’INAIL, in via del Teatro Romano, dal 1957 è stata collocata per volere del vescovo Antonio Santin, la statua miracolosa della Madonna dei Fiori, all’origine della festa del 21 novembre. All’interno della Cappella ci sono anche due quadri del triestino Dino Predonzani, a memoria del ritrovamento del busto e della prima processione del 1849.

Altare dedicato a San Francesco Saverio
Nel transetto destro è collocato l’altare di San Francesco Saverio. Fatto erigere nel 1665-1670 per volere dalla contessa Beatrice Dornberg in ricordo del marito Nicolò Petazzi, si presenta con una struttura simile a quella dell’altare di Sant’Ignazio di Loyola: con doppie colonne sormontate da un frontone. Sulla mensa si trova un’urna reliquario in legno dorato (dell’Ottocento), contenente le spoglie del beato francescano Monaldo da Capodistria, morto nel 1278, proveniente dalla chiesa di Sant’Anna di Capodistria. Davanti all’altare vi è una cripta per la sepoltura dei defunti coperta da una grande lastra di marmo nero. Sopra l’altare è collocata la pala raffigurante la Gloria di San Francesco Saverio, attribuita ad un allievo di Luca Giordano (1632-1705) o a pittore di scuola veneta di fine Seicento.

Ai lati dell’altare sono collocate, su marmo nero, due memorie lapidarie con iscrizioni a ricordo dei donatori.

Altare della Madonna delle Grazie
L’altare dedicato alla Madonna delle Grazie venne eretto nel 1853 su disegno di Giuseppe Sforzi, dono del barone Pasquale Revoltella, in memoria della madre Domenica. Realizzato in marmo grigio a riquadrature in marmo rosso, presenta una nicchia semicircolare al cui centro è posta la statua della Beata Vergine col Bambino, opera dello scultore pordenonese Pietro Bearzi.

Altare dei Santi Martiri triestini
L’altare, costruito fra il 1697 e il 1719, donato dalla nobile famiglia triestina degli Argento, presenta l’antipendio con specchiature a bassorilievi, colonne che reggono un frontone spezzato con statue di Angeli, e le statue di Sant’Antonio e San Giuseppe col Bambino, di area veneta. La pala d’altare con Gloria dei santi Martiri raffigura i santi Giusto, Sergio, Servolo, Lazzaro, Apollinare, Eufemia, Tecla e Giustina.

La Via Crucis
Alle pareti delle navate le XIV tappe della Via Crucis, dipinte dal triestino Carlo Wostry (1865-1943).

I Sotterranei
Sotto la Chiesa di Santa Maria Maggiore si trovano dei misteriosi sotterranei che fin dal 1883, quando “Il Piccolo” del 16 dicembre gli dedicò un articolo, furono oggetto di grande interesse. Antonio Tribel ne scrisse nel 1885 e “Il Piccolo” li ripropose in vari articoli nel 1927 e nel 1930.  I sotterranei sono attualmente visitabili in tutta sicurezza grazie alle esplorazioni effettuate, dal 1983 al 1997, dalla Sezione di Speleologia Urbana della SAS. Sono stati suddivisi in: la Cripta del Petazzi; la Torre del Silenzio; il Pozzo delle Anime; la Galleria del Gatto; la Camera di drenaggio del Collegio dei Gesuiti.

L’Organo
Sopra l’entrata principale, nel coro, nel 1808 venne installato l’organo del veneziano Gaetano Callido, con interventi successivi di Pietro Antonio Bassi. Ulteriori migliorie vennero apportate all’organo dal parroco don Giuseppe Millanich. Nel 1918 le canne di stagno dell’organo furono requisite dalle autorità militari rendendolo inservibile: venne ricostruito nel 1926 dalla ditta Zanin di Udine.

(g.c.)


BIBLIOGRAFIA :

KANDLER, Per innalzamento di altare e statua in onore della Beata Vergine Madre delle Grazie nella chiesa di Santa Maria Maggiore. Trieste 1853;
E. GENERINI, Trieste antica e moderna. Trieste 1884;

A. MORASSI, G.B. Bison e il suo soggiorno a Trieste, in «Archeografo Triestino», ser. III, XVI (1930-31);

M. WALCHER CASOTTI, S. Maria Maggiore di Trieste. Trieste 1956;

G. CUSCITO, Le Chiese di Trieste. Trieste, 1992.

SITOGRAFIA:
http://www.santuariosantamariamaggiore.it/

Trieste – San Giovanni Decollato, stazioni o tappe della Via Crucis: XII-XIII-XIV

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Trieste - San Giovanni Decollato, stazioni o tappe della Via Crucis, opera del pittore Giovanni Luigi Rose (1858)
XII Gesù muore in croce
XIII Gesù è deposto dalla croce
XIV Gesù è deposto nel sepolcro

La chiesa venne costruita a partire dall’anno 1856 su progetto dell’architetto Giuseppe Sforzi  e venne consacrata dal vescovo Bartolomeo Legat il 27 giugno 1858. Nel 1859 fu istituita a vicariato parrocchiale; nel 1864 venne elevata a parrocchia.

Resasi la vecchia chiesetta dei SS. Giovanni e Pelagio insufficiente alla popolazione di S. Giovanni, nel 1852 venne sottoposta al Magistrato civico la richiesta di ampliare la stessa o in alternativa di costruirne una nuova. L’allora Podestà di Trieste, Muzio de Tommasini, era favorevole alla costruzione di nuove chiese a Trieste (diede parere favorevole anche alla costruzione di quella di S. Giacomo e di Roiano). L’8 febbraio si optò per la realizzazione di un nuovo edificio a spese del Comune e la concessione del terreno. Il 29 giugno 1856 vennero iniziati i lavori di costruzione.

Dedicata a San Giovanni Decollato (cioè al Battista), porta l’iscrizione latina sulla lunetta del portale:

TEMPLUM / IOANNI / DECOLLATO / VARDULENSIUM / PATRONO / SACRUM TERGESTINORUM / PIETATE / EXCITATUM BARTHOLOMAEUS / EPPUS / TERGESTIN / IUSTINOP /  DEDICAVIT / ATQUE / CONSECRAVIT / DIE / XXVII / IUNII / MDCCCLVIII.

L’edificio è stato progettato dall’architetto Sforzi e si presenta a pianta a croce latina ad unica navata, con due bracci laterali e con abside pentagonale. Il campanile è a base quadrata addossato all’estremo lato dell’abside. L’altare maggiore, disegnato dallo Sforzi nel 1857, è costituito da una mensa con tabernacolo, decorata a motivi geometrici con marmi policromi; i due altari laterali sono stati progettati ed eseguiti dallo scalpellino Antonio Trobec nel 1873. Sopra l’altare maggiore si trova la pala raffigurante S. Giovanni in attesa del martirio, opera del pittore viennese Edoardo Heinrich, siglato e datato 1858; ai lati dell’altare due statue devozionali in stucco policromo (del 1902), ritenute i Santi Cirillo e Metodio, realizzate da Fr. Ks. Tončić.

Lungo le pareti troviamo quattordici stazioni della Via Crucis (1858) dipinte dal pittore Giovanni Luigi Rose (che nel 1856 aveva già eseguito la Via Crucis per S. Giacomo); sui due altari laterali le pale della Beata Vergine del Rosario e di San Giuseppe, attribuite sempre al Rose, con l’aiuto del figlio Antonio.

Sulla parete destra, presso l’entrata, si trova il quadro dell’Assunta, produzione barocca ispirata alla celebre pala del Tiziano, donata da un privato; sulla parete di fronte è collocata la pala con la Madonna fra i santi Giovanni e Pelagio, dipinta dal Rose nel 1853 (firmata e datata), eseguita per l’antica chiesetta dei SS. Giovanni e Pelagio e in seguito trasferita nella nuova parrocchiale.

L’organo originale, proveniva da S. Giusto ed era stato costruito nel 1780 da Francesco Dazzi o Dacci. Diviso a metà (l’altra metà finì nel 1862 nella chiesa di Roiano), venne collocato nella chiesa di san Giovanni nel 1860. Venne sostituito nel 1953 da uno realizzato da Elli Zanin di Codroipo.

Nel 1932 sono stati effettuati dei lavori di restauro e di decorazione esterna con il concorso della Soprintendenza.

(g.c.)

Trieste – San Giovanni Decollato, stazioni o tappe della Via Crucis: IX – X – XI

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Trieste - San Giovanni Decollato, stazioni o tappe della Via Crucis, opera del pittore Giovanni Luigi Rose (1858)
IX: Gesù cade per la terza volta
X: Gesù è spogliato delle vesti
XI: Gesù è inchiodato sulla croce

La chiesa venne costruita a partire dall’anno 1856 su progetto dell’architetto Giuseppe Sforzi  e venne consacrata dal vescovo Bartolomeo Legat il 27 giugno 1858. Nel 1859 fu istituita a vicariato parrocchiale; nel 1864 venne elevata a parrocchia.

Resasi la vecchia chiesetta dei SS. Giovanni e Pelagio insufficiente alla popolazione di S. Giovanni, nel 1852 venne sottoposta al Magistrato civico la richiesta di ampliare la stessa o in alternativa di costruirne una nuova. L’allora Podestà di Trieste, Muzio de Tommasini, era favorevole alla costruzione di nuove chiese a Trieste (diede parere favorevole anche alla costruzione di quella di S. Giacomo e di Roiano). L’8 febbraio si optò per la realizzazione di un nuovo edificio a spese del Comune e la concessione del terreno. Il 29 giugno 1856 vennero iniziati i lavori di costruzione.

Dedicata a San Giovanni Decollato (cioè al Battista), porta l’iscrizione latina sulla lunetta del portale:

TEMPLUM / IOANNI / DECOLLATO / VARDULENSIUM / PATRONO / SACRUM TERGESTINORUM / PIETATE / EXCITATUM BARTHOLOMAEUS / EPPUS / TERGESTIN / IUSTINOP /  DEDICAVIT / ATQUE / CONSECRAVIT / DIE / XXVII / IUNII / MDCCCLVIII.

L’edificio è stato progettato dall’architetto Sforzi e si presenta a pianta a croce latina ad unica navata, con due bracci laterali e con abside pentagonale. Il campanile è a base quadrata addossato all’estremo lato dell’abside. L’altare maggiore, disegnato dallo Sforzi nel 1857, è costituito da una mensa con tabernacolo, decorata a motivi geometrici con marmi policromi; i due altari laterali sono stati progettati ed eseguiti dallo scalpellino Antonio Trobec nel 1873. Sopra l’altare maggiore si trova la pala raffigurante S. Giovanni in attesa del martirio, opera del pittore viennese Edoardo Heinrich, siglato e datato 1858; ai lati dell’altare due statue devozionali in stucco policromo (del 1902), ritenute i Santi Cirillo e Metodio, realizzate da Fr. Ks. Tončić.

Lungo le pareti troviamo quattordici stazioni della Via Crucis (1858) dipinte dal pittore Giovanni Luigi Rose (che nel 1856 aveva già eseguito la Via Crucis per S. Giacomo); sui due altari laterali le pale della Beata Vergine del Rosario e di San Giuseppe, attribuite sempre al Rose, con l’aiuto del figlio Antonio.

Sulla parete destra, presso l’entrata, si trova il quadro dell’Assunta, produzione barocca ispirata alla celebre pala del Tiziano, donata da un privato; sulla parete di fronte è collocata la pala con la Madonna fra i santi Giovanni e Pelagio, dipinta dal Rose nel 1853 (firmata e datata), eseguita per l’antica chiesetta dei SS. Giovanni e Pelagio e in seguito trasferita nella nuova parrocchiale.

L’organo originale, proveniva da S. Giusto ed era stato costruito nel 1780 da Francesco Dazzi o Dacci. Diviso a metà (l’altra metà finì nel 1862 nella chiesa di Roiano), venne collocato nella chiesa di san Giovanni nel 1860. Venne sostituito nel 1953 da uno realizzato da Elli Zanin di Codroipo.

Nel 1932 sono stati effettuati dei lavori di restauro e di decorazione esterna con il concorso della Soprintendenza.

(g.c.)

Trieste – San Giovanni Decollato, stazioni o tappe della Via Crucis: VI – VII – VIII

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Trieste - San Giovanni Decollato, stazioni o tappe della Via Crucis, opera del pittore Giovanni Luigi Rose (1858)
VI: Santa Veronica asciuga il volto di Gesù,
VII: Gesù cade per la seconda volta,
VIII: Gesù ammonisce le donne di Gerusalemme

La chiesa venne costruita a partire dall’anno 1856 su progetto dell’architetto Giuseppe Sforzi  e venne consacrata dal vescovo Bartolomeo Legat il 27 giugno 1858. Nel 1859 fu istituita a vicariato parrocchiale; nel 1864 venne elevata a parrocchia.

Resasi la vecchia chiesetta dei SS. Giovanni e Pelagio insufficiente alla popolazione di S. Giovanni, nel 1852 venne sottoposta al Magistrato civico la richiesta di ampliare la stessa o in alternativa di costruirne una nuova. L’allora Podestà di Trieste, Muzio de Tommasini, era favorevole alla costruzione di nuove chiese a Trieste (diede parere favorevole anche alla costruzione di quella di S. Giacomo e di Roiano). L’8 febbraio si optò per la realizzazione di un nuovo edificio a spese del Comune e la concessione del terreno. Il 29 giugno 1856 vennero iniziati i lavori di costruzione.

Dedicata a San Giovanni Decollato (cioè al Battista), porta l’iscrizione latina sulla lunetta del portale:

TEMPLUM / IOANNI / DECOLLATO / VARDULENSIUM / PATRONO / SACRUM TERGESTINORUM / PIETATE / EXCITATUM BARTHOLOMAEUS / EPPUS / TERGESTIN / IUSTINOP /  DEDICAVIT / ATQUE / CONSECRAVIT / DIE / XXVII / IUNII / MDCCCLVIII.

L’edificio è stato progettato dall’architetto Sforzi e si presenta a pianta a croce latina ad unica navata, con due bracci laterali e con abside pentagonale. Il campanile è a base quadrata addossato all’estremo lato dell’abside. L’altare maggiore, disegnato dallo Sforzi nel 1857, è costituito da una mensa con tabernacolo, decorata a motivi geometrici con marmi policromi; i due altari laterali sono stati progettati ed eseguiti dallo scalpellino Antonio Trobec nel 1873. Sopra l’altare maggiore si trova la pala raffigurante S. Giovanni in attesa del martirio, opera del pittore viennese Edoardo Heinrich, siglato e datato 1858; ai lati dell’altare due statue devozionali in stucco policromo (del 1902), ritenute i Santi Cirillo e Metodio, realizzate da Fr. Ks. Tončić.

Lungo le pareti troviamo quattordici stazioni della Via Crucis (1858) dipinte dal pittore Giovanni Luigi Rose (che nel 1856 aveva già eseguito la Via Crucis per S. Giacomo); sui due altari laterali le pale della Beata Vergine del Rosario e di San Giuseppe, attribuite sempre al Rose, con l’aiuto del figlio Antonio.

Sulla parete destra, presso l’entrata, si trova il quadro dell’Assunta, produzione barocca ispirata alla celebre pala del Tiziano, donata da un privato; sulla parete di fronte è collocata la pala con la Madonna fra i santi Giovanni e Pelagio, dipinta dal Rose nel 1853 (firmata e datata), eseguita per l’antica chiesetta dei SS. Giovanni e Pelagio e in seguito trasferita nella nuova parrocchiale.

L’organo originale, proveniva da S. Giusto ed era stato costruito nel 1780 da Francesco Dazzi o Dacci. Diviso a metà (l’altra metà finì nel 1862 nella chiesa di Roiano), venne collocato nella chiesa di san Giovanni nel 1860. Venne sostituito nel 1953 da uno realizzato da Elli Zanin di Codroipo.

Nel 1932 sono stati effettuati dei lavori di restauro e di decorazione esterna con il concorso della Soprintendenza.

(g.c.)

San Giovanni Decollato, stazioni o tappe della Via Crucis: III-IV-V

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Trieste - San Giovanni Decollato, stazioni o tappe della Via Crucis, opera del pittore Giovanni Luigi Rose (1858) 
III: Gesù incontra sua Madre,
IV: Gesù è aiutato a portare la croce da Simone di Cirene,
V: Santa Veronica asciuga il volto di Gesù

La chiesa venne costruita a partire dall’anno 1856 su progetto dell’architetto Giuseppe Sforzi  e venne consacrata dal vescovo Bartolomeo Legat il 27 giugno 1858. Nel 1859 fu istituita a vicariato parrocchiale; nel 1864 venne elevata a parrocchia.

Resasi la vecchia chiesetta dei SS. Giovanni e Pelagio insufficiente alla popolazione di S. Giovanni, nel 1852 venne sottoposta al Magistrato civico la richiesta di ampliare la stessa o in alternativa di costruirne una nuova. L’allora Podestà di Trieste, Muzio de Tommasini, era favorevole alla costruzione di nuove chiese a Trieste (diede parere favorevole anche alla costruzione di quella di S. Giacomo e di Roiano). L’8 febbraio si optò per la realizzazione di un nuovo edificio a spese del Comune e la concessione del terreno. Il 29 giugno 1856 vennero iniziati i lavori di costruzione.

Dedicata a San Giovanni Decollato (cioè al Battista), porta l’iscrizione latina sulla lunetta del portale:

TEMPLUM / IOANNI / DECOLLATO / VARDULENSIUM / PATRONO / SACRUM TERGESTINORUM / PIETATE / EXCITATUM BARTHOLOMAEUS / EPPUS / TERGESTIN / IUSTINOP /  DEDICAVIT / ATQUE / CONSECRAVIT / DIE / XXVII / IUNII / MDCCCLVIII.

L’edificio è stato progettato dall’architetto Sforzi e si presenta a pianta a croce latina ad unica navata, con due bracci laterali e con abside pentagonale. Il campanile è a base quadrata addossato all’estremo lato dell’abside. L’altare maggiore, disegnato dallo Sforzi nel 1857, è costituito da una mensa con tabernacolo, decorata a motivi geometrici con marmi policromi; i due altari laterali sono stati progettati ed eseguiti dallo scalpellino Antonio Trobec nel 1873. Sopra l’altare maggiore si trova la pala raffigurante S. Giovanni in attesa del martirio, opera del pittore viennese Edoardo Heinrich, siglato e datato 1858; ai lati dell’altare due statue devozionali in stucco policromo (del 1902), ritenute i Santi Cirillo e Metodio, realizzate da Fr. Ks. Tončić.

Lungo le pareti troviamo quattordici stazioni della Via Crucis (1858) dipinte dal pittore Giovanni Luigi Rose (che nel 1856 aveva già eseguito la Via Crucis per S. Giacomo); sui due altari laterali le pale della Beata Vergine del Rosario e di San Giuseppe, attribuite sempre al Rose, con l’aiuto del figlio Antonio.

Sulla parete destra, presso l’entrata, si trova il quadro dell’Assunta, produzione barocca ispirata alla celebre pala del Tiziano, donata da un privato; sulla parete di fronte è collocata la pala con la Madonna fra i santi Giovanni e Pelagio, dipinta dal Rose nel 1853 (firmata e datata), eseguita per l’antica chiesetta dei SS. Giovanni e Pelagio e in seguito trasferita nella nuova parrocchiale.

L’organo originale, proveniva da S. Giusto ed era stato costruito nel 1780 da Francesco Dazzi o Dacci. Diviso a metà (l’altra metà finì nel 1862 nella chiesa di Roiano), venne collocato nella chiesa di san Giovanni nel 1860. Venne sostituito nel 1953 da uno realizzato da Elli Zanin di Codroipo.

Nel 1932 sono stati effettuati dei lavori di restauro e di decorazione esterna con il concorso della Soprintendenza.

(g.c.)

Trieste – San Giovanni Decollato, stazioni o tappe della Via Crucis I: Gesù è condannato a morte II: Gesù è caricato della croce

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Trieste - San Giovanni Decollato, stazioni o tappe della Via Crucis, opera del pittore Giovanni Luigi Rose (1858) 
I: Gesù è condannato a morte
II Gesù è caricato della croce

La chiesa venne costruita a partire dall’anno 1856 su progetto dell’architetto Giuseppe Sforzi  e venne consacrata dal vescovo Bartolomeo Legat il 27 giugno 1858. Nel 1859 fu istituita a vicariato parrocchiale; nel 1864 venne elevata a parrocchia.

Resasi la vecchia chiesetta dei SS. Giovanni e Pelagio insufficiente alla popolazione di S. Giovanni, nel 1852 venne sottoposta al Magistrato civico la richiesta di ampliare la stessa o in alternativa di costruirne una nuova. L’allora Podestà di Trieste, Muzio de Tommasini, era favorevole alla costruzione di nuove chiese a Trieste (diede parere favorevole anche alla costruzione di quella di S. Giacomo e di Roiano). L’8 febbraio si optò per la realizzazione di un nuovo edificio a spese del Comune e la concessione del terreno. Il 29 giugno 1856 vennero iniziati i lavori di costruzione.

Dedicata a San Giovanni Decollato (cioè al Battista), porta l’iscrizione latina sulla lunetta del portale:

TEMPLUM / IOANNI / DECOLLATO / VARDULENSIUM / PATRONO / SACRUM TERGESTINORUM / PIETATE / EXCITATUM BARTHOLOMAEUS / EPPUS / TERGESTIN / IUSTINOP /  DEDICAVIT / ATQUE / CONSECRAVIT / DIE / XXVII / IUNII / MDCCCLVIII.

L’edificio è stato progettato dall’architetto Sforzi e si presenta a pianta a croce latina ad unica navata, con due bracci laterali e con abside pentagonale. Il campanile è a base quadrata addossato all’estremo lato dell’abside. L’altare maggiore, disegnato dallo Sforzi nel 1857, è costituito da una mensa con tabernacolo, decorata a motivi geometrici con marmi policromi; i due altari laterali sono stati progettati ed eseguiti dallo scalpellino Antonio Trobec nel 1873. Sopra l’altare maggiore si trova la pala raffigurante S. Giovanni in attesa del martirio, opera del pittore viennese Edoardo Heinrich, siglato e datato 1858; ai lati dell’altare due statue devozionali in stucco policromo (del 1902), ritenute i Santi Cirillo e Metodio, realizzate da Fr. Ks. Tončić.

Lungo le pareti troviamo quattordici stazioni della Via Crucis (1858) dipinte dal pittore Giovanni Luigi Rose (che nel 1856 aveva già eseguito la Via Crucis per S. Giacomo); sui due altari laterali le pale della Beata Vergine del Rosario e di San Giuseppe, attribuite sempre al Rose, con l’aiuto del figlio Antonio.

Sulla parete destra, presso l’entrata, si trova il quadro dell’Assunta, produzione barocca ispirata alla celebre pala del Tiziano, donata da un privato; sulla parete di fronte è collocata la pala con la Madonna fra i santi Giovanni e Pelagio, dipinta dal Rose nel 1853 (firmata e datata), eseguita per l’antica chiesetta dei SS. Giovanni e Pelagio e in seguito trasferita nella nuova parrocchiale.

L’organo originale, proveniva da S. Giusto ed era stato costruito nel 1780 da Francesco Dazzi o Dacci. Diviso a metà (l’altra metà finì nel 1862 nella chiesa di Roiano), venne collocato nella chiesa di san Giovanni nel 1860. Venne sostituito nel 1953 da uno realizzato da Elli Zanin di Codroipo.

Nel 1932 sono stati effettuati dei lavori di restauro e di decorazione esterna con il concorso della Soprintendenza.

(g.c.)

Trieste – San Giovanni Decollato, lato sinistro presso l’entrata, la Madonna fra i santi Giovanni e Pelagio

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Trieste - San Giovanni Decollato, lato sinistro presso l'entrata, la Madonna fra i santi Giovanni e Pelagio, dipinta dal Rose nel 1853 (firmata e datata), eseguita per l'antica chiesetta dei SS. Giovanni e Pelagio e in seguito trasferita nella nuova parrocchiale

La chiesa venne costruita a partire dall’anno 1856 su progetto dell’architetto Giuseppe Sforzi  e venne consacrata dal vescovo Bartolomeo Legat il 27 giugno 1858. Nel 1859 fu istituita a vicariato parrocchiale; nel 1864 venne elevata a parrocchia.

Resasi la vecchia chiesetta dei SS. Giovanni e Pelagio insufficiente alla popolazione di S. Giovanni, nel 1852 venne sottoposta al Magistrato civico la richiesta di ampliare la stessa o in alternativa di costruirne una nuova. L’allora Podestà di Trieste, Muzio de Tommasini, era favorevole alla costruzione di nuove chiese a Trieste (diede parere favorevole anche alla costruzione di quella di S. Giacomo e di Roiano). L’8 febbraio si optò per la realizzazione di un nuovo edificio a spese del Comune e la concessione del terreno. Il 29 giugno 1856 vennero iniziati i lavori di costruzione.

Dedicata a San Giovanni Decollato (cioè al Battista), porta l’iscrizione latina sulla lunetta del portale:

TEMPLUM / IOANNI / DECOLLATO / VARDULENSIUM / PATRONO / SACRUM TERGESTINORUM / PIETATE / EXCITATUM BARTHOLOMAEUS / EPPUS / TERGESTIN / IUSTINOP /  DEDICAVIT / ATQUE / CONSECRAVIT / DIE / XXVII / IUNII / MDCCCLVIII.

L’edificio è stato progettato dall’architetto Sforzi e si presenta a pianta a croce latina ad unica navata, con due bracci laterali e con abside pentagonale. Il campanile è a base quadrata addossato all’estremo lato dell’abside. L’altare maggiore, disegnato dallo Sforzi nel 1857, è costituito da una mensa con tabernacolo, decorata a motivi geometrici con marmi policromi; i due altari laterali sono stati progettati ed eseguiti dallo scalpellino Antonio Trobec nel 1873. Sopra l’altare maggiore si trova la pala raffigurante S. Giovanni in attesa del martirio, opera del pittore viennese Edoardo Heinrich, siglato e datato 1858; ai lati dell’altare due statue devozionali in stucco policromo (del 1902), ritenute i Santi Cirillo e Metodio, realizzate da Fr. Ks. Tončić.

Lungo le pareti troviamo quattordici stazioni della Via Crucis (1858) dipinte dal pittore Giovanni Luigi Rose (che nel 1856 aveva già eseguito la Via Crucis per S. Giacomo); sui due altari laterali le pale della Beata Vergine del Rosario e di San Giuseppe, attribuite sempre al Rose, con l’aiuto del figlio Antonio.

Sulla parete destra, presso l’entrata, si trova il quadro dell’Assunta, produzione barocca ispirata alla celebre pala del Tiziano, donata da un privato; sulla parete di fronte è collocata la pala con la Madonna fra i santi Giovanni e Pelagio, dipinta dal Rose nel 1853 (firmata e datata), eseguita per l’antica chiesetta dei SS. Giovanni e Pelagio e in seguito trasferita nella nuova parrocchiale.

L’organo originale, proveniva da S. Giusto ed era stato costruito nel 1780 da Francesco Dazzi o Dacci. Diviso a metà (l’altra metà finì nel 1862 nella chiesa di Roiano), venne collocato nella chiesa di san Giovanni nel 1860. Venne sostituito nel 1953 da uno realizzato da Elli Zanin di Codroipo.

Nel 1932 sono stati effettuati dei lavori di restauro e di decorazione esterna con il concorso della Soprintendenza.

(g.c.)

Trieste – San Giovanni Decollato, dipinto barocco Maria Assunta

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Trieste - San Giovanni Decollato, lato destro presso l'entrata, l'Assunta, produzione barocca ispirata alla celebre pala del Tiziano, dono di un fedele

La chiesa venne costruita a partire dall’anno 1856 su progetto dell’architetto Giuseppe Sforzi  e venne consacrata dal vescovo Bartolomeo Legat il 27 giugno 1858. Nel 1859 fu istituita a vicariato parrocchiale; nel 1864 venne elevata a parrocchia.

Resasi la vecchia chiesetta dei SS. Giovanni e Pelagio insufficiente alla popolazione di S. Giovanni, nel 1852 venne sottoposta al Magistrato civico la richiesta di ampliare la stessa o in alternativa di costruirne una nuova. L’allora Podestà di Trieste, Muzio de Tommasini, era favorevole alla costruzione di nuove chiese a Trieste (diede parere favorevole anche alla costruzione di quella di S. Giacomo e di Roiano). L’8 febbraio si optò per la realizzazione di un nuovo edificio a spese del Comune e la concessione del terreno. Il 29 giugno 1856 vennero iniziati i lavori di costruzione.

Dedicata a San Giovanni Decollato (cioè al Battista), porta l’iscrizione latina sulla lunetta del portale:

TEMPLUM / IOANNI / DECOLLATO / VARDULENSIUM / PATRONO / SACRUM TERGESTINORUM / PIETATE / EXCITATUM BARTHOLOMAEUS / EPPUS / TERGESTIN / IUSTINOP /  DEDICAVIT / ATQUE / CONSECRAVIT / DIE / XXVII / IUNII / MDCCCLVIII.

L’edificio è stato progettato dall’architetto Sforzi e si presenta a pianta a croce latina ad unica navata, con due bracci laterali e con abside pentagonale. Il campanile è a base quadrata addossato all’estremo lato dell’abside. L’altare maggiore, disegnato dallo Sforzi nel 1857, è costituito da una mensa con tabernacolo, decorata a motivi geometrici con marmi policromi; i due altari laterali sono stati progettati ed eseguiti dallo scalpellino Antonio Trobec nel 1873. Sopra l’altare maggiore si trova la pala raffigurante S. Giovanni in attesa del martirio, opera del pittore viennese Edoardo Heinrich, siglato e datato 1858; ai lati dell’altare due statue devozionali in stucco policromo (del 1902), ritenute i Santi Cirillo e Metodio, realizzate da Fr. Ks. Tončić.

Lungo le pareti troviamo quattordici stazioni della Via Crucis (1858) dipinte dal pittore Giovanni Luigi Rose (che nel 1856 aveva già eseguito la Via Crucis per S. Giacomo); sui due altari laterali le pale della Beata Vergine del Rosario e di San Giuseppe, attribuite sempre al Rose, con l’aiuto del figlio Antonio.

Sulla parete destra, presso l’entrata, si trova il quadro dell’Assunta, produzione barocca ispirata alla celebre pala del Tiziano, donata da un privato; sulla parete di fronte è collocata la pala con la Madonna fra i santi Giovanni e Pelagio, dipinta dal Rose nel 1853 (firmata e datata), eseguita per l’antica chiesetta dei SS. Giovanni e Pelagio e in seguito trasferita nella nuova parrocchiale.

L’organo originale, proveniva da S. Giusto ed era stato costruito nel 1780 da Francesco Dazzi o Dacci. Diviso a metà (l’altra metà finì nel 1862 nella chiesa di Roiano), venne collocato nella chiesa di san Giovanni nel 1860. Venne sostituito nel 1953 da uno realizzato da Elli Zanin di Codroipo.

Nel 1932 sono stati effettuati dei lavori di restauro e di decorazione esterna con il concorso della Soprintendenza.

(g.c.)

San Giovanni Decollato, altare laterale destro, pala della Beata Vergine del Rosario

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Trieste - San Giovanni Decollato, altare laterale destro, pala della Beata Vergine del Rosario, realizzata dal pittore Giovanni Luigi Rose assieme al figlio Antonio

La chiesa venne costruita a partire dall’anno 1856 su progetto dell’architetto Giuseppe Sforzi  e venne consacrata dal vescovo Bartolomeo Legat il 27 giugno 1858. Nel 1859 fu istituita a vicariato parrocchiale; nel 1864 venne elevata a parrocchia.

Resasi la vecchia chiesetta dei SS. Giovanni e Pelagio insufficiente alla popolazione di S. Giovanni, nel 1852 venne sottoposta al Magistrato civico la richiesta di ampliare la stessa o in alternativa di costruirne una nuova. L’allora Podestà di Trieste, Muzio de Tommasini, era favorevole alla costruzione di nuove chiese a Trieste (diede parere favorevole anche alla costruzione di quella di S. Giacomo e di Roiano). L’8 febbraio si optò per la realizzazione di un nuovo edificio a spese del Comune e la concessione del terreno. Il 29 giugno 1856 vennero iniziati i lavori di costruzione.

Dedicata a San Giovanni Decollato (cioè al Battista), porta l’iscrizione latina sulla lunetta del portale:

TEMPLUM / IOANNI / DECOLLATO / VARDULENSIUM / PATRONO / SACRUM TERGESTINORUM / PIETATE / EXCITATUM BARTHOLOMAEUS / EPPUS / TERGESTIN / IUSTINOP /  DEDICAVIT / ATQUE / CONSECRAVIT / DIE / XXVII / IUNII / MDCCCLVIII.

L’edificio è stato progettato dall’architetto Sforzi e si presenta a pianta a croce latina ad unica navata, con due bracci laterali e con abside pentagonale. Il campanile è a base quadrata addossato all’estremo lato dell’abside. L’altare maggiore, disegnato dallo Sforzi nel 1857, è costituito da una mensa con tabernacolo, decorata a motivi geometrici con marmi policromi; i due altari laterali sono stati progettati ed eseguiti dallo scalpellino Antonio Trobec nel 1873. Sopra l’altare maggiore si trova la pala raffigurante S. Giovanni in attesa del martirio, opera del pittore viennese Edoardo Heinrich, siglato e datato 1858; ai lati dell’altare due statue devozionali in stucco policromo (del 1902), ritenute i Santi Cirillo e Metodio, realizzate da Fr. Ks. Tončić.

Lungo le pareti troviamo quattordici stazioni della Via Crucis (1858) dipinte dal pittore Giovanni Luigi Rose (che nel 1856 aveva già eseguito la Via Crucis per S. Giacomo); sui due altari laterali le pale della Beata Vergine del Rosario e di San Giuseppe, attribuite sempre al Rose, con l’aiuto del figlio Antonio.

Sulla parete destra, presso l’entrata, si trova il quadro dell’Assunta, produzione barocca ispirata alla celebre pala del Tiziano, donata da un privato; sulla parete di fronte è collocata la pala con la Madonna fra i santi Giovanni e Pelagio, dipinta dal Rose nel 1853 (firmata e datata), eseguita per l’antica chiesetta dei SS. Giovanni e Pelagio e in seguito trasferita nella nuova parrocchiale.

L’organo originale, proveniva da S. Giusto ed era stato costruito nel 1780 da Francesco Dazzi o Dacci. Diviso a metà (l’altra metà finì nel 1862 nella chiesa di Roiano), venne collocato nella chiesa di san Giovanni nel 1860. Venne sostituito nel 1953 da uno realizzato da Elli Zanin di Codroipo.

Nel 1932 sono stati effettuati dei lavori di restauro e di decorazione esterna con il concorso della Soprintendenza.

(g.c.)

San Giovanni Decollato, altare laterale destro

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Trieste - San Giovanni Decollato, altare laterale destro, progettato e realizzato dallo scalpellino Antonio Trobec nel 1873. Sopra l'altare la pala della Beata Vergine del Rosario, realizzata dal pittore Giovanni Luigi Rose assieme al figlio Antonio

La chiesa venne costruita a partire dall’anno 1856 su progetto dell’architetto Giuseppe Sforzi  e fu consacrata dal vescovo Bartolomeo Legat il 27 giugno 1858. Nel 1859 fu istituita a vicariato parrocchiale; nel 1864 venne elevata a parrocchia.

Resasi la vecchia chiesetta dei SS. Giovanni e Pelagio insufficiente alla popolazione di S. Giovanni, nel 1852 venne sottoposta al Magistrato civico la richiesta di ampliare la stessa o in alternativa di costruirne una nuova. L’allora Podestà di Trieste, Muzio de Tommasini, era favorevole alla costruzione di nuove chiese a Trieste (diede parere favorevole anche alla costruzione di quella di S. Giacomo e di Roiano). L’8 febbraio si optò per la realizzazione di un nuovo edificio a spese del Comune e la concessione del terreno. Il 29 giugno 1856 vennero iniziati i lavori di costruzione.

Dedicata a San Giovanni Decollato (cioè al Battista), porta l’iscrizione latina sulla lunetta del portale:

TEMPLUM / IOANNI / DECOLLATO / VARDULENSIUM / PATRONO / SACRUM TERGESTINORUM / PIETATE / EXCITATUM BARTHOLOMAEUS / EPPUS / TERGESTIN / IUSTINOP /  DEDICAVIT / ATQUE / CONSECRAVIT / DIE / XXVII / IUNII / MDCCCLVIII.

L’edificio è stato progettato dall’architetto Sforzi e si presenta a pianta a croce latina ad unica navata, con due bracci laterali e con abside pentagonale. Il campanile è a base quadrata addossato all’estremo lato dell’abside. L’altare maggiore, disegnato dallo Sforzi nel 1857, è costituito da una mensa con tabernacolo, decorata a motivi geometrici con marmi policromi; i due altari laterali sono stati progettati ed eseguiti dallo scalpellino Antonio Trobec nel 1873. Sopra l’altare maggiore si trova la pala raffigurante S. Giovanni in attesa del martirio, opera del pittore viennese Edoardo Heinrich, siglato e datato 1858; ai lati dell’altare due statue devozionali in stucco policromo (del 1902), ritenute i Santi Cirillo e Metodio, realizzate da Fr. Ks. Tončić.

Lungo le pareti troviamo quattordici stazioni della Via Crucis (1858) dipinte dal pittore Giovanni Luigi Rose (che nel 1856 aveva già eseguito la Via Crucis per S. Giacomo); sui due altari laterali le pale della Beata Vergine del Rosario e di San Giuseppe, attribuite sempre al Rose, con l’aiuto del figlio Antonio.

Sulla parete destra, presso l’entrata, si trova il quadro dell’Assunta, produzione barocca ispirata alla celebre pala del Tiziano, donata da un privato; sulla parete di fronte è collocata la pala con la Madonna fra i santi Giovanni e Pelagio, dipinta dal Rose nel 1853 (firmata e datata), eseguita per l’antica chiesetta dei SS. Giovanni e Pelagio e in seguito trasferita nella nuova parrocchiale.

L’organo originale, proveniva da S. Giusto ed era stato costruito nel 1780 da Francesco Dazzi o Dacci. Diviso a metà (l’altra metà finì nel 1862 nella chiesa di Roiano), venne collocato nella chiesa di san Giovanni nel 1860. Venne sostituito nel 1953 da uno realizzato da Elli Zanin di Codroipo.

Nel 1932 sono stati effettuati dei lavori di restauro e di decorazione esterna con il concorso della Soprintendenza.

(g.c.)

Trieste – San Giovanni Decollato, altare laterale destro

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Trieste - San Giovanni Decollato, altare laterale destro, progettato e realizzato dallo scalpellino Antonio Trobec nel 1873. Sopra l'altare la pala della Beata Vergine del Rosario, realizzata dal pittore Giovanni Luigi Rose assieme al figlio

La chiesa venne costruita a partire dall’anno 1856 su progetto dell’architetto Giuseppe Sforzi  e venne consacrata dal vescovo Bartolomeo Legat il 27 giugno 1858. Nel 1859 fu istituita a vicariato parrocchiale; nel 1864 venne elevata a parrocchia.

Resasi la vecchia chiesetta dei SS. Giovanni e Pelagio insufficiente alla popolazione di S. Giovanni, nel 1852 venne sottoposta al Magistrato civico la richiesta di ampliare la stessa o in alternativa di costruirne una nuova. L’allora Podestà di Trieste, Muzio de Tommasini, era favorevole alla costruzione di nuove chiese a Trieste (diede parere favorevole anche alla costruzione di quella di S. Giacomo e di Roiano). L’8 febbraio si optò per la realizzazione di un nuovo edificio a spese del Comune e la concessione del terreno. Il 29 giugno 1856 vennero iniziati i lavori di costruzione.

Dedicata a San Giovanni Decollato (cioè al Battista), porta l’iscrizione latina sulla lunetta del portale:

TEMPLUM / IOANNI / DECOLLATO / VARDULENSIUM / PATRONO / SACRUM TERGESTINORUM / PIETATE / EXCITATUM BARTHOLOMAEUS / EPPUS / TERGESTIN / IUSTINOP /  DEDICAVIT / ATQUE / CONSECRAVIT / DIE / XXVII / IUNII / MDCCCLVIII.

L’edificio è stato progettato dall’architetto Sforzi e si presenta a pianta a croce latina ad unica navata, con due bracci laterali e con abside pentagonale. Il campanile è a base quadrata addossato all’estremo lato dell’abside. L’altare maggiore, disegnato dallo Sforzi nel 1857, è costituito da una mensa con tabernacolo, decorata a motivi geometrici con marmi policromi; i due altari laterali sono stati progettati ed eseguiti dallo scalpellino Antonio Trobec nel 1873. Sopra l’altare maggiore si trova la pala raffigurante S. Giovanni in attesa del martirio, opera del pittore viennese Edoardo Heinrich, siglato e datato 1858; ai lati dell’altare due statue devozionali in stucco policromo (del 1902), ritenute i Santi Cirillo e Metodio, realizzate da Fr. Ks. Tončić.

Lungo le pareti troviamo quattordici stazioni della Via Crucis (1858) dipinte dal pittore Giovanni Luigi Rose (che nel 1856 aveva già eseguito la Via Crucis per S. Giacomo); sui due altari laterali le pale della Beata Vergine del Rosario e di San Giuseppe, attribuite sempre al Rose, con l’aiuto del figlio Antonio.

Sulla parete destra, presso l’entrata, si trova il quadro dell’Assunta, produzione barocca ispirata alla celebre pala del Tiziano, donata da un privato; sulla parete di fronte è collocata la pala con la Madonna fra i santi Giovanni e Pelagio, dipinta dal Rose nel 1853 (firmata e datata), eseguita per l’antica chiesetta dei SS. Giovanni e Pelagio e in seguito trasferita nella nuova parrocchiale.

L’organo originale, proveniva da S. Giusto ed era stato costruito nel 1780 da Francesco Dazzi o Dacci. Diviso a metà (l’altra metà finì nel 1862 nella chiesa di Roiano), venne collocato nella chiesa di san Giovanni nel 1860. Venne sostituito nel 1953 da uno realizzato da Elli Zanin di Codroipo.

Nel 1932 sono stati effettuati dei lavori di restauro e di decorazione esterna con il concorso della Soprintendenza.

(g.c.)

Trieste – San Giovanni Decollato, altare laterale sinistro

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Trieste - San Giovanni Decollato, altare laterale sinistro, progettato e realizzato dallo scalpellino Antonio Trobec nel 1873, particolare

La chiesa venne costruita a partire dall’anno 1856 su progetto dell’architetto Giuseppe Sforzi  e venne consacrata dal vescovo Bartolomeo Legat il 27 giugno 1858. Nel 1859 fu istituita a vicariato parrocchiale; nel 1864 venne elevata a parrocchia.

Resasi la vecchia chiesetta dei SS. Giovanni e Pelagio insufficiente alla popolazione di S. Giovanni, nel 1852 venne sottoposta al Magistrato civico la richiesta di ampliare la stessa o in alternativa di costruirne una nuova. L’allora Podestà di Trieste, Muzio de Tommasini, era favorevole alla costruzione di nuove chiese a Trieste (diede parere favorevole anche alla costruzione di quella di S. Giacomo e di Roiano). L’8 febbraio si optò per la realizzazione di un nuovo edificio a spese del Comune e la concessione del terreno. Il 29 giugno 1856 vennero iniziati i lavori di costruzione.

Dedicata a San Giovanni Decollato (cioè al Battista), porta l’iscrizione latina sulla lunetta del portale:

TEMPLUM / IOANNI / DECOLLATO / VARDULENSIUM / PATRONO / SACRUM TERGESTINORUM / PIETATE / EXCITATUM BARTHOLOMAEUS / EPPUS / TERGESTIN / IUSTINOP /  DEDICAVIT / ATQUE / CONSECRAVIT / DIE / XXVII / IUNII / MDCCCLVIII.

L’edificio è stato progettato dall’architetto Sforzi e si presenta a pianta a croce latina ad unica navata, con due bracci laterali e con abside pentagonale. Il campanile è a base quadrata addossato all’estremo lato dell’abside. L’altare maggiore, disegnato dallo Sforzi nel 1857, è costituito da una mensa con tabernacolo, decorata a motivi geometrici con marmi policromi; i due altari laterali sono stati progettati ed eseguiti dallo scalpellino Antonio Trobec nel 1873. Sopra l’altare maggiore si trova la pala raffigurante S. Giovanni in attesa del martirio, opera del pittore viennese Edoardo Heinrich, siglato e datato 1858; ai lati dell’altare due statue devozionali in stucco policromo (del 1902), ritenute i Santi Cirillo e Metodio, realizzate da Fr. Ks. Tončić.

Lungo le pareti troviamo quattordici stazioni della Via Crucis (1858) dipinte dal pittore Giovanni Luigi Rose (che nel 1856 aveva già eseguito la Via Crucis per S. Giacomo); sui due altari laterali le pale della Beata Vergine del Rosario e di San Giuseppe, attribuite sempre al Rose, con l’aiuto del figlio Antonio.

Sulla parete destra, presso l’entrata, si trova il quadro dell’Assunta, produzione barocca ispirata alla celebre pala del Tiziano, donata da un privato; sulla parete di fronte è collocata la pala con la Madonna fra i santi Giovanni e Pelagio, dipinta dal Rose nel 1853 (firmata e datata), eseguita per l’antica chiesetta dei SS. Giovanni e Pelagio e in seguito trasferita nella nuova parrocchiale.

L’organo originale, proveniva da S. Giusto ed era stato costruito nel 1780 da Francesco Dazzi o Dacci. Diviso a metà (l’altra metà finì nel 1862 nella chiesa di Roiano), venne collocato nella chiesa di san Giovanni nel 1860. Venne sostituito nel 1953 da uno realizzato da Elli Zanin di Codroipo.

Nel 1932 sono stati effettuati dei lavori di restauro e di decorazione esterna con il concorso della Soprintendenza.

(g.c.)

Trieste – San Giovanni Decollato, altare laterale sinistro

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Trieste - San Giovanni Decollato, altare laterale sinistro, progettato e realizzato dallo scalpellino Antonio Trobec nel 1873. Sopra l'altare la pala di S. Giuseppe, opera di Giovanni Luigi Rose e del figlio Antonio

La chiesa venne costruita a partire dall’anno 1856 su progetto dell’architetto Giuseppe Sforzi  e venne consacrata dal vescovo Bartolomeo Legat il 27 giugno 1858. Nel 1859 fu istituita a vicariato parrocchiale; nel 1864 venne elevata a parrocchia.

Resasi la vecchia chiesetta dei SS. Giovanni e Pelagio insufficiente alla popolazione di S. Giovanni, nel 1852 venne sottoposta al Magistrato civico la richiesta di ampliare la stessa o in alternativa di costruirne una nuova. L’allora Podestà di Trieste, Muzio de Tommasini, era favorevole alla costruzione di nuove chiese a Trieste (diede parere favorevole anche alla costruzione di quella di S. Giacomo e di Roiano). L’8 febbraio si optò per la realizzazione di un nuovo edificio a spese del Comune e la concessione del terreno. Il 29 giugno 1856 vennero iniziati i lavori di costruzione.

Dedicata a San Giovanni Decollato (cioè al Battista), porta l’iscrizione latina sulla lunetta del portale:

TEMPLUM / IOANNI / DECOLLATO / VARDULENSIUM / PATRONO / SACRUM TERGESTINORUM / PIETATE / EXCITATUM BARTHOLOMAEUS / EPPUS / TERGESTIN / IUSTINOP /  DEDICAVIT / ATQUE / CONSECRAVIT / DIE / XXVII / IUNII / MDCCCLVIII.

L’edificio è stato progettato dall’architetto Sforzi e si presenta a pianta a croce latina ad unica navata, con due bracci laterali e con abside pentagonale. Il campanile è a base quadrata addossato all’estremo lato dell’abside. L’altare maggiore, disegnato dallo Sforzi nel 1857, è costituito da una mensa con tabernacolo, decorata a motivi geometrici con marmi policromi; i due altari laterali sono stati progettati ed eseguiti dallo scalpellino Antonio Trobec nel 1873. Sopra l’altare maggiore si trova la pala raffigurante S. Giovanni in attesa del martirio, opera del pittore viennese Edoardo Heinrich, siglato e datato 1858; ai lati dell’altare due statue devozionali in stucco policromo (del 1902), ritenute i Santi Cirillo e Metodio, realizzate da Fr. Ks. Tončić.

Lungo le pareti troviamo quattordici stazioni della Via Crucis (1858) dipinte dal pittore Giovanni Luigi Rose (che nel 1856 aveva già eseguito la Via Crucis per S. Giacomo); sui due altari laterali le pale della Beata Vergine del Rosario e di San Giuseppe, attribuite sempre al Rose, con l’aiuto del figlio Antonio.

Sulla parete destra, presso l’entrata, si trova il quadro dell’Assunta, produzione barocca ispirata alla celebre pala del Tiziano, donata da un privato; sulla parete di fronte è collocata la pala con la Madonna fra i santi Giovanni e Pelagio, dipinta dal Rose nel 1853 (firmata e datata), eseguita per l’antica chiesetta dei SS. Giovanni e Pelagio e in seguito trasferita nella nuova parrocchiale.

L’organo originale, proveniva da S. Giusto ed era stato costruito nel 1780 da Francesco Dazzi o Dacci. Diviso a metà (l’altra metà finì nel 1862 nella chiesa di Roiano), venne collocato nella chiesa di san Giovanni nel 1860. Venne sostituito nel 1953 da uno realizzato da Elli Zanin di Codroipo.

Nel 1932 sono stati effettuati dei lavori di restauro e di decorazione esterna con il concorso della Soprintendenza.

(g.c.)

Trieste – San Giovanni, altare maggiore della chiesa di San Giovanni Decollato

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Trieste - San Giovanni, lato sinistro dell'altare maggiore della chiesa di San Giovanni Decollato: statua devozionale in stucco policromo (del 1902), ritenute i Santi Cirillo e Metodio, realizzate da Fr. Ks. Tončić

La chiesa venne costruita a partire dall’anno 1856 su progetto dell’architetto Giuseppe Sforzi  e venne consacrata dal vescovo Bartolomeo Legat il 27 giugno 1858. Nel 1859 fu istituita a vicariato parrocchiale; nel 1864 venne elevata a parrocchia.

Resasi la vecchia chiesetta dei SS. Giovanni e Pelagio insufficiente alla popolazione di S. Giovanni, nel 1852 venne sottoposta al Magistrato civico la richiesta di ampliare la stessa o in alternativa di costruirne una nuova. L’allora Podestà di Trieste, Muzio de Tommasini, era favorevole alla costruzione di nuove chiese a Trieste (diede parere favorevole anche alla costruzione di quella di S. Giacomo e di Roiano). L’8 febbraio si optò per la realizzazione di un nuovo edificio a spese del Comune e la concessione del terreno. Il 29 giugno 1856 vennero iniziati i lavori di costruzione.

Dedicata a San Giovanni Decollato (cioè al Battista), porta l’iscrizione latina sulla lunetta del portale:

TEMPLUM / IOANNI / DECOLLATO / VARDULENSIUM / PATRONO / SACRUM TERGESTINORUM / PIETATE / EXCITATUM BARTHOLOMAEUS / EPPUS / TERGESTIN / IUSTINOP /  DEDICAVIT / ATQUE / CONSECRAVIT / DIE / XXVII / IUNII / MDCCCLVIII.

L’edificio è stato progettato dall’architetto Sforzi e si presenta a pianta a croce latina ad unica navata, con due bracci laterali e con abside pentagonale. Il campanile è a base quadrata addossato all’estremo lato dell’abside. L’altare maggiore, disegnato dallo Sforzi nel 1857, è costituito da una mensa con tabernacolo, decorata a motivi geometrici con marmi policromi; i due altari laterali sono stati progettati ed eseguiti dallo scalpellino Antonio Trobec nel 1873. Sopra l’altare maggiore si trova la pala raffigurante S. Giovanni in attesa del martirio, opera del pittore viennese Edoardo Heinrich, siglato e datato 1858; ai lati dell’altare due statue devozionali in stucco policromo (del 1902), ritenute i Santi Cirillo e Metodio, realizzate da Fr. Ks. Tončić.

Lungo le pareti troviamo quattordici stazioni della Via Crucis (1858) dipinte dal pittore Giovanni Luigi Rose (che nel 1856 aveva già eseguito la Via Crucis per S. Giacomo); sui due altari laterali le pale della Beata Vergine del Rosario e di San Giuseppe, attribuite sempre al Rose, con l’aiuto del figlio Antonio.

Sulla parete destra, presso l’entrata, si trova il quadro dell’Assunta, produzione barocca ispirata alla celebre pala del Tiziano, donata da un privato; sulla parete di fronte è collocata la pala con la Madonna fra i santi Giovanni e Pelagio, dipinta dal Rose nel 1853 (firmata e datata), eseguita per l’antica chiesetta dei SS. Giovanni e Pelagio e in seguito trasferita nella nuova parrocchiale.

L’organo originale, proveniva da S. Giusto ed era stato costruito nel 1780 da Francesco Dazzi o Dacci. Diviso a metà (l’altra metà finì nel 1862 nella chiesa di Roiano), venne collocato nella chiesa di san Giovanni nel 1860. Venne sostituito nel 1953 da uno realizzato da Elli Zanin di Codroipo.

Nel 1932 sono stati effettuati dei lavori di restauro e di decorazione esterna con il concorso della Soprintendenza.

(g.c.)

Trieste: Riva Grumola 14. Stazione Rogers.

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L'immagine può contenere: cielo, albero e spazio all'aperto
Trieste: Riva Grumola 14. Stazione Rogers.
Foto Paolo Carbonaio
Trieste: Riva Grumola 14. Stazione Rogers.
Si tratta di un piccolo edificio, ex stazione di servizio della società Aquila (distributore carburanti e autofficina), considerato una piccola gemma dell’architettura contemporanea italiana. Il progetto risale agli inizi degli anni Cinquanta ad opera del famoso studio milanese BBPR, di cui era membro l’architetto triestino Ernesto Nathan Rogers, ritenutouno dei teorici e fondatori dell’architettura contemporanea italiana. La Stazione Rogers si caratterizza per la copertura ad onde sospesa su pilotis, per il largo impiego del vetro nelle tre sale, identiche ma slittate di una mezza lunghezza, per l’uso dei soli colori “aziendali”. Adesso, “Uno degli elementi centrali del progetto – segnalano i progettisti – è la luce; sia quella diurna, che necessariamente significherà un’espansione degli spazi interni, come quella notturna che trasformerà “Stazione Rogers” in una lampada nella notte”. L’intervento su quello che i progettisti hanno definito “un nuovo distributore di cultura” è stato eseguito dal gruppo di professionisti riuniti per questa iniziativa nella “Associazione Stazione Rogers” risultata vincitrice del concorso di idee per la riqualificazione dell’ex stazione di servizio e formata da tre entità: l’Associazione Ernesto Nathan Rogers per il progresso dell’architettura e della scienza promossa dagli architetti Luciano Semerani e Gigetta Tamaro, l’Associazione Trieste Contemporanea di Giuliana Carbi e Franco Jesurun e Comunicarte di Lorenzo Michelli e Massimiliano Schiozzi. (da: edilone.it)

Trieste: Riva Grumola 14. Stazione Rogers.

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L'immagine può contenere: albero, cielo, pianta e spazio all'aperto
Trieste: Riva Grumola 14. Stazione Rogers.
Foto Paolo Carbonaio
Trieste: Riva Grumola 14. Stazione Rogers.
Si tratta di un piccolo edificio, ex stazione di servizio della società Aquila (distributore carburanti e autofficina), considerato una piccola gemma dell’architettura contemporanea italiana. Il progetto risale agli inizi degli anni Cinquanta ad opera del famoso studio milanese BBPR, di cui era membro l’architetto triestino Ernesto Nathan Rogers, ritenutouno dei teorici e fondatori dell’architettura contemporanea italiana. La Stazione Rogers si caratterizza per la copertura ad onde sospesa su pilotis, per il largo impiego del vetro nelle tre sale, identiche ma slittate di una mezza lunghezza, per l’uso dei soli colori “aziendali”. Adesso, “Uno degli elementi centrali del progetto – segnalano i progettisti – è la luce; sia quella diurna, che necessariamente significherà un’espansione degli spazi interni, come quella notturna che trasformerà “Stazione Rogers” in una lampada nella notte”. L’intervento su quello che i progettisti hanno definito “un nuovo distributore di cultura” è stato eseguito dal gruppo di professionisti riuniti per questa iniziativa nella “Associazione Stazione Rogers” risultata vincitrice del concorso di idee per la riqualificazione dell’ex stazione di servizio e formata da tre entità: l’Associazione Ernesto Nathan Rogers per il progresso dell’architettura e della scienza promossa dagli architetti Luciano Semerani e Gigetta Tamaro, l’Associazione Trieste Contemporanea di Giuliana Carbi e Franco Jesurun e Comunicarte di Lorenzo Michelli e Massimiliano Schiozzi. (da: edilone.it)

Castello di San Giusto : Leone in pietra

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Castello di San Giusto, Leone posto sul muretto della rampa che porta al Bastione Rotondo

Scultura in pietra raffigurante un leone accovacciato, proveniente dal fondo Rossmann, donazione del 1924 da parte del conte Brunner Muratti. Nato probabilmente con funzioni architettoniche\decorative, sembra di origine medievale.

Castello di San Giusto, Leone posto sul muretto della rampa che porta al Bastione Rotondo

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Castello di San Giusto, Leone posto sul muretto della rampa che porta al Bastione Rotondo

Scultura in pietra raffigurante un leone accovacciato, proveniente dal fondo Rossmann, donazione del 1924 da parte del conte Brunner Muratti. Nato probabilmente con funzioni architettoniche\decorative, sembra di origine medievale.

Castello di San Giusto : Michez e Jachez

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Castello di San Giusto, Michez e Jachez

Un ponte levatoio consente l’accesso ad un piccolo cortile dove si viene accolti da due statue di zinco fuso raffiguranti due paggi, due automi che si trovavano sulla torre del nuovo palazzo municipale di Trieste, progetto dell’architetto Bruni. Gli automi, disposti ai lati di una campana, sopra l’orologio comunale, grazie a braccia articolate regolate da un meccanismo ad orologeria, sollevavano un martello che batteva le ore. Ideati dal Bruni, gli automi vennero realizzati nel giugno 1875 dallo scultore Fausto Asteo (1840 – 1901) presso le  fonderie  dei  fratelli de Poli di Ceneda e collocati sulla torre nei giorni 5 e 7 gennaio 1876. Entrarono in funzione il 14 gennaio alle ore 12. I triestini li soprannominarono Michez e Jachez (o Mikez e Jakez) (Michele e Giacomo), due famosi giudici della città. A seguito dei danni arrecati dagli agenti atmosferici e dalle sollecitazioni del meccanismo, vennero sostituiti il 3 novembre 1972, assieme alla campana, da copie realizzate in bronzo dalla fonderia Brustolin e dalla fonderia Cavadini, entrambe di Verona. (g.c.)

Reliquario d’argento (sec. XIII), con le reliquie di S. Giusto – Tesoro della Cattedrale

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Urna d'argento (sec. XIII), con le reliquie di S. Giusto. Tesoro della Cattedrale


Il reliquario (cm 41,3 x 22 x 21,6) che presenta delle fasce di girali fronzuti con grappoli d’uva eseguiti a sbalzo in lamina d’argento, e due Crocifissi sui lati minori di cui uno è ancora visibile, venne rinvenuto nel 1624 sotto l’altare del santo, dal vescovo Rinaldo Scarlichio. Le fonti riportano che il vescovo Rodolfo Pedrazzani (1302-1320) aveva deposto le ossa di san Giusto in una custodia d’argento all’interno di un antico sarcofago. Il ritrovamento fu di tale risonanza che lo stesso anno venne realizzato un altare d’argento, successivamente venduto e sostituito dal vescovo Giovanni Francesco Müller attorno al 1710/20 con uno di marmo. Dal 1856 quest’ultimo altare si trova nella chiesa di Trebiciano. Il 31 ottobre 1859 il reliquario d’argento venne collocato nel nuovo altare, opera dell’architetto Bernardi, e lì rimase fino al 1928, per l’avvenuta demolizione dello stesso. L’urna venne quindi trasferita nella cappella del Tesoro dove si trova tuttora. (g.c.)

Villa Revoltella : Giugno 1955: inaugurazione del parco giochi e della statua di Pinocchio di Nino Spagnoli

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Giugno 1955: inaugurazione del parco giochi e della statua di Pinocchio di Nino Spagnoli.
Collezione Giancarla Scubini

La chiesa della Madonna del Mare in piazzale Rosmini : le vetrate

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La scala di Giacobbe, episodio della Genesi: Giacobbe in sogno vede angeli salire e scendere da una scala. Foto Elisabetta Marcovich

La chiesa della Madonna del mare

Costruita negli anni 50 in piazzale Rosmini, su progetto dell’architetto Forlati 1948 54
Precedentemente nel 1937 il podestà di Trieste Salem aveva donato alla comunità dei frati minori un terreno per edificare un convento con chiesa annessa, il convento venne costruito subito mentre la chiesa venne iniziata il 14 maggio 1948.
Di stile ispirato al romanico, in particolare nella sua forma veneta, il suo alto campanile ( il più alto della città, 62 metri) completato nel 1958, svetta sul rione circostante.
Il materiale per la costruzione venne in parte ricavato da donazioni del fedeli e in parte da materiale abbandonato al termine della guerra: da questo, e dalla presenza di pietre volutamente dipinte in bianco ad imitare le chiese medievali in cui si reimpiegavano materiali preesistenti, è nata la leggenda della chiesa costruita con lapidi tombali riciclate.
L’interno misura 57 metri di lunghezza, 22 di larghezza e altrettanti di altezza ed è uno dei più vasti di Trieste e le colonne che dividono le navate sono monoliti di pietra di Aurisina pesano ciascuna 9 tonnellate.
L’altare è un monolito di peralba rosso, ai lati sotto gli amboni di pesco carsico, ci sono gli accessi alla cripta.
Al centro dell’abside un mosaico di Luciano Bartoli , autore anche dei simboli in marmo di Aurisina delle porta a bassorilievo.
Del medesimo autore le vetrate, eseguite fra il 1969 e il 1970, le tre vetrate della controfacciata rappresentano gli episodi della creazione mentre le vetrate
laterali rappresentano simboli mariani.
Nella cripta la venerata immagine della Madonna del mare ed una Madonna di Tristano Alberti; per Natale la cripta ospita un noto e ricco presepio animato. ( E. M.)

La chiesa della Madonna del Mare in piazzale Rosmini: le vetrate

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Regina patriarcarum: Litanie della  Madonna : regina dei Patriarchi: sopra, la scala di Giacobbe. Foto Elisabetta Marcovich

 

La chiesa della Madonna del mare

Costruita negli anni 50 in piazzale Rosmini, su progetto dell’architetto Forlati 1948-54.
Precedentemente nel 1937 il podestà di Trieste Salem aveva donato alla comunità dei frati minori un terreno per edificare un convento con chiesa annessa, il convento venne costruito subito mentre la chiesa venne iniziata il 14 maggio 1948.
Di stile ispirato al romanico, in particolare nella sua forma veneta, il suo alto campanile ( il più alto della città, 62 metri) completato nel 1958, svetta sul rione circostante.
Il materiale per la costruzione venne in parte ricavato da donazioni del fedeli e in parte da materiale abbandonato al termine della guerra: da questo, e dalla presenza di pietre volutamente dipinte in bianco ad imitare le chiese medievali in cui si reimpiegavano materiali preesistenti, è nata la leggenda della chiesa costruita con lapidi tombali riciclate.
L’interno misura 57 metri di lunghezza, 22 di larghezza e altrettanti di altezza ed è uno dei più vasti di Trieste e le colonne che dividono le navate sono monoliti di pietra di Aurisina pesano ciascuna 9 tonnellate.
L’altare è un monolito di peralba rosso, ai lati sotto gli amboni di pesco carsico, ci sono gli accessi alla cripta.
Al centro dell’abside un mosaico di Luciano Bartoli , autore anche dei simboli in marmo di Aurisina delle porta a bassorilievo.
Del medesimo autore le vetrate, eseguite fra il 1969 e il 1970, le tre vetrate della controfacciata rappresentano gli episodi della creazione mentre le vetrate
laterali rappresentano simboli mariani.
Nella cripta la venerata immagine della Madonna del mare ed una Madonna di Tristano Alberti; per Natale la cripta ospita un noto e ricco presepio animato. ( E. M.)

La chiesa della Madonna del Mare in piazzale Rosmini : le vetrate

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Madonna col Bambino, ai piedi la luna (Apocalisse) e il serpente che le morde il calcagno (Genesi, cosiddetto Protovangelo). 
Foto di Elisabetta Marcovich

La chiesa della Madonna del mare

Costruita negli anni 50 in piazzale Rosmini, su progetto dell’architetto Forlati 1948-54.
Precedentemente nel 1937 il podestà di Trieste Salem aveva donato alla comunità dei frati minori un terreno per edificare un convento con chiesa annessa, il convento venne costruito subito mentre la chiesa venne iniziata il 14 maggio 1948.
Di stile ispirato al romanico, in particolare nella sua forma veneta, il suo alto campanile (il più alto della città, 62 metri) completato nel 1958, svetta sul rione circostante.
Il materiale per la costruzione venne in parte ricavato da donazioni del fedeli e in parte da materiale abbandonato al termine della guerra: da questo, e dalla presenza di pietre volutamente dipinte in bianco ad imitare le chiese medievali in cui si reimpiegavano materiali preesistenti, è nata la leggenda della chiesa costruita con lapidi tombali riciclate.
L’interno misura 57 metri di lunghezza, 22 di larghezza e altrettanti di altezza ed è uno dei più vasti di Trieste e le colonne che dividono le navate sono monoliti di pietra di Aurisina pesano ciascuna 9 tonnellate.
L’altare è un monolito di peralba rosso, ai lati sotto gli amboni di pesco carsico, ci sono gli accessi alla cripta.
Al centro dell’abside un mosaico di Luciano Bartoli, autore anche dei simboli in marmo di Aurisina delle porta a bassorilievo.
Del medesimo autore le vetrate, eseguite fra il 1969 e il 1970, le tre vetrate della controfacciata rappresentano gli episodi della creazione mentre le vetrate laterali rappresentano simboli mariani.
Nella cripta la venerata immagine della Madonna del mare ed una Madonna di Tristano Alberti; per Natale la cripta ospita un noto e ricco presepio animato. ( E. M.)

La chiesa della Madonna del Mare in piazzale Rosmini : le vetrate

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San Giusto, con inconsuete  caratteristiche guerriere .  Vetrata della chiesa della Madonna del Mare, foto di Elisabetta Marcovich

La chiesa della Madonna del mare

Costruita negli anni 50 in piazzale Rosmini, su progetto dell’architetto Forlati 1948-54.
Precedentemente nel 1937 il podestà di Trieste Salem aveva donato alla comunità dei frati minori un terreno per edificare un convento con chiesa annessa, il convento venne costruito subito mentre la chiesa venne iniziata il 14 maggio 1948.
Di stile ispirato al romanico, in particolare nella sua forma veneta, il suo alto campanile ( il più alto della città, 62 metri) completato nel 1958, svetta sul rione circostante.
Il materiale per la costruzione venne in parte ricavato da donazioni del fedeli e in parte da materiale abbandonato al termine della guerra: da questo, e dalla presenza di pietre volutamente dipinte in bianco ad imitare le chiese medievali in cui si reimpiegavano materiali preesistenti, è nata la leggenda della chiesa costruita con lapidi tombali riciclate.
L’interno misura 57 metri di lunghezza, 22 di larghezza e altrettanti di altezza ed è uno dei più vasti di Trieste e le colonne che dividono le navate sono monoliti di pietra di Aurisina pesano ciascuna 9 tonnellate.
L’altare è un monolito di peralba rosso, ai lati sotto gli amboni di pesco carsico, ci sono gli accessi alla cripta.
Al centro dell’abside un mosaico di Luciano Bartoli , autore anche dei simboli in marmo di Aurisina delle porta a bassorilievo.
Del medesimo autore le vetrate, eseguite fra il 1969 e il 1970, le tre vetrate della controfacciata rappresentano gli episodi della creazione mentre le vetrate
laterali rappresentano simboli mariani.
Nella cripta la venerata immagine della Madonna del mare ed una Madonna di Tristano Alberti; per Natale la cripta ospita un noto e ricco presepio animato. ( E. M.)