Trieste: Largo Caduti di Nasirya. Ferdinandeo.

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Trieste: Largo Caduti di Nasirya. Il Ferdinandeo.
Foto Paolo Carbonaio
Trieste: Largo Caduti di Nasirya. Il Ferdinandeo.
Il Ferdinandeo sorge nell’area della contrada di Chiadino, attraversata dal torrente Rozzol ed estesa sul colle omonimo. Il territorio, occupato in origine da vigne, campi e boschi, viene ricordato come località ideale per l’attività di caccia e del tiro a segno praticata dai nobili triestini.
Agli inizi dell’Ottocento la zona viene bonificata e sistemata con la creazione di “bellissime strade, separando quelle destinate ai pedoni da quelle più larghe pei ruotabili e cavalieri” e di un nuovo sentiero utilizzato per raggiungere la sommità del colle, conosciuta come “Il Cacciatore” dal nome della piccola birreria qui presente; in questi anni si assiste alla costruzione di edifici e ville di campagna, tra cui Villa Stern e Villa Revoltella. Dal monte chiamato del Farneto prende il nome il bosco omonimo, donato alla città di Trieste nel settembre 1844 dall’imperatore Ferdinando I, garantendone l’ apertura al pubblico. Viene costruito l’edificio iIn memoria del soggiorno triestino dell’imperatore .
L’immobile sarà realizzato tra il 1856 ed il 1858 dall’architetto Giuseppe Sfozi, su progetto del berlinese Georg Heinrich Friedrich Hitzig, consigliere alle fabbriche del Re di Prussia. L’edificazione della struttura viene preceduta dal concorso finanziario del Comune, di banche e di privati cittadini, per una spesa di 117.000 fiorini. Le fonti contemporanee ricordano lo splendido palazzo, “destinato ad ospitare chi desideri passare l’estate in questa deliziosa località”, e dotato anche di sala da ballo al pianterreno, sale da pranzo, da gioco, del caffè e tre gallerie. Nel 1899 l’edificio risulta dotato di stanze per villeggianti, di una grande terrazza adibita a trattoria e dell”Hotel Ferdinandeo”, prima condotto da Maria Mrak poi da Vittorio Martinis. Il ristorante e l’albergo rimangono attivi fino al 1914. Durante la Seconda Guerra Mondiale il palazzo viene occupato prima da un Comando Tedesco, poi da partigiani slavi e successivamente dagli anglo-americani che si impossessano di gran parte degli arredi. Negli anni seguenti l’edificio viene adibito a varie destinazioni d’uso, nessuna delle quali tuttavia consona alla “nobiltà” dello stesso, come lamenta Ferdinando Ressel in una lettera scritta nel settembre 1967 alla Soprintendenza Gallerie e Monumenti. Nel 1985 l’edificio viene restaurato attraverso la sistemazione degli ambienti interni, il rifacimento degli intonaci esterni e la demolizione della veranda d’ingresso. A seguito delle disposizioni prese dal commissario governativo dal 1993 l’edificio ospita il MIB-Master International Business, consorzio creato dalle Università di Trieste ed Udine.
Il gruppo scultoreo collocato alla sommità della balaustra della facciata principale, costituito da due figure femminili rappresentanti Giustizia e Gloria, reggenti una ghirlanda con al centro il busto dell’imperatore Ferdinando I, accompagnato dall’iscrizione “Recta Tueri”, è opera dell’artista Francesco Cameroni.

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Agli inizi dell’Ottocento la zona viene bonificata e sistemata con la creazione di “bellissime strade, separando quelle destinate ai pedoni da quelle più larghe pei ruotabili e cavalieri” e di un nuovo sentiero utilizzato per raggiungere la sommità del colle, conosciuta come “Il Cacciatore” dal nome della piccola birreria qui presente; in questi anni si assiste alla costruzione di edifici e ville di campagna, tra cui Villa Stern e Villa Revoltella. Dal monte chiamato del Farneto prende il nome il bosco omonimo, donato alla città di Trieste nel settembre 1844 dall’imperatore Ferdinando I, garantendone l’ apertura al pubblico. Viene costruito l’edificio iIn memoria del soggiorno triestino dell’imperatore .
L’immobile sarà realizzato tra il 1856 ed il 1858 dall’architetto Giuseppe Sfozi, su progetto del berlinese Georg Heinrich Friedrich Hitzig, consigliere alle fabbriche del Re di Prussia. L’edificazione della struttura viene preceduta dal concorso finanziario del Comune, di banche e di privati cittadini, per una spesa di 117.000 fiorini. Le fonti contemporanee ricordano lo splendido palazzo, “destinato ad ospitare chi desideri passare l’estate in questa deliziosa località”, e dotato anche di sala da ballo al pianterreno, sale da pranzo, da gioco, del caffè e tre gallerie. Nel 1899 l’edificio risulta dotato di stanze per villeggianti, di una grande terrazza adibita a trattoria e dell”Hotel Ferdinandeo”, prima condotto da Maria Mrak poi da Vittorio Martinis. Il ristorante e l’albergo rimangono attivi fino al 1914. Durante la Seconda Guerra Mondiale il palazzo viene occupato prima da un Comando Tedesco, poi da partigiani slavi e successivamente dagli anglo-americani che si impossessano di gran parte degli arredi. Negli anni seguenti l’edificio viene adibito a varie destinazioni d’uso, nessuna delle quali tuttavia consona alla “nobiltà” dello stesso, come lamenta Ferdinando Ressel in una lettera scritta nel settembre 1967 alla Soprintendenza Gallerie e Monumenti. Nel 1985 l’edificio viene restaurato attraverso la sistemazione degli ambienti interni, il rifacimento degli intonaci esterni e la demolizione della veranda d’ingresso. A seguito delle disposizioni prese dal commissario governativo dal 1993 l’edificio ospita il MIB-Master International Business, consorzio creato dalle Università di Trieste ed Udine.
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Il Ferdinandeo sorge nell’area della contrada di Chiadino, attraversata dal torrente Rozzol ed estesa sul colle omonimo. Il territorio, occupato in origine da vigne, campi e boschi, viene ricordato come località ideale per l’attività di caccia e del tiro a segno praticata dai nobili triestini.
Agli inizi dell’Ottocento la zona viene bonificata e sistemata con la creazione di “bellissime strade, separando quelle destinate ai pedoni da quelle più larghe pei ruotabili e cavalieri” e di un nuovo sentiero utilizzato per raggiungere la sommità del colle, conosciuta come “Il Cacciatore” dal nome della piccola birreria qui presente; in questi anni si assiste alla costruzione di edifici e ville di campagna, tra cui Villa Stern e Villa Revoltella. Dal monte chiamato del Farneto prende il nome il bosco omonimo, donato alla città di Trieste nel settembre 1844 dall’imperatore Ferdinando I, garantendone l’ apertura al pubblico. Viene costruito l’edificio iIn memoria del soggiorno triestino dell’imperatore .
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L’immobile sarà realizzato tra il 1856 ed il 1858 dall’architetto Giuseppe Sfozi, su progetto del berlinese Georg Heinrich Friedrich Hitzig, consigliere alle fabbriche del Re di Prussia. L’edificazione della struttura viene preceduta dal concorso finanziario del Comune, di banche e di privati cittadini, per una spesa di 117.000 fiorini. Le fonti contemporanee ricordano lo splendido palazzo, “destinato ad ospitare chi desideri passare l’estate in questa deliziosa località”, e dotato anche di sala da ballo al pianterreno, sale da pranzo, da gioco, del caffè e tre gallerie. Nel 1899 l’edificio risulta dotato di stanze per villeggianti, di una grande terrazza adibita a trattoria e dell”Hotel Ferdinandeo”, prima condotto da Maria Mrak poi da Vittorio Martinis. Il ristorante e l’albergo rimangono attivi fino al 1914. Durante la Seconda Guerra Mondiale il palazzo viene occupato prima da un Comando Tedesco, poi da partigiani slavi e successivamente dagli anglo-americani che si impossessano di gran parte degli arredi. Negli anni seguenti l’edificio viene adibito a varie destinazioni d’uso, nessuna delle quali tuttavia consona alla “nobiltà” dello stesso, come lamenta Ferdinando Ressel in una lettera scritta nel settembre 1967 alla Soprintendenza Gallerie e Monumenti. Nel 1985 l’edificio viene restaurato attraverso la sistemazione degli ambienti interni, il rifacimento degli intonaci esterni e la demolizione della veranda d’ingresso. A seguito delle disposizioni prese dal commissario governativo dal 1993 l’edificio ospita il MIB-Master International Business, consorzio creato dalle Università di Trieste ed Udine.
Il gruppo scultoreo collocato alla sommità della balaustra della facciata principale, costituito da due figure femminili rappresentanti Giustizia e Gloria, reggenti una ghirlanda con al centro il busto dell’imperatore Ferdinando I, accompagnato dall’iscrizione “Recta Tueri”, è opera dell’artista Francesco Cameroni.

Il Castelliere di Zagraiz

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Il Castelliere di Zagraiz

 

Quattro chilometri più a ponente trovasi il castelliere di Zagraiz (T. III, f. 12), del pari bene conservato, ma molto più piccolo, non misurando in periferia che 370 metri. Esso sorge a ridosso dell’omonimo villaggio sopra un colle di mediocre altezza e non possede che un’unica cinta, più forte dal lato orientale, ove ha tuttora un’ altezza di 3 a 4 metri ed una larghezza di 10 a lo, laddove il muro originario era grosso 1,50 metri. In buona parte coltivato, ha dovuto subire parecchie alterazioni nel corso de’ secoli, essendo stato abitato tanto in epoca romana che più tardi, come ci attestano le rovine di un castello medioevale e di altri edifizi. Perciò ai cocci preistorici vi sono frammisti pure altri di tempi posteriori.

In una vigna di Zagraiz si rinvennero, non é guari, pentole frammentate e parecchie fusaiuole preistoriche. Dalla parte opposta verso Goriansca esistono in tre campi gruppi di tombe romane a cassetta, di cui ne apersi tre, contenenti resti d’inumati (le cassette formate da sfaldature calcari, hanno una lunghezza di metri 2,30 e 2,50 ed una larghezza di 60 ad 80 centimetri. La prima tomba aperta, possedeva al fondo un’anfora ed una lucerna d’argilla, la seconda una patera d’argilla rossa, nella terza giacevano i resti di quattro individui, tra cui un bambino, dei quali però uno solo orientato colla testa a ponente, gli altri deposti senza alcun ordine. Di aggiunte non rinvenni che un pezzo di vaso di vetro ed un coltello di ferro).

Tratto da: Carlo de Marchesetti, I castellieri preistorici di Trieste e della regione Giulia, in Atti del Museo civico di Storia naturale, Trieste 1903.


Articolo di approfondimento sui Castellieri di Trieste e della Regione

Il Castelliere di Redipuglia

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Il Castelliere di Redipuglia

 

Il castelliere del nostro Carso che più si spinge ad occidente é quello di Redipuglia (f. 11), del pari al margine della pianura friulana, giacente a tergo del villaggio omonimo sopra un colle di 92 metri d’altezza. Di forma quadrilatera, cogli angoli arrotondati, possiede duplice cinta, l’esterna misurante 760 metri, l’interna 450. Dalla parte di nord-est, ove si annoda all’altipiano del Carso, quasi allo stesso livello, si rendeva necessaria più valida opera di difesa, e quivi troviamo di fatti un formidabile argine formato da un largo ammasso di blocchi, che s’erge tuttora a 6 od 8 metri d’altezza e ci fa arguire quanto robusto fosse il muro dal cui sfasciamento trasse origine. Più debole naturalmente é il vallo dalle altre parti, ove il maggior declivio naturale suppliva alla men forte costruzione. Da un lato la cinta esterna ed il relativo ripiano furono profondamente intaccati da una cava, d’ onde si estrae il materiale per la vicina fornace di calce. In questa occasione si rinvennero parecchi utensili, dei quali mi riesci di ricuperare una parte, mercé la gentilezza del proprietario. Vi praticai pure alcuni scavi, che mi fornirono numerosi frammenti di pentole, cote d’arenaria, pestelli, macine di trachite, resti d’animali, ecc.

Recentemente, in occasione dei lavori per il canale d’irrigazione dell’agro monfalconese, si scoprirono anche le necropoli appartenenti a questo castelliere, di cui una presso al villaggio di Redipuglia, l’altra un po’ più distante verso Ronchi. Mentre la prima giace a circa un metro di profondità, la seconda é ricoperta da uno strato di terreno alluvionale alto tre metri In quella apersi nove tombe, in questa 65, cui devesi aggiungere circa una quarantina, che andarono precedentemente distrutte dai lavoranti. Meno tre, tutte le altre erano ad incinerazione e constavano solitamente di un grande vaso-tomba o ziro d’argilla, coperto da un pezzo di pietra. Le necropoli appartengono ad un periodo tardo della prima epoca del ferro e sono piuttosto povere d’oggetti, tra i quali ricorderò alcune fibule serpeggianti e della Certosa, parecchi spilloni a globetti ed a riccio, forniti talora di schermo per la punta, armille, anelli, frammenti di cinture, saltaleoni, pendagli, perfette di vetro e di bronzo, fusaiuole, ecc.

Anni fa, a poca distanza tra Fogliano e Pollazzo, si rinvennero alcune accette di rame, di cui potei averne una, e due belle asce di pietra dura, che vennero acquistate dal nostro museo di archeologia.

Tratto da: Carlo de Marchesetti, I castellieri preistorici di Trieste e della regione Giulia, in Atti del Museo civico di Storia naturale, Trieste 1903.


Articolo di approfondimento sui Castellieri di Trieste e della Regione

Il Castelliere della Gradiscata

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Il Castelliere della Gradiscata

 

Un quarto castelliere (f. 10), il più vasto ed il meglio conservato sulla vetta adiacente, quello della Gradiscata o di S. Polo, é a duplice cinta, di cui l’esterna lunga 510 metri, l’interna 390, con bei ripiani circolari larghi 10 a 15 metri. Il vallo é assai robusto, specialmente dalla parte di sud-ovest, ove ha un’ altezza di 2 a 5 metri. Nello scavo che vi praticai alcuni anni or sono, raccolsi parecchi frammenti di stoviglie preistoriche ornate e resti d’animali. Nel ripiano della cinta esterna m’imbattei in un gruppo d’inumati d’epoca romana (vi apersi cinque tombe, in cui gli scheletri giacevano supini col capo rivolto a nord-ovest e con le braccia incrociate sul ventre, senza alcuno schermo né ai lati né di sopra. Solamente sotto la testa eravi posta una pietra. La prima tomba conteneva uno scheletro bene conservato, fornito di una fibula di bronzo a cerniera, di un orecchino d’argento, di una fusaiuola di argilla e di un pezzo d’osso lavorato. Un’altra tomba aveva pure uno scheletro in buono stato con una perla d’ambra, mentre delle altre tre tombe, senza aggiunte, una non conteneva che la parte inferiore dello scheletro, e due solamente resti di ossa decomposte. In ciascuna delle cinque tombe si rinvennero frammenti di pentole sfracellate di fine pasta).

Al piede del castelliere esiste un pianoro con piccola grotta, al cui fondo trovasi una raccolta d’acqua perenne, comunicante con un grande deposito sotterraneo, come ce lo dimostra l’apparire reiterato di protei. Così gli antichi abitanti non erano costretti a scendere fin alla pianura per attingere l’acqua, trovandone di eccellente in questa caverna.

Tratto da: Carlo de Marchesetti, I castellieri preistorici di Trieste e della regione Giulia, in Atti del Museo civico di Storia naturale, Trieste 1903.


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Il Castelliere delle Forcate

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Il Castelliere delle Forcate

 

A poca distanza dalla Rocca stendesi un altro castelliere, detto delle Forcate (T. III, f. 9), con vallo in parte tuttora esistente, largo 5 a 10 metri ed alto 0.5 ad 1, mancante dal lato di nord-ovest, ove il terreno é assai rupestre e quindi non possiede che appena qualche traccia della spianata. La sua circonferenza é di circa 600 metri.

Tratto da: Carlo de Marchesetti, I castellieri preistorici di Trieste e della regione Giulia, in Atti del Museo civico di Storia naturale, Trieste 1903.


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Il Castelliere della Rocca di Monfalcone

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Il Castelliere della Rocca di Monfalcone

 

Molto meglio conservato é quello che sorge immediatamente a tergo di Monfalcone, alto 85 metri, su cui torreggia ancora la Rocca attribuita a Teodorico ed in cui si vuol vedere l’antico castello della Verucca (f. 8). Già dalla stazione della ferrata si scorge la cinta biancheggiante, che fascia il monte a mezza costa e che é il vallo preistorico, sussistente ancora per una lunghezza di 140 metri, ai lati di levante, mezzogiorno e ponente, laddove solo qualche traccia se ne conservò dalla parte settentrionale, ove non si può seguirlo che assai difficilmente causa la fitta sterpaja, che ne impedisce il passaggio. Esso comincia al punto culminante, occupato dalla Rocca, la quale é circondata da un ampio fosso circolare di 210 metri di periferia, e si distende alla falda volta a meriggio. Il muro aveva una grossezza di 1,80 metri, ed il vallo risultante dallo sfasciarsi dello stesso, misura da 10 a 15 metri. Però anche dal lato opposto veggonsi resti di mura, forse aggiuntevi più tardi per amplificare il castelliere, quando non poteva capire l’accresciuta popolazione. Nel terriccio assai nero, come pure alla superficie, giacciono numerosi cocci.

Tratto da: Carlo de Marchesetti, I castellieri preistorici di Trieste e della regione Giulia, in Atti del Museo civico di Storia naturale, Trieste 1903.


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Il Castelliere del Monte Golas

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Il Castelliere del Monte Golas

 

Il primo più ad oriente sulla eminenza maggiore di questa serie di colli (122 metri) detta M. Golas, che forma un dosso arrotondato totalmente nudo, é assai deteriorato, non essendovi visibili che poche tracce del vallo e della relativa spianata (f. 7). E’ quasi rotondo e misura circa 170 metri di circonferenza.

Tratto da: Carlo de Marchesetti, I castellieri preistorici di Trieste e della regione Giulia, in Atti del Museo civico di Storia naturale, Trieste 1903.


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Il Castelliere di Brestovec

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Il Castelliere di Brestovec

 

Giacché abbiamo parlato dei tre castellieri, che velettano l’ingresso meridionale del così detto Vallone, credo opportuno di aggiungervi tosto quello di Brestovec (f. 6) che ne difendeva l’accesso dal lato opposto non lungi da Gabria. Molto più piccolo dei precedenti, esso giace sopra un cocuzzolo di 209 metri ed é a duplice cinta, mancante di vallo dalla parte di mezzogiorno, ove trova validissima difesa nelle aspre rocce dentellate. La sommità del monte, del pari totalmente rocciosa, presenta un vallo parzialmente conservato di 2 a 3 metri di grossezza e della periferia di soli 75. In miglior stato trovasi il vallo esterno, largo 4 a 6 metri, del quale esistono ancora 160 metri, con un bel ripiano di fi a 8 metri che si restringe e cessa al lato meridionale. La nativa rocciosa e la fitta vegetazione ne rendono alquanto malagevole una misurazione precisa. Nei punti dilavati veggonsi abbondanti cocci di rozzo impasto.

Tratto da: Carlo de Marchesetti, I castellieri preistorici di Trieste e della regione Giulia, in Atti del Museo civico di Storia naturale, Trieste 1903.


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Il Castelliere di Doberdò

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Il Castelliere di  Doberdò
Il Castellazzo di Doberdò (160 metri) era una posizione fortissima, essendo da tre lati limitato da pendici ripidissime ed in più luoghi da rocce perpendicolari (f. 5). Per tal motivorimase abitato anche in epoche posteriori, come ci fanno fede le varie costruzioni e specialmente i resti di un castello medioevale con una torre ed il forte muro a cemento, grosso 2,50 metri, sovrapposto all’antico vallo. Questo ha tuttora una lunghezza di mezzo chilometro e manca solamente a sud-ovest essendovi affatto superfluo per la ripidità della china rocciosa che tuffa la sua base nel sottostante lago. Un piccolo assaggio praticatovi ci diede oltre a parecchi cocci preistorici e romani, un coltellino di selce, frammenti di bronzo ed alcune frecce di ferro.

Tratto da: Carlo de Marchesetti, I castellieri preistorici di Trieste e della regione Giulia, in Atti del Museo civico di Storia naturale, Trieste 1903.


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Il Castelliere di  Vertace

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Il Castelliere di  Vertace
Il primo di questi sorge sur un colle isolato di 145 metri, (nominato sulla carta dello St. Magg. Nad Cherupa Kupa), che s’interpone tra il laghetto di Pietra Rossa e quello di Doberdò. Parte imboscato e parte ridotto a prato, esso comprende oltre che la vetta anche il sottostante pianoro, di circa 80 metri più basso (T. III, f. 4). E uno de’ più vasti, misurando la sua cinta esterna oltre ad un chilometro. Per la sua forma ricorda quello di Flondar, cominciando all’apice del monte, ove trovasi un allargamento derivante forse da una torre crollata, e stendendosi sulla falda di sud-ovest, come quella che era meglio riparata dai venti impetuosi. Il vallo conservato tuttora per una lunghezza di 720 metri, ne ha in larghezza da 5 a 10 ed é in media alto 1 metro. Causa il pendio roccioso esso manca al lato di nord-ovest. A 60 metri dall’apice é diviso trasversalmente da un altro vallo, però molto più debole. Nella parte più depressa, ove viene tagliato da una strada, evvi una vallicella con molta argilla, sicché 1’acqua vi ristagna facilmente. Causa la fitta vegetazione, sebbene il terriccio sia nerissimo, si veggono solo pochi cocci.

Tratto da: Carlo de Marchesetti, I castellieri preistorici di Trieste e della regione Giulia, in Atti del Museo civico di Storia naturale, Trieste 1903.


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Il Castelliere di Flondar

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Il Castelliere di  Flondar

 

Procedendo verso ponente noi incontriamo un altro castelliere a due chilometri di distanza, presso i casali di Flondar, su un colle alto 149 metri, e pur questo di dimensioni considerevoli (T. II, f. 9). Anch’esso é a due cinte, che però, a differenza di quello testé descritto, non girano intorno al monte, ma cominciando alla vetta, oltremodo rocciosa, circondano la falda volta verso sud-ovest. La cinta interna, della periferia di 370 metri, consta a sud-est, per una lunghezza di 180 metri, di un vallo poderoso, proveniente dalla distruzione di un muro grosso 2 metri, mentre dal lato opposto vi manca o non é che parzialmente conservato. Il suo ripiano é largo 8 a 12 metri. La cinta esterna comincia egualmente alla vetta ed, altrettanto poderosa, si prolunga in direzione sud-est per 250 metri, ove cessa in una depressione del terreno, laddove quella del lato opposto, formata da grossi blocchi rovesciati, scende giù per la china per un’ottantina di metri e si perde nel bosco, senza permettere di seguirla più oltre. Tuttavia tenendo conto delle tracce del ripiano esterno, si può calcolare a circa 600 metri la sua periferia. Il terriccio vi é nero con cocci numerosi ed é totalmente imboscato. Innicchiata nel muro si trovò una pentola contenente le ossa di un combusto. Il castelliere di Fiondai” aveva certamente un’ importanza speciale, per la sua posizione all’ingresso del Vallone di Duino.

Tratto da: Carlo de Marchesetti, I castellieri preistorici di Trieste e della regione Giulia, in Atti del Museo civico di Storia naturale, Trieste 1903.


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Il Castelliere di  Nad Ulinca

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Il Castelliere di  Nad Ulinca

 

Un chilometro più a nord della vetta principale giace su un monte roccioso, il castelliere detto Nad Ulinca (248 metri), di faccia al villaggio di Brestovizza, uno dei castellieri più formidabili del nostro distretto, visibile già da lontano per la grandiosità del suo vallo. Esso (T.III, f. 3) é a doppia cinta, di cui l’interna più debole, lunga 270 metri, é alquanto deteriorata, laddove 1’esterna misurante 710 metri ci presenta un vallo alto da 5 a 8 metri, formato dal rovesciamento di un muro grosso 2,50 metri. Dall’enorme massa di sfasciume che circonda tutto intorno il monte come una zona larga da 25 a 30 metri, si può farsi un’idea della robustezza delle sue opere fortificatorie. Solamente al lato settentrionale, ove il castelliere scende assai ripido e roccioso, manca quasi totalmente il vallo od appare meno forte. Tanto entro la cinta interna che esterna, corre tutt’all’ingiro un ripiano circolare, che specialmente in quest’ultima, ha una larghezza di 10 a 15 metri e per un tratto di 25.
La cinta esterna comunica coll’interna a mezzo di una rampa ascendente lunga 112 metri, che metteva pure alla porta principale del castelliere, volta verso Bresovizza, che presenta ai lati due enormi ammassi di blocchi calcari, alti da 3 a 5 metri, provenienti forse dallo sfasciarsi di due toni, che ne difendevano l’ingresso. Altre due porte sono tuttora visibili nel vallo esterno, d’onde partono i viottoli che conducono al basso. L’apice che sovrasta di 50 a 60 metri la cinta esterna, consta di nude rocce corrose. Il terriccio nerissimo abbonda di cocci. Il castelliere fu senza dubbio abitato anche in epoche posteriori, trovandosi tracce di edifici a mura con calce. Del pari il vallo esterno, dal lato di mezzogiorno, appare rafforzato da costruzioni in cemento.

Tratto da: Carlo de Marchesetti, I castellieri preistorici di Trieste e della regione Giulia, in Atti del Museo civico di Storia naturale, Trieste 1903.


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Il Castelliere di Monte Ermada

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Il Castelliere di Monte Ermada

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Sulla vetta principale del M. Ermada trovasi un piccolo castelliere (T. III. f. 1) ad un’unica cinta circolare di appena 130 metri di periferia. Il suo vallo largo 8 a 12 metri ed alto 1, abbastanza bene conservato, proviene da un muro della grossezza di 1,50 metri. Imboscato al pari di tutto il monte, esso é pianeggiante e possiede nel mezzo un tumolo di sassi, alto 2 metri e del diametro di 12. Il terriccio é assai nero e ricco di cocci. Questa vetta fu prescelta quale sede dai nostri castricoli principalmente per la sua posizione elevata e dominante su tutte le circostanti, per modo che lo sguardo può spaziare su un vastissimo territorio e quindi presentavasi quale un’eccellente vedetta. Ma l’area di essa, troppo ristretta, non poteva certamente offrire spazio sufficiente ad una popolazione numerosa, la quale si stabili perciò su un ampio dosso arrotondato, che trovasi dappresso, una cinquantina di metri più in basso.

Tratto da: Carlo de Marchesetti, I castellieri preistorici di Trieste e della regione Giulia, in Atti del Museo civico di Storia naturale, Trieste 1903.


Articolo di approfondimento sui Castellieri di Trieste e della Regione

Il Castelliere di Monte Ermada

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Il Castelliere di Monte Ermada

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Sulla vetta principale del M. Ermada trovasi un piccolo castelliere (T. III. f. 1) ad un’unica cinta circolare di appena 130 metri di periferia. Il suo vallo largo 8 a 12 metri ed alto 1, abbastanza bene conservato, proviene da un muro della grossezza di 1,50 metri. Imboscato al pari di tutto il monte, esso é pianeggiante e possiede nel mezzo un tumolo di sassi, alto 2 metri e del diametro di 12. Il terriccio é assai nero e ricco di cocci. Questa vetta fu prescelta quale sede dai nostri castricoli principalmente per la sua posizione elevata e dominante su tutte le circostanti, per modo che lo sguardo può spaziare su un vastissimo territorio e quindi presentavasi quale un’eccellente vedetta. Ma l’area di essa, troppo ristretta, non poteva certamente offrire spazio sufficiente ad una popolazione numerosa, la quale si stabili perciò su un ampio dosso arrotondato, che trovasi dappresso, una cinquantina di metri più in basso.

Tratto da: Carlo de Marchesetti, I castellieri preistorici di Trieste e della regione Giulia, in Atti del Museo civico di Storia naturale, Trieste 1903.


Articolo di approfondimento sui Castellieri di Trieste e della Regione Giulia

Il Castelliere di Slivno

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Il Castelliere di Slivno

 

 

Non sull’asse principale della catena, ma spostato alquanto verso mezzogiorno, sorge sopra una collina di circa 200 metri il castelliere di Slivno (T. Il, f. 8.), che giacendo a poca distanza dal viadotto di Aurisina, viene rimarcato da ognuno per la sua forma caratteristica e per il suo vallo egregiamente conservato, che gli danno l’aspetto di una fortezza. Esso possiede una cinta interna quasi circolare di 270 metri con un vallo che dal lato orientale é alto tuttora circa 8 metri ed il cui mm’o riconoscibile nella massa di sfasciume, ha una grossezza di metri 2,15. A questa parte più elevata del castelliere si aggiunge un vallo esterno di circa 300 metri, che lo cinge dal lato settentrionale. Nei dintorni apresi nel calcare ippuritico un gran numero di grotte, la maggior parte delle quali con copiosi resti di trogloditi.

Tratto da: Carlo de Marchesetti, I castellieri preistorici di Trieste e della regione Giulia, in Atti del Museo civico di Storia naturale, Trieste 1903.


Articolo di approfondimento sui Castellieri di Trieste e della Regione Giulia

Il Castelliere di Slivno

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Il Castelliere di Slivno

 

Non sull’asse principale della catena, ma spostato alquanto verso mezzogiorno, sorge sopra una collina di circa 200 metri il castelliere di Slivno (T. Il, f. 8.), che giacendo a poca distanza dal viadotto di Aurisina, viene rimarcato da ognuno per la sua forma caratteristica e per il suo vallo egregiamente conservato, che gli danno l’aspetto di una fortezza. Esso possiede una cinta interna quasi circolare di 270 metri con un vallo che dal lato orientale é alto tuttora circa 8 metri ed il cui mm’o riconoscibile nella massa di sfasciume, ha una grossezza di metri 2,15. A questa parte più elevata del castelliere si aggiunge un vallo esterno di circa 300 metri, che lo cinge dal lato settentrionale. Nei dintorni apresi nel calcare ippuritico un gran numero di grotte, la maggior parte delle quali con copiosi resti di trogloditi.

Tratto da: Carlo de Marchesetti, I castellieri preistorici di Trieste e della regione Giulia, in Atti del Museo civico di Storia naturale, Trieste 1903.


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Il Castelliere di Gradine

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Il Castelliere di Gradine

 

A poca distanza da questo castelliere, dal quale viene diviso da una piccola sella, havvene un altro, detto Gradine (T. II, f. 7), sul colle che s’eleva a tergo del villaggio di Ternovizza, a circa 340 metri d’altezza. Esso é ad un’unica cinta lunga 380 metri con vallo largo da 3 a 6 metri e mancante della parte di ponente, ove il monte scende a precipizio, e di mezzogiorno ove trovasi un piccolo campo coltivato. Sembra non esser stato lungamente abitato, essendo il terriccio poco nero ed assai scarsi i cocci.

Tratto da: Carlo de Marchesetti, I castellieri preistorici di Trieste e della regione Giulia, in Atti del Museo civico di Storia naturale, Trieste 1903.


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Il Castelliere di San Leonardo

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Il Castelliere di San Leonardo

 

Uno de’ castellieri più rimarchevoli e per costruzione e per la sua posizione elevata (401 metri), d’onde si gode mia vista libera da ogni lato, é quello di S. Leonardo al disopra di Samatorza (T. Il, f. 6). Un vallo robusto circonda per 260 metri l’apice del monte, cui si annoda la cinta esterna, che si distende per 600 metri intorno al dosso sottostante. Questa cinta presenta, oltre due valli trasversali, venendo l’area rinchiusa divisa per tal modo in tre parti. Sul punto culminante scorgonsi le rovine di antica cappella dedicata al santo, d’onde il monte trasse il suo nome. I ripiani entro le cinte sono bene conservati e constano di terriccio nerissimo con numerosi cocci, tra i quali non rari gli anelli d’argilla. Una piccola grotta trovasi entro la cinta esterna e parecchie altre sono sparse nei dintorni, delle quali alcune abitate in antico, come la Grotta azzurra, dalla quale trassi una bella collezione di oggetti neolitici.

Tratto da: Carlo de Marchesetti, I castellieri preistorici di Trieste e della regione Giulia, in Atti del Museo civico di Storia naturale, Trieste 1903.


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Il Castelliere di Gradez

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Il Castelliere di Gradez

 

L’altro Castelliere, un po’ più lontano, sulla vetta più alta (M. Dernovcah, 407 metri), nominato dai terrazzani Gradez (T. Il, f. 5) ha una doppia cinta, formata di grossi blocchi, di cui l’interna lunga appena 190 metri e quasi circolare, é in buonissimo stato; l’esterna di 240 metri é mancante invece in alcuni tratti ed un po’ meno grossa di quella. Anche questo é totalmente imboscato

Tratto da: Carlo de Marchesetti, I castellieri preistorici di Trieste e della regione Giulia, in Atti del Museo civico di Storia naturale, Trieste 1903.


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La chiesa di san Nicolò dei Greci : la grande icona di san Nicolò

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Grande icona di san Nicola Foto di Elisabetta Marcovich

Nel 1750-51 con sovrana risoluzione l’imperatrice Maria Teresa concesse alla “nazione greca” di praticare il proprio culto in una chiesa per il loro rito. La parola Nazione greca allora aveva significato esclusivamente religioso ed indicava i fedeli della confessione cristiana ortodossa. La chiesa che venne costruita fu la prima chiesa di san Spiridione, ora sostituita da una successiva. Nel 1781 le due comunità linguistiche greca e serba, per divergenza sulla lingua d’uso nei riti, si divisero, ed i Greci iniziarono a ritrovarsi in casa Andrulachi, uno dei membri della Comunità. Grazie all’editto di tolleranza di Giuseppe II ottennero di potersi costruire una nuova chiesa, inaugurata nel 1787: chiesa provvisoria, che appena nel 1818 venne conclusa in forme neoclassiche ad opera dell’architetto Matteo Pertsch.
La nuova chiesa, dedicata alla Trinità e a san Nicolò, è ad una navata, con banchi laterali sopraelevati e una balconata per coro e gineceo. Grandiosa l’iconostasi di fondo con le tre porte che si aprono verso il bema ( altare) o presbiterio, utilizzato dal sacerdote durante i riti.
I grandi lampadari d’argento sono di provenienza russa , metà ottocento, gli affreschi in parte di autore sconosciuto, in parte della scuola di Trigonis, pittore greco stabilitosi a Trieste nella prima metà dell’ottocento. Presenti due note pale di Cesare Dell’Acqua, Gesù fra i bambini e san Giovanni Battista.
L’arredamento liturgico comprende diverse icone, alcune esposte il chiesa, altre nell’annesso museo della comunità, un Epitafios , rappresentazione del S Sepolcro, di bottega triestina della fine del Settecento, due “exapteryga” dischi d’argento con i Cherubini a 6 ali .
Le principali funzioni a cui partecipano spesso anche membri di altre Comunità religiose triestine sono Pasqua e Natale, l’Epifania con il memoriale del Battesimo di Cristo e la benedizione delle acque, il solenne Vespro della Vigilia di san Nicolò, la processione dell’Epitafios il venerdì santo e la festa nazionale greca. (E.M.)

La chiesa di san Nicolò dei Greci : gli Exapteryga

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Exapteryga disco  in forma di ventaglio processionale, con immagini di Cherubini a 6 ali. Foto di Elisabetta Marcovich

Nel 1750-51 con sovrana risoluzione l’imperatrice Maria Teresa concesse alla “nazione greca” di praticare il proprio culto in una chiesa per il loro rito. La parola Nazione greca allora aveva significato esclusivamente religioso ed indicava i fedeli della confessione cristiana ortodossa. La chiesa che venne costruita fu la prima chiesa di san Spiridione, ora sostituita da una successiva. Nel 1781 le due comunità linguistiche greca e serba, per divergenza sulla lingua d’uso nei riti, si divisero, ed i Greci iniziarono a ritrovarsi in casa Andrulachi, uno dei membri della Comunità. Grazie all’editto di tolleranza di Giuseppe II ottennero di potersi costruire una nuova chiesa, inaugurata nel 1787: chiesa provvisoria, che appena nel 1818 venne conclusa in forme neoclassiche ad opera dell’architetto Matteo Pertsch.
La nuova chiesa, dedicata alla Trinità e a san Nicolò, è ad una navata, con banchi laterali sopraelevati e una balconata per coro e gineceo. Grandiosa l’iconostasi di fondo con le tre porte che si aprono verso il bema ( altare) o presbiterio, utilizzato dal sacerdote durante i riti.
I grandi lampadari d’argento sono di provenienza russa , metà ottocento, gli affreschi in parte di autore sconosciuto, in parte della scuola di Trigonis, pittore greco stabilitosi a Trieste nella prima metà dell’ottocento. Presenti due note pale di Cesare Dell’Acqua, Gesù fra i bambini e san Giovanni Battista.
L’arredamento liturgico comprende diverse icone, alcune esposte il chiesa, altre nell’annesso museo della comunità, un Epitafios , rappresentazione del S Sepolcro, di bottega triestina della fine del Settecento, due “exapteryga” dischi d’argento con i Cherubini a 6 ali .
Le principali funzioni a cui partecipano spesso anche membri di altre Comunità religiose triestine sono Pasqua e Natale, l’Epifania con il memoriale del Battesimo di Cristo e la benedizione delle acque, il solenne Vespro della Vigilia di san Nicolò, la processione dell’Epitafios il venerdì santo e la festa nazionale greca. (E.M.)

La chiesa di san Nicolò dei Greci : una cerimonia

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Cerimonia nella chiesa di san Nicolò dei Greci: Crocifisso ed Exapteryga. Foto di Elisabetta Marcovich

Nel 1750-51 con sovrana risoluzione l’imperatrice Maria Teresa concesse alla “nazione greca” di praticare il proprio culto in una chiesa per il loro rito. La parola Nazione greca allora aveva significato esclusivamente religioso ed indicava i fedeli della confessione cristiana ortodossa. La chiesa che venne costruita fu la prima chiesa di san Spiridione, ora sostituita da una successiva. Nel 1781 le due comunità linguistiche greca e serba, per divergenza sulla lingua d’uso nei riti, si divisero, ed i Greci iniziarono a ritrovarsi in casa Andrulachi, uno dei membri della Comunità. Grazie all’editto di tolleranza di Giuseppe II ottennero di potersi costruire una nuova chiesa, inaugurata nel 1787: chiesa provvisoria, che appena nel 1818 venne conclusa in forme neoclassiche ad opera dell’architetto Matteo Pertsch.
La nuova chiesa, dedicata alla Trinità e a san Nicolò, è ad una navata, con banchi laterali sopraelevati e una balconata per coro e gineceo. Grandiosa l’iconostasi di fondo con le tre porte che si aprono verso il bema ( altare) o presbiterio, utilizzato dal sacerdote durante i riti.
I grandi lampadari d’argento sono di provenienza russa , metà ottocento, gli affreschi in parte di autore sconosciuto, in parte della scuola di Trigonis, pittore greco stabilitosi a Trieste nella prima metà dell’ottocento. Presenti due note pale di Cesare Dell’Acqua, Gesù fra i bambini e san Giovanni Battista.
L’arredamento liturgico comprende diverse icone, alcune esposte il chiesa, altre nell’annesso museo della comunità, un Epitafios , rappresentazione del S Sepolcro, di bottega triestina della fine del Settecento, due “exapteryga” dischi d’argento con i Cherubini a 6 ali .
Le principali funzioni a cui partecipano spesso anche membri di altre Comunità religiose triestine sono Pasqua e Natale, l’Epifania con il memoriale del Battesimo di Cristo e la benedizione delle acque, il solenne Vespro della Vigilia di san Nicolò, la processione dell’Epitafios il venerdì santo e la festa nazionale greca. (E.M.)

La chiesa di san Nicolò dei Greci : interno, iconostasi e soffitto

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Chiesa di san Nicolò dei Greci: la parte alta dell'iconostasi. Foto di Elisabetta Marcovich

Nel 1750-51 con sovrana risoluzione l’imperatrice Maria Teresa concesse alla “nazione greca” di praticare il proprio culto in una chiesa per il loro rito. La parola Nazione greca allora aveva significato esclusivamente religioso ed indicava i fedeli della confessione cristiana ortodossa. La chiesa che venne costruita fu la prima chiesa di san Spiridione, ora sostituita da una successiva. Nel 1781 le due comunità linguistiche greca e serba, per divergenza sulla lingua d’uso nei riti, si divisero, ed i Greci iniziarono a ritrovarsi in casa Andrulachi, uno dei membri della Comunità. Grazie all’editto di tolleranza di Giuseppe II ottennero di potersi costruire una nuova chiesa, inaugurata nel 1787: chiesa provvisoria, che appena nel 1818 venne conclusa in forme neoclassiche ad opera dell’architetto Matteo Pertsch.
La nuova chiesa, dedicata alla Trinità e a san Nicolò, è ad una navata, con banchi laterali sopraelevati e una balconata per coro e gineceo. Grandiosa l’iconostasi di fondo con le tre porte che si aprono verso il bema ( altare) o presbiterio, utilizzato dal sacerdote durante i riti.
I grandi lampadari d’argento sono di provenienza russa , metà ottocento, gli affreschi in parte di autore sconosciuto, in parte della scuola di Trigonis, pittore greco stabilitosi a Trieste nella prima metà dell’ottocento. Presenti due note pale di Cesare Dell’Acqua, Gesù fra i bambini e san Giovanni Battista.
L’arredamento liturgico comprende diverse icone, alcune esposte il chiesa, altre nell’annesso museo della comunità, un Epitafios , rappresentazione del S Sepolcro, di bottega triestina della fine del Settecento, due “exapteryga” dischi d’argento con i Cherubini a 6 ali .
Le principali funzioni a cui partecipano spesso anche membri di altre Comunità religiose triestine sono Pasqua e Natale, l’Epifania con il memoriale del Battesimo di Cristo e la benedizione delle acque, il solenne Vespro della Vigilia di san Nicolò, la processione dell’Epitafios il venerdì santo e la festa nazionale greca. (E.M.) ·

La chiesa di san Nicolò dei Greci : interno

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San Nicolò dei Greci: interno il Venerdì santo
Foto Elisabetta Marcovich

Nel 1750-51 con sovrana risoluzione l’imperatrice Maria Teresa concesse alla “nazione greca” di praticare il proprio culto in una chiesa per il loro rito. La parola Nazione greca allora aveva significato esclusivamente religioso ed indicava i fedeli della confessione cristiana ortodossa. La chiesa che venne costruita fu la prima chiesa di san Spiridione, ora sostituita da una successiva. Nel 1781 le due comunità linguistiche greca e serba, per divergenza sulla lingua d’uso nei riti, si divisero, ed i Greci iniziarono a ritrovarsi in casa Andrulachi, uno dei membri della Comunità. Grazie all’editto di tolleranza di Giuseppe II ottennero di potersi costruire una nuova chiesa, inaugurata nel 1787: chiesa provvisoria, che appena nel 1818 venne conclusa in forme neoclassiche ad opera dell’architetto Matteo Pertsch.
La nuova chiesa, dedicata alla Trinità e a san Nicolò, è ad una navata, con banchi laterali sopraelevati e una balconata per coro e gineceo. Grandiosa l’iconostasi di fondo con le tre porte che si aprono verso il bema ( altare) o presbiterio, utilizzato dal sacerdote durante i riti.
I grandi lampadari d’argento sono di provenienza russa , metà ottocento, gli affreschi in parte di autore sconosciuto, in parte della scuola di Trigonis, pittore greco stabilitosi a Trieste nella prima metà dell’ottocento. Presenti due note pale di Cesare Dell’Acqua, Gesù fra i bambini e san Giovanni Battista.
L’arredamento liturgico comprende diverse icone, alcune esposte il chiesa, altre nell’annesso museo della comunità, un Epitafios , rappresentazione del S Sepolcro, di bottega triestina della fine del Settecento, due “exapteryga” dischi d’argento con i Cherubini a 6 ali .
Le principali funzioni a cui partecipano spesso anche membri di altre Comunità religiose triestine sono Pasqua e Natale, l’Epifania con il memoriale del Battesimo di Cristo e la benedizione delle acque, il solenne Vespro della Vigilia di san Nicolò, la processione dell’Epitafios il venerdì santo e la festa nazionale greca. (E.M.)

Trieste: Piazza della Borsa 4.

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Trieste: Piazza della Borsa 4.
Foto Paolo Carbonaio
Trieste: Piazza della Borsa 4.
L’edificio venne progettato nel 1788 dai fratelli Vogel. L’aspetto originario della struttura venne alterato nel 1824 per la sopraelevazione del quarto piano su disegno dell’architetto Muiesan. Nel 1904 la facciata venne modificata in modo determinante su progetto di Claudio De Nolde. Modifiche successive hanno interessato gli spazi del pianoterra.
La struttura, con affaccio principale su Piazza della Borsa e secondario su Via delle Beccherie, presenta pianta rettangolare con cinque livelli fuori terra più un piano sottotetto abitabile con lucernai. La facciata principale è caratterizzata da un basamento a bugnato su cui si aprono dei fori architettonici ad uso commerciale al primo livello, e finestre rettangolari al secondo e terzo piano. L’ingresso principale è sormontato da un balcone con balaustre ad anfore in pietra. Al di sopra delle finestre del secondo piano si trovano tre pannelli a bassorilievo attribuiti ad Antonio Bosa.
Il quarto piano presenta finestre timpanate con finto parapetto a balaustrini. Il quinto piano è caratterizzato da finestre con lunetta, inquadrate entro archi a tutto centro e decorazioni con motivi a festoni. Paraste scanalate di ordine gigante con capitello dorico articolano il quarto e quinto livello. Il sottotetto presenta delle finestrelle affiancate da decorazioni a rilievo con nastri e ghirlande. Cornice dentellata a coronamento dell’edificio. (da:biblioteche.comune.trieste.it)

Trieste: Piazza della Borsa 4.

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Trieste: Piazza della Borsa 4.
L’edificio venne progettato nel 1788 dai fratelli Vogel. L’aspetto originario della struttura venne alterato nel 1824 per la sopraelevazione del quarto piano su disegno dell’architetto Muiesan. Nel 1904 la facciata venne modificata in modo determinante su progetto di Claudio De Nolde. Modifiche successive hanno interessato gli spazi del pianoterra.
La struttura, con affaccio principale su Piazza della Borsa e secondario su Via delle Beccherie, presenta pianta rettangolare con cinque livelli fuori terra più un piano sottotetto abitabile con lucernai. La facciata principale è caratterizzata da un basamento a bugnato su cui si aprono dei fori architettonici ad uso commerciale al primo livello, e finestre rettangolari al secondo e terzo piano. L’ingresso principale è sormontato da un balcone con balaustre ad anfore in pietra. Al di sopra delle finestre del secondo piano si trovano tre pannelli a bassorilievo attribuiti ad Antonio Bosa.
Il quarto piano presenta finestre timpanate con finto parapetto a balaustrini. Il quinto piano è caratterizzato da finestre con lunetta, inquadrate entro archi a tutto centro e decorazioni con motivi a festoni. Paraste scanalate di ordine gigante con capitello dorico articolano il quarto e quinto livello. Il sottotetto presenta delle finestrelle affiancate da decorazioni a rilievo con nastri e ghirlande. Cornice dentellata a coronamento dell’edificio. (da:biblioteche.comune.trieste.it)

Trieste: Piazza della Borsa 4.

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L’edificio venne progettato nel 1788 dai fratelli Vogel. L’aspetto originario della struttura venne alterato nel 1824 per la sopraelevazione del quarto piano su disegno dell’architetto Muiesan. Nel 1904 la facciata venne modificata in modo determinante su progetto di Claudio De Nolde. Modifiche successive hanno interessato gli spazi del pianoterra.
La struttura, con affaccio principale su Piazza della Borsa e secondario su Via delle Beccherie, presenta pianta rettangolare con cinque livelli fuori terra più un piano sottotetto abitabile con lucernai. La facciata principale è caratterizzata da un basamento a bugnato su cui si aprono dei fori architettonici ad uso commerciale al primo livello, e finestre rettangolari al secondo e terzo piano. L’ingresso principale è sormontato da un balcone con balaustre ad anfore in pietra. Al di sopra delle finestre del secondo piano si trovano tre pannelli a bassorilievo attribuiti ad Antonio Bosa.
Il quarto piano presenta finestre timpanate con finto parapetto a balaustrini. Il quinto piano è caratterizzato da finestre con lunetta, inquadrate entro archi a tutto centro e decorazioni con motivi a festoni. Paraste scanalate di ordine gigante con capitello dorico articolano il quarto e quinto livello. Il sottotetto presenta delle finestrelle affiancate da decorazioni a rilievo con nastri e ghirlande. Cornice dentellata a coronamento dell’edificio. (da:biblioteche.comune.trieste.it)

La chiesa di san Nicolò dei Greci : esterno

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La chiesa di san Nicolò dei Greci: esterno.
Foto di Elisabetta Marcovich

Nel 1750-51 con sovrana risoluzione l’imperatrice Maria Teresa concesse alla “nazione greca” di praticare il proprio culto in una chiesa per il loro rito. La parola Nazione greca allora aveva significato esclusivamente religioso ed indicava i fedeli della confessione cristiana ortodossa. La chiesa che venne costruita fu la prima chiesa di san Spiridione, ora sostituita da una successiva. Nel 1781 le due comunità linguistiche greca e serba, per divergenza sulla lingua d’uso nei riti, si divisero, ed i Greci iniziarono a ritrovarsi in casa Andrulachi, uno dei membri della Comunità. Grazie all’editto di tolleranza di Giuseppe II ottennero di potersi costruire una nuova chiesa, inaugurata nel 1787: chiesa provvisoria, che appena nel 1818 venne conclusa in forme neoclassiche ad opera dell’architetto Matteo Pertsch.
La nuova chiesa, dedicata alla Trinità e a san Nicolò, è ad una navata, con banchi laterali sopraelevati e una balconata per coro e gineceo. Grandiosa l’iconostasi di fondo con le tre porte che si aprono verso il bema ( altare) o presbiterio, utilizzato dal sacerdote durante i riti.
I grandi lampadari d’argento sono di provenienza russa , metà ottocento, gli affreschi in parte di autore sconosciuto, in parte della scuola di Trigonis, pittore greco stabilitosi a Trieste nella prima metà dell’ottocento. Presenti due note pale di Cesare Dell’Acqua, Gesù fra i bambini e san Giovanni Battista.
L’arredamento liturgico comprende diverse icone, alcune esposte il chiesa, altre nell’annesso museo della comunità, un Epitafios , rappresentazione del S Sepolcro, di bottega triestina della fine del Settecento, due “exapteryga” dischi d’argento con i Cherubini a 6 ali .
Le principali funzioni a cui partecipano spesso anche membri di altre Comunità religiose triestine sono Pasqua e Natale, l’Epifania con il memoriale del Battesimo di Cristo e la benedizione delle acque, il solenne Vespro della Vigilia di san Nicolò, la processione dell’Epitafios il venerdì santo e la festa nazionale greca. (E.M.) ·

Il Castelliere di Gradisce

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Il Castelliere di Gradisce

 

Procedendo più oltre ci si affacciano presso al villaggio di Salles due castellieri, uno ad oriente detto Gradisce (T. Il, f. 4), sopra una piccola eminenza, segnata sulla carta dello Stato maggiore con 316 metri, immediatamente sopra il villaggio; di forma quadrilatera arrotondata, ad una sola cinta della lunghezza di 410 metri, occupa il vertice del monte ed é al pari di questo imboscato, ad eccezione di un piccolo tratto ridotto a vigna. Il suo vallo, benissimo conservato, vi gira tutt’intorno ed é in alcuni punti alto tuttora 2 e più metri; la relativa spianata circolare misura in larghezza da 6 a 8 metri.

Tratto da: Carlo de Marchesetti, I castellieri preistorici di Trieste e della regione Giulia, in Atti del Museo civico di Storia naturale, Trieste 1903.


Articolo di approfondimento sui Castellieri di Trieste e della Regione Giulia

Trieste: Piazza della Borsa 2.

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Trieste: Piazza della Borsa 2.
Foto Paolo Carbonaio
Trieste: Piazza della Borsa 2.
Palazzo databile agli inizi del XIX secolo. Il palazzo è parte del complesso delle Case Dumas, il cui nome deriva dall’originaria proprietaria Angelica Dumas. La statua posta sul balcone rappresenta San Giovanni Evangelista ( S. IOANNES EVANGELISTA)

Trieste: Piazza della Borsa 2.

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Trieste: Piazza della Borsa 2.
Palazzo databile agli inizi del XIX secolo. Il palazzo è parte del complesso delle Case Dumas, il cui nome deriva dall’originaria proprietaria Angelica Dumas. La statua posta sul balcone rappresenta San Giovanni Evangelista ( S. IOANNES EVANGELISTA)

Il Castelliere di Niviz (Aidovskigrad)

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Il Castelliere di Niviz (Aidovskigrad)

 

Sui monti selvosi che s’innalzano a tergo di Repenpiccolo, culminanti con 545 metri al M. Volnig (M. Lanaro), trovasi sur una vetta di poco a quella inferiore (524 metri), il castelliere di Niviz e, detto anche Aidovskigrad (T. II, f 8). Esso é a doppia cinta rientrante e totalmente imboscato, ad eccezione dei ripiani circolari, assai bene conservati e larghi 6 a 10 metri. La cinta interna, della periferia di 140 metri, ha un vallo parzialmente conservato, alto 0,5 ad 1 metro e della larghezza di 3 a 4. L’esterna che si annoda a questa in direzione di sudest, scende alla falda del monte con un largo ripiano, e misura 300 metri di lunghezza, mancando però per buon tratto di vallo visibile. Essendo i ripiani ridotti a prato non, vi si trovano alla superficie che pochissimi cocci. Uno scavo però praticatovi, ci diede tramezzo al terriccio nerissimo, grande copia di resti di fittili, corna di cervo ecc. Sopra una cima di faccia al castelliere vidi un grande tumolo appiattito, all’incontro nessuna traccia di abitazioni osservai sulla vetta principale. Probabilmente venne prescelta la vetta inferiore, perché da questa si gode una vista più libera e più ampia sull’altipiano del Carso, specialmente dal lato di oriente e di settentrione.

Tratto da: Carlo de Marchesetti, I castellieri preistorici di Trieste e della regione Giulia, in Atti del Museo civico di Storia naturale, Trieste 1903.


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Il Castelliere di Rupinpiccolo

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Il Castelliere di Rupinpiccolo

 

Un terzo castelliere sorge pure poco lungi su una collina di mediocre altezza a ridosso del villaggio di Repenpiccolo (T. II n, f. 2). Li parte alterato dalle cave di pietra e dal susseguente deposito del materiale di rifiuto, specialmente dal lato volto verso il villaggio e verso settentrione, esso conservò benissimo la sua cinta verso sud e sud-est per una lunghezza di 180 metri, ov’essa presenta un vallo della larghezza di 10 a 15 metri con un’altezza media di 2 a 3, risultante dallo sfasciarsi di un muro di quasi 2 metri di grossezza. Rimarchevole é specialmente la difesa dal lato di nord-est, ov’ergesi una specie di enorme tumolo allungato, alto 8 a 10 metri e misurante in periferia oltre a 200, composto di pietre e di blocchi calcari di varia grandezza. Questa costruzione che é una delle più formidabili, che abbia finora riscontrato in un castelliere, e che non trova riscontro che in quello di Redipuglie, fu determinata dalla necessità della difesa di quel lato, ove il terreno non oltre quasi alcun declivio e quindi si rendeva indispensabile di fortificare maggiormente con sassi ammucchiati l’accesso al castelliere. Inoltre vedesi tuttora a metà circa di questo, un muro trasversale che lo divideva in due parti. Le fitte sterpaje spinose, ond’é densamente ricoperto, vi rendono malagevoli le indagini.

Tratto da: Carlo de Marchesetti, I castellieri preistorici di Trieste e della regione Giulia, in Atti del Museo civico di Storia naturale, Trieste 1903.


Articolo di approfondimento sui Castellieri di Trieste e della Regione Giulia

Trieste: Piazza della Borsa 2.

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Trieste: Piazza della Borsa 2.
Foto Paolo Carbonaio
Trieste: Piazza della Borsa 2.
Palazzo databile agli inizi del XIX secolo. Il palazzo è parte del complesso delle Case Dumas, il cui nome deriva dall’originaria proprietaria Angelica Dumas. La statua posta sul balcone rappresenta San Giovanni Evangelista ( S. IOANNES EVANGELISTA)

Il Castelliere di Zolla

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Il Castelliere di Zolla


Molto più piccolo era il castelliere di Zolla (T. I, f. 10) che é di forma ovale e circonda l’apice del monte, che s’erge di faccia a Monrupino. Anch’esso non possiede una cinta completa, facendo questa difetto dal lato di sud-ovest assai declive e rupestre ed ora fittamente imboscato. Il vallo alto da 1 a 1,50 metri, ha una lunghezza di 240 e lascia benissimo scorgere un muro poderoso di 2,50 e 2,75 metri di grossezza. Lungo il vallo decorre una spianata circolare larga 5 ad 8 metri, cui sovrasta la vetta per una ventina di metri.

Tratto da: Carlo de Marchesetti, I castellieri preistorici di Trieste e della regione Giulia, in Atti del Museo civico di Storia naturale, Trieste 1903.


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Il Castelliere di Monrupino (Repentabor)

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Il Castelliere di Monrupino (Repentabor)

Il primo di questi (T. II, f. 1) possiede una forma piuttosto irregolare, come lo richiedeva la natura del monte, che dal lato di nord-est scende ripidissimo in una profonda vallata, mentre da quello volto a meriggio si allarga in un mammellone sporgente. La costruzione complessa di questo castelliere ne rende alquanto difficile la descrizione, sicché meglio che da questa si potrà farsene un’idea dalla relativa pianta. La cinta esterna, in parte assai bene conservata, che si può seguire per 720 metri, manca dal lato settentrionale, ove il pendio rupestre porgeva sufficiente difesa. Il vallo é tuttora alto 1 a 1,50 metri e ci mostra un muro della grossezza di metri 2,70, formato da grandi blocchi, che all’estremità del mammellone presenta un allargamento a guisa di tumolo, alto circa 5 metri. A poca distanza da questo si stacca la cinta interna e circondando dal lato nord-ovest il precitato mammellone, si prolunga per 230 metri e va ad inserirsi alla parte opposta del vallo esterno. Dalla metà circa di questa cinta interna, ove trovasi un secondo allargamento, si diparte un altro vallo in direzione di ponente per una lunghezza di 160 metri, che va del pari ad unirsi all’argine esterno, un ripiano, largo da 3 a 10 metri, segue quasi dovunque il decorso del vallo ed in più luoghi venne ridotto a campi. La vetta del monte é formata da un’alta rupe, sulla quale torreggiano ancora le mura esterne di un castello medioevale, entro le quali fu edifìcata l’attuale chiesa colla relativa canonica. Alla base di questa rupe gira tutt’intorno una spianata circolare. Il terriccio nerissimo e la notevole quantità di cocci, che vi si ritrovano, ci fanno fede della lunga dimora dell’uomo su questo monte, che presentava per la sua posizione elevata, d’onde si domina un vastissimo territorio del Carso, e per la difficoltà dell’ascesa, condizioni eccezionalmente favorevoli.


Tratto da: Carlo de Marchesetti, I castellieri preistorici di Trieste e della regione Giulia, in Atti del Museo civico di Storia naturale, Trieste 1903.


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Castelliere Tabor di Sesana

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Castelliere Tabor di Sesana

 

Appena ad una distanza di circa 5 chilometri, ci si affaccia un altro castelliere sul monte su cui si appoggia il villaggio di Sesana (Tabor di Sesana). Anche questo é un castelliere assai vasto (T. I, f. 9), constante di due parti, cioé della vetta principale chiusa da un vallo circolare della lunghezza di 550 metri, e di un dorso inferiore quasi piano, che vi si annoda dal lato di nord-ovest della periferia anch’esso di 550 metri. Del vallo non si é conservato che il tratto ove si uniscono le due parti del castelliere, ed ov’esso é tuttora alto 2 a 5 metri. Il resto della cinta é visibilissimo, quale una fascia di sassi franati della larghezza di 5 a 10 metri, che tutto intorno circonda il monte. Entro la cinta trovasi un ripiano circolare largo 5 a 8 metri. La vetta é occupata dalle rovine di un edificio medioevale, del quale si conserva ancora la torre rotonda. Anche la parte aggiunta possiede un ripiano circolare, però il suo muro più debole trovasi quasi totalmente rovesciato all’infuori. Al suo punto estremo e più elevato sorge un ammasso di sassi in forma di tumolo. Il terriccio copioso, assai nero, é disseminato di cocci. Anch’esso é totalmente imboscato, parte ad alberi a foglia caduca, parte a pini. Come ad oriente così anche ad occidente noi non troviamo per cinque chilometri alcun castelliere, sebbene sopra una vetta intermedia, sul Medevediak (475 metri), sorga un grande tumolo, presso al quale venne raccolto uno spillone a globetti di bronzo.


Tratto da: Carlo de Marchesetti, I castellieri preistorici di Trieste e della regione Giulia, in Atti del Museo civico di Storia naturale, Trieste 1903.


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Il Castelliere di Povir

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Il Castelliere di Povir

 

Molto più vasto é il castelliere di Povir (T. I, f 8) che comprende tre vette, misurando 1350 metri di periferia. Anche questo restò munito in epoca romana e nell’evo medio (Tabor di Povir), conservandosi sino ai nostri giorni la torre circolare ed alcuni muri del castello, sorgenti sul cocuzzolo di nord-ovest, ove trovasi una spianata rocciosa della superfìcie di cica 5500 metri quadrati. Da questo tratto più elevato (523 metri) si discende dolcemente per 75 metri fìno al punto più basso del castelliere, ove comincia la parte più vasta, che s’innalza alla seconda vetta, culminante in un ammasso di pietre in forma di tumolo e racchiusa colla prima da una cinta comune. Alla seconda vetta si annoda un altro dorso un po’ inferiore, conservante tracce di un muro di cinta, che termina a levante con alcuni avanzi di fabbricati posteriori. Presso la seconda vetta trovasi pure un’ampia cisterna e resti di costruzioni. Il vallo é parzialmente conservato, in parte rovesciato e formante una cinta di 5 a 12 metri di larghezza. Il terriccio vi é nerissimo con molti cocci di pentole preistoriche e romane, come pure di embrici. Vi raccolsi pure una grande lancia di ferro. Presentemente il castelliere é totalmente imboscato (da quanto mi venne riferito, in un campo al piede del castelliere si sarebbero scoperte qualche anno fa alcune tombe).


Tratto da: Carlo de Marchesetti, I castellieri preistorici di Trieste e della regione Giulia, in Atti del Museo civico di Storia naturale, Trieste 1903.


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Il Castelliere di Tabor di Corgnale

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Il Castelliere di Tabor di Corgnale

 

Ben diverso é l’aspetto del castelliere che incorona il monte al disopra della Grotta di Corgnale, conosciuto nel paese col nome di Tabor di Corgnale (605 metri). Non offriva certamente la comodità di quello testé descritto, ma per converso si prestava assai bene quale punto strategico per la sua posizione eminente e per le sue pendici dirupate ed in alcuni punti addirittura inaccessibili. Lo spazio che si può dominare dalla sua vetta é estesissimo, abbracciando buona parte del Carso ed arrivando fino al mare. Questa fu la ragione ch’esso non venne abbandonato, ma fu ridotto a castro romano e nelle varie incursioni turchesche del medio evo servì quale luogo di ricovero per gli abitanti del villaggio sottostante. Vi troviamo perciò oltre agli avanzi del castelliere preistorico, anche numerose tracce di costruzioni posteriori, tra cui le forti mura a cemento, che ne cingono la vetta. Del vallo inferiore, che correva circolarmente a due terzi circa dell’altezza, é ancora benissimo conservato il muro dal lato orientale, che ha una grossezza di 1,40 metri, laddove il pendio ripidissimo dirupato, scendente nella valle dal lato opposto, lo rendeva superfluo. L’esplorazione vi é difficoltata dalle rocce e dalla fìtta sterpaglia, che impediscono in più tratti l’avanzarsi. Nei luoghi dilavati si trovano unitamente a cocci preistorici, anche frammenti di vasi e di embrici romani.


Tratto da: Carlo de Marchesetti, I castellieri preistorici di Trieste e della regione Giulia, in Atti del Museo civico di Storia naturale, Trieste 1903.


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Il Castelliere di Corgnale

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Il Castelliere di Corgnale

 

Il primo (T. I, f. 7) giace immediatamente sopra Corgnale, al vertice del Monte Clemenoga (567 metri), che é diviso dal resto della catena da una profonda valle. Esso presenta una cinta circolare benissimo conservata della lunghezza di 440 metri, racchiudente uno spazio quasi piano, ove il terriccio nero trovasi sparso dovunque abbondantissimo, producendovi un’ubertosa vegetazione di magnifici prati. Non essendo stato smosso il terreno, non si rinvengono cocci, che però devono essere molto copiosi, scorgendosene frequenti pezzetti nei mucchi sollevati dalle talpe. Dalla parte orientale si vede un’altra cinta circolare ancora più vasta, misurando 502 metri di circonferenza, che scende sul declivio del monte. Siccome però essa non é concentrica al castelliere, ma lo tocca solo tangenzialmente suppongo ch’essa non vi appartenga, ma fosse fabbricata più tardi per recintare un pezzo di terreno, forse allo scopo di tenervi animali, tanto più che anche più in basso veggonsi tracce di altri consimili spazi recintati, se anche di dimensioni minori.


Tratto da: Carlo de Marchesetti, I castellieri preistorici di Trieste e della regione Giulia, in Atti del Museo civico di Storia naturale, Trieste 1903.


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Il Castelliere di Monte Grociana

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Il Castelliere di Monte Grociana

 

Ben più vasto é il castelliere che sorge sulla vetta principale della catena, che si estende tra Basovizza e Roditti (Rodig), sul M. di Grociana (742 metri), conosciuto generalmente sotto il nome di Castellaro maggiore (T. I, f. 6). Sebbene tutto intorno il terreno sia formato da calcare nummulitico, il cocuzzolo su cui venne costruito, consta di arenaria, la presenza della quale fa si ch’esso fruisca di quel raro benefìzio dei nostri monti, di possedere cioé sorgenti d’acqua, delle quali le due principali scaturiscono al suo lato orientale. Questa particolarità oltre alla posizione elevata, d’onde si domina un vastissimo territorio, e la fertilità delle due valli che s’insinuano al suo piede, determinò i nostri progenitori a fissarvi la loro dimora.
Il muro di cinta, che a giudicare dai pochi avanzi aveva una grossezza di metri 1,40 andò completamente distrutto, ed anche i cocci alla superficie sono molto scarsi, essendo imboscato e ricoperto da lussureggiante vegetazione. Tuttavia il grosso strato di terriccio nero, in cui non difettano punto, ci dimostra che esso fu per lunghissimo tempo abitato. Si conservò anzi tra il popolo la tradizione ch’ivi sorgesse in antico una grande città, della cui distruzione, come al solito, viene fatto carico ad Attila. Di forma irregolare, il castelliere ha una circonferenza di 870 metri e viene diviso in due parti da un’elevazione trasversale del terreno, sul cui vertice innalzasi un cono erboso, alto circa 10 metri, che ha tutta l’apparenza di un tumolo artificiale. Dal lato nord-ovest vi si annoda un piccolo ripiano di circa 150 metri, che però causa la densa sterpaglia che al presente l’ingombra, non é possibile misurare con precisione.


Tratto da: Carlo de Marchesetti, I castellieri preistorici di Trieste e della regione Giulia, in Atti del Museo civico di Storia naturale, Trieste 1903.


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Il Castelliere di Nasirz

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Il Castelliere di Nasirz

 

Quello di Nasirz (T. I, f. 5) é uno dei più piccoli, non misurando che soli 192 metri di periferia, ed occupa una rupe isolata a ponente dell’omonimo villaggio. Circondato da due lati da pareti che scendono a perpendicolo per 5 a 10 metri sul sottostante declivio, esso non andava fornito di vallo che dagli altri due, ove se ne conserva ancora un resto per la lunghezza di 41 metri. Il terreno venne recentemente imboscato a pini, meno la parte più elevata che é tutta rupestre. Del resto pare abbia servito d’abitazione anche in tempi posteriori, trovandovisi misti ai cocci preistorici anche frammenti di tegole.


Tratto da: Carlo de Marchesetti, I castellieri preistorici di Trieste e della regione Giulia, in Atti del Museo civico di Storia naturale, Trieste 1903.


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Il Castelliere di Monte San Primo

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Il Castelliere di Monte San Primo

 

Simile ai due castellieri testé descritti, é quello del M. S. Primo (279 metri) poco lungi da S. Croce (T. I, f. 4), non avendo anch’esso che una cinta semicircolare dalla parte di terra, laddove dal lato opposto il ripidissimo declivio roccioso, che scende al mare, la rendeva superflua. Esso é di piccole dimensioni misurando in larghezza 90 ed in larghezza 35 metri, sebbene a giudicare dalla grossezza del muro (2 metri), ancora parzialmente in piedi, e dall’ampia zona di sfasciume variante da 12 a 16 metri, appaia esser stato assai validamente munito. Il terreno racchiuso dal vallo é piano, ricoperto in buona parte di terriccio nerissimo, e venne recentemente imboscate a conifere. Della cappella dedicata a S. Primo non restano che pochi avanzi.


Tratto da: Carlo de Marchesetti, I castellieri preistorici di Trieste e della regione Giulia, in Atti del Museo civico di Storia naturale, Trieste 1903.


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I Castellieri di Monte Grisa

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I Castellieri di Monte Grisa

 

Assai meglio conservati sono all’incontro i due castellieri, che trovansi l’uno appresso dell’altro su due vette del Monte Grisa ad un altezza di 323 metri (T. I, f. 3). La loro posizione é oltremodo pittoresca ed assai bene scelta, precipitando la roccia su cui furono fabbricati quasi a strapiombo dal lato volto verso il mare, sicché da questa parte erano affatto inaccessibili e rendevano quindi superflua qualunque opera di difesa. Al versante opposto invece, ove il monte va abbassandosi meno bruscamente, il castelliere inferiore possiede tre cinte concentriche, con ripiani corrispondenti. La cinta esterna non giunge a chiuderlo completamente, ma gira prima di arrivare al ciglio della roccia, lungo la vallecola interposta tra il castelliere inferiore ed il superiore, distanti tra di loro 170 metri, per modo che ambidue vengono compresi dal medesimo vallo comune. All’incontro il vallo medio e l’interno giungono fin quasi alla roccia perpendicolare, lasciando solamente in prossimità di questa due aperture per gl’ingressi ai lati opposti. Il vallo interno, lungo 128 metri, é assai bene conservato e completo, alto 1-1,5 metri, laddove il medio, distante da esso 30 metri e della lunghezza di 225 metri, trovasi più alterato. In quest’ultimo scorgonsi ancora chiaramente gli avanzi di una porta. Meno esteso é il castelliere superiore, non avendo che una cinta della lunghezza di 138 metri. Il suo muro, solo parzialmente conservato, ha una grossezza di 1,40 metri ed al pari di quello dell’inferiore é semicircolare mancando del tutto dalla parte volta al mare. Il lungo e stretto dorso calcare inchiuso da esso é assai rupestre e non presenta che una spianata della larghezza di 3 a 6 metri girante lungo il muro, ove si raccolse uno strato poderoso di terriccio. É caratteristica in questo castelliere la presenza di un muro interno della grossezza di 1,10 metri costruito da grandi blocchi, che decorre parallelo al vallo, alla distanza di 2,30 metri da esso, al quale s’unisce di tanto in tanto con muri trasversali. Verso l’estremità orientale ergesi un tumolo alto 3 metri, formato di sassi accatastati senza alcun ordine. Gli scavi praticati in questo e nel castelliere inferiore diedero, come sempre, una grande quantità di cocci, spesso ornati d’impressioni digitali. S’ebbero pure parecchi vasi interi, tra i quali alcuni piccolissimi, che non possono aver servito che da ballocchi. Nel castelliere superiore si trovarono sopra un letto di sabbia gli avanzi di un inumato con un anellino di bronzo.


Tratto da: Carlo de Marchesetti, I castellieri preistorici di Trieste e della regione Giulia, in Atti del Museo civico di Storia naturale, Trieste 1903.


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Il Castelliere del Monte Cal

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Il castelliere del Monte Cal (T. I, f. 2) giace sulla maggiore eminenza, a 448 metri, di quel complesso di vette, che comunemente viene compreso sotto il nome di Monte Spaccato. Esso si estende su ambidue i versanti del monte ed ha una cinta di circa 330 m. di periferia, di cui buona parte ancora munita di vallo, robusto specialmente dal lato di nord-ovest, ove giunge ad una larghezza di 15 a 25 metri. Dolcemente inclinato al versante orientale, scende dall’opposto, volto verso la città di Trieste, ripidissimo per guisa, che non si comprende come fosse stato possibile l’abitarvi. Causa la forte pendenza, il terriccio vi é in gran parte asportato al pari della cinta. Tracce di un muro si prolungano per circa 80 metri lungo il dorso calcare, che scende verso levante ad un varco più basso, ove in una piccola insenatura giacciono numerosi mucchi di sassi in forma di tumoli.
Il ritrovarvi dappresso alcuni cocci mi fece supporre ch’essi fossero veri tumuli sepolcrali e quindi ne feci aprire tre dei maggiori, dai quali m’ebbi un risultato perfettamente negativo. É probabile quindi ch’essi non siano altro che gli acervi di pietre raccolte per nettare il terreno circostante.


Tratto da: Carlo de Marchesetti, I castellieri preistorici di Trieste e della regione Giulia, in Atti del Museo civico di Storia naturale, Trieste 1903.


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Il Castelliere di Contovello

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Il Castelliere di Contovello
Come questi due castellieri erano posti a velettare ad oriente le valli che conducevano a Trieste, così anche dalla parte opposta all’estremo limite dell’arenaria, sorgeva un castelliere sul colle di Contovello (259 metri). Per la sua forte posizione fu ridotto a castello dai romani, dei quali numerose tombe rinvengonsi presso la strada che conduce a Prosecco. Il Buttazzoni volle quivi ricercare la stazione di Avesica (Arch, triest. II, p. 23, III, p. 53) dell’itinerario d’Antonino). Nell’evo medio vi sorse il castello di Moncolano, (nome che conserva tuttora una parte di Contovello), ch’ebbe non piccola importanza nelle guerre coi veneti e del quale esistono ancora le macerie presso all’attuale cimitero, chiudente l’accesso dalla parte di nord-ovest. Le costruzioni posteriori e la riduzione del terreno a fertili vigneti, lo hanno scomposto completamente, sicché a mala pena si trova qualche coccio qua e là per i campi. Tuttavia sebbene vi manchi qualsiasi traccia del muro di cinta, si può ancora riconoscere in parte la sua forma originaria di un’ovoide allungata con un restringimento verso la metà.


Tratto da: Carlo de Marchesetti, I castellieri preistorici di Trieste e della regione Giulia, in Atti del Museo civico di Storia naturale, Trieste 1903.


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Trieste: Canal Grande. Passaggio Joyce.

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Trieste: Canal Grande. Passaggio Joyce.
Foto Paolo Carbonaio
Trieste: Canal Grande. Passaggio Joyce.
Passaggio Joyce (detto anche Ponte Curto): La nuova passerella pedonale lunga 25 m, posata sul canale il 4 dicembre 2012 ed inaugurata il 23 marzo 2013 collega Via Cassa di Risparmio con Via Trento. E’ realizzata con una struttura in acciaio, parapetti in vetro infrangibile alti 120 cm e un corrimano su entrambi i lati, sotto al quale sono collocati dei corpi a led che illuminano il camminamento, rivestito in pietra di d’Istria e acciaio. A causa di un presunto errore di misurazione della larghezza del canale la nuova passerella è stata anche protagonista a seguito di un’azione goliardica della S.O.T. (Sorta di Organizzazione Triestina) in collaborazione con la Associazione Iazadi, in perfetto stile “amici miei” mediante delle funi sono state avvicinate le sponde del canal grande. La notizia è stata ripresa dai principali organi di stampa e tg nazionali, va chiarito che si è trattato evidentemente di una zingarata a tutti gli effetti.
Nella foto: Tramonto su Ponte Curto.